32. Non ne fa una giusta....

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Un passo davanti all’altro, con il cuore che mi martella dentro, cammino lungo gli ultimi metri che mi portano all’ingresso del Red Pepper. È tarda mattinata ormai, credo di poter trovare qualcuno che mi possa accogliere. Ho intenzione di fare in fretta, meno spiegazioni do, meglio è: “non ho più la possibilità di lavorare, grazie e arrivederci.” Ecco tutto. Ma l’ansia che mi strizza lo stomaco è di nuovo lì a fare banchetto. Tiro un gran respiro davanti alla porta, con la mano poggiata sulla maniglia spingo le mie paure per poter affrontare con più determinazione questa situazione.

Il locale ha luci soffuse e, caspita se aveva ragione Dion… già a quest’ora tre ragazze stanno ballando sul piccolo palco. Un profumo di vaniglia si diffonde uniforme, registro una nota aromatica intensa al mio passaggio.

Cerco il bancone del bar per poter chiedere informazioni avanzando tra i tavolini argentati con piccoli runner in raso e lo individuo subito alla mia destra, il bartender è indaffarato e da le spalle alla sala. Mi siedo su uno degli sgabelli di fronte a lui e cerco di attirare la sua attenzione.

“Ciao, scusami… posso chiedere a te?” L’imbarazzo è palese sul mio viso.

Il tipo si volta tenendo due bottiglie di Gin che poggia davanti a me. “Prego, dimmi tutto bellezza.” Il suo sorriso è sfrontato e mi squadra per bene facendo crescere il mio disagio alle sue parole e cerco di coprirmi il viso come ogni volta che mi agito.

“Ho bisogno di parlare con le risorse umane.” Cerco di rimanere pacata.

Il ragazzo esplode in una risata calda. “Con chi vorresti parlare?” Allarga le sue mani sul bordo del bancone. Fissando i suoi occhi nei miei come si fissa una preda che si è puntata, si avvicina a me.

Io allontano il mio viso dal suo. “Il capo del personale, potresti indicarmi dove andare?”

“Allora sei la nuova ballerina! L’ho capito subito che fossi tu la nuova arrivata.” Mi colpisce come un pugno nello stomaco.

“Oh no! No no, non sono io.” Fuoriesce uno strillo acuto dalle mie labbra, zuppo di paura e nervoso. “Per favore dimmi con chi posso parlare.”

“È quella porta laggiù all’angolo. Ma al momento il capo è impegnato. Puoi aspettarlo qui, ti tengo compagnia io. Cosa prendi?” Il suo sorriso mi piace sempre meno.

“Prendo una soda amara, con ghiaccio e limone.” Taglio corto, girandomi dalla parte opposta. Mi importa solo essere celere.

“Arriva subito.”

Apre il frigo sotto di lui e tira fuori una bottiglietta di vetro con l’etichetta colore avorio. Mentre mi prepara il bicchiere adornato di agrumi cerco di focalizzare l’attenzione sui suoi movimenti e qualsiasi cosa mi aiuti a mantenere bassa l’agitazione legata a questo incontro. Appena nota che lo sto osservando mi scocca un occhiolino porgendomi la sua opera d’arte, ma a quel punto sposto la mia attenzione guardandomi attorno. Non me ne va bene una…

Tengo d’occhio la porta in ombra che mi ha indicato il barman. Terminata la bevanda, tiro fuori i soldi e pago quando vengo attirata da schiamazzi provenienti da uno degli uffici. Il volume non eccessivamente alto della musica non copre la caciara che sta avvenendo non lontano da qui.

Un colpo sordo blocca le due ragazze sul palco che si volgono in direzione della stanza che sto sorvegliando. Sobbalzo atterrita quando la porta viene spalancata con una spallata. Una figura a me familiare spunta come un proiettile a testa bassa, spingendo un uomo che rovina a terra.

Quando metto a fuoco capisco: Dion ha il viso contratto e si erge nell’ombra tirando per il colletto colui che aveva appena buttato giù.

Riesco soltanto a intendere poche parole. “Ripeti cosa ti ho appena detto. Subito!”

Il tipo risponde controvoglia con lo sguardo ardente. “Per me non esiste, non la avvicinerò per nessun motivo, ma ora vai via altrimenti gli accordi saltano.”

“Gli accordi ora li dirigo io, tu non la tocchi e io ti controllo senza staccarti le palle, tutto chiaro?” Si sforza Dion per mantenere la calma mentre gli stringe i gioiellini nella mano.

Le ballerine riprendono a sgambettare per il sollazzo degli unici tre clienti seduti ai tavoli a cui non sembra dare fastidio il baccano che sta avvenendo lì accanto.
Mi si gela il sangue. Di quali accordi hanno discusso? Parlava di me… ma a cos’altro alludeva?

Devo scappare prima che mi trovi! Mi ha pure vietato di venire, mi ammazza se mi trova qui. Stringo forte la borsa tra le mani e scendo dallo sgabello fissando il mio sguardo su di lui. Quando sono arrivata alla porta sposta i suoi occhi nella mia direzione e vedo chiaramente il suo sussulto. Mi ha beccata! Appena sono fuori corro via ripetendomi quanto sono stupida. Non ne faccio una giusta! Devo assolutamente chiamare Helena, se ha finito il turno può raggiungermi fuori Arachova. D’istinto vado a sud est del paese, scendo verso la costa, cercando di mantenere la calma. Al terzo squillo finalmente la mia amica risponde.

“Ehi, fatto?” La sua voce è frizzante come sempre.

“Caspita no! Ho fatto di nuovo un casino! Mi ha vista, sto scappando via. Come faccio ora? Non mi perdonerà più, aiutami.” Sono disperata e le parole mi escono immerse in un affanno logorato dalle lacrime.

“Aspetta, calmati. Cosa è successo? Ti ha seguita?” Dall’altra parte della cornetta è visibilmente confusa.

“Helena, mentre aspettavo di essere ricevuta lui è uscito dall’ufficio… era lì con il capo del personale e non era una visita di cortesia. Oh dei, mi ha vista uscire. Mi ha vista, capisci??”

“Calmati, si risolve tutto. Come mai sei fuggita? Eri lì solo per rifiutare il lavoro, capirà…”

“No che non capirà! Mi ha detto di evitare quel locale, non credo che ora sia contento di avermi vista lì. Sono fuggita come una ladra!” Cerco di spiegarmi meglio tra la confusione che mi offusca anche la vista.

“Aura, stai ancora correndo?”

“Certo! Non posso rimanere ad Arachova.”

“Dove stai andando?? Fermati! Prendi fiato, non  vagare chissà dove da sola! Ma guarda questa, guarda… sei un concentrato di pazzia, ragazza, lasciatelo dire.”

Alle sue parole rallento cercando di riprendere fiato. “Ti prego, ho bisogno di te…” Le sussurro ormai senza voce.

“Ascolta: io sto aspettando il cambio turno, ormai è orario. Se non vuoi rientrare in paese continua a camminare giù verso Antikyra, io ti raggiungo tra poco in macchina. Se arrivi prima tu fermati alla prima spiaggia ai piedi della litoranea. Tra poco sono da te.” Sospira la mia salvatrice.

“Grazie.” Mi esce come una implorazione.

“Ah Aura! Respira….”

Mi strappa un sorriso inaspettato. Chiudo la chiamata e riesco a mantenere la mia marcia verso il litorale, maledicendo la mia brutta abitudine di non riflettere mai abbastanza sulle conseguenze delle mie azioni. Fino a qualche tempo fa non sapevo neanche cosa fosse il libero arbitrio e invece ora… non ne combino una giusta!

Cosa mi sono messa in testa? Ora che ho perso la sua fiducia come potrò rimediare? E come ho potuto fidarmi di quell’annuncio? Era davvero rivolto ad una ballerina e non ho capito nulla. Rischio veramente conseguenze pesanti con questi soggetti? Mi ridesto dai pensieri mentre corro verso il mare, felice di vederlo ormai avvicinarsi.

Helena mi aiuterà a capire come comportarmi con Dion, lo conosce bene. Anche se fino ad ora ho sempre fatto tutto il contrario di ciò che lui vorrebbe.

Scendo la scalinata veloce, un piede davanti all’altro. La corsa sembra infinita. Quando arrivo coi piedi sulla sabbia aumento la velocità finché arrivo al bagnasciuga. Correndo ho dato sfogo alla confusione di emozioni che mi danno la pelle d’oca in questi giorni.
La sabbia di Antikyra è rovente sotto i raggi del sole, questo paesino costiero è così silenzioso, lontano dal caos turistico.

Osservo l’acqua incresparsi alle sottili folate di vento rade. D’istinto mi avvicino con le dita alla superficie, il riflesso del sole la copre quasi a specchio, ma lascia trasparire la sabbia che risplende sul fondo. Questa grande cala in cui si insedia il paese lo protegge dai venti da est.

Mi tolgo gli shorts. Come attirata da un magnate, lascio tutto sulla spiaggia deserta e mi inoltro nelle acque fresche con un unico movimento. Il tuffo mi rigenera e cancella parte della sofferenza che mi stava avvolgendo. La mia mente vaga tra le bollicine che mi solleticano: la sensazione del flusso d’acqua sul viso; il suono ovattato delle onde, o delle mie gambe che muovono la corrente; il sapore del sale tra le labbra. Poi riemergo per prendere aria e lasciarmi cullare dalle onde. Rimango stesa a guardare il cielo che si riempie di piccoli raggi di luce chiara, galleggiando immobile.

Ad un tratto sento movimenti brevi ma profondi. Mi volto con la testa in acqua, sembra che questa abbia cambiato colore. Le tinte chiare della sabbia hanno ceduto il posto al nero pece. Ed è il terrore.
Tuffo la testa, in apnea. Occhi aperti per cercare di scorgere qualcosa che mi faccia capire cosa succede. Nulla.
Un grande nero.
La mia fobia più grande. Il nulla, il vuoto più oscuro si è aperto sotto di me.
Una voce si fa strada dalle viscere del mare. L’acqua vibra in piccole onde concentriche.
Ma cosa sta succedendo? La paura dell’ignoto mi fa crescere l’angoscia. Le parole si fanno sempre più comprensibili, una donna bisbiglia il mio nome.

“Aura, tu sei Aura. Mi sei preziosa, umana.” Sussurra lenta.

Io non ho il coraggio di rispondere, sembra essere un prodotto del mio inconscio. Sto impazzendo.

“Umana!” Continua, ghignando sgraziata. “La chiave sei tu, Aura. Tu…”

Cerco di guardarmi intorno, tra l’affanno e le palpitazioni. Ma non c’è nessuno. Vorrei fuggire. Mi sento schiacciata, al contrario della gravità, sotto il pelo d’acqua, come bloccata da qualcosa. Ma non c’è niente. Il nero si espande lentamente tutto intorno, ed io tento con tutte le mie forze di arrivare sulla sabbia asciutta.

Sento i muscoli avvampare dallo sforzo, ma faccio a malapena qualche bracciata. Non ho il coraggio di guardare ancora sotto di me. Punto con lo sguardo la sabbia davanti a me, posso solo tirarmi più forte che posso verso riva. Ma forze invisibili sembrano trattenermi. Un pensiero si fa spazio nella mia mente, tra gli spasmi di dolore che cominciano a diffondersi ovunque nel mio corpo: il mio ultimo respiro è vicino, qui, in queste acque. Sento la mancanza di ossigeno che mi assale, inesorabile, come una mano di velluto che mi stringe la laringe.

Mi dimeno a pelo d’acqua, non posso arrendermi! Il nero mi avvolge tutta, sento solo gli schizzi che agito io. Sotto il livello del mare, mi muovo ormai senza forze.

Finché il nulla inghiotte anche me.

Nella mia natura Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora