Restart

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Nda: Ciao, compari! Mi prendo questo piccolo spazietto per precisare una cosa che avrei dovuto aggiungere nel primo capitolo, ma alla fine mi sono scordata... È solo una piccola precisazione comunque. Immagino che alcuni di voi abbiano scoperto l'esistenza di Miguel O'Hara dopo l'uscita di "Spiderman Across the Spiderverse" (io compresa) e, detto questo, il mio Miguel è differente da quello che conosciamo perché mi sono presa così male da andare a leggermi i primi fumetti di Spiderman 2099. Quindi, per farla breve, ecco perché qui non c'è il Miggy cupo e serioso del film, ma uno più simile a quello che appare nei fumetti. (Deduco che ci si potesse arrivare anche senza questa specificazione, ma, ehi, sono ansiosa quanto un opossum). Quindi ecco, niente. PER ORA va così! Buona lettura! 

°°°

Cominciamo dall'inizio ancora una volta.

Mi chiamo Candra Meraki. Ho avuto la sfiga totale d'imbattermi nel solo e unico Spiderman di New York.

Ero nel Downtown quando ho sentito quel tremendo trambusto e, successivamente, un uomo con un ridicolo costume nero è piombato giù dal cielo. Beh, sempre che questo si possa definire cielo... Sono un ammasso di blocchi, strutture, cantieri, infrastrutture accatastate le une sulle altre per sostenere la Nueva York degli spocchiosi abitanti dei piani alti.

Noi ci troviamo al di sotto di tutto, questa è l'ultima stazione per i disgraziati. Nessuno si preoccupa di ciò che si nasconde sotto le fognature, la maggior parte delle persone nell'Uptown ignora persino la nostra stessa esistenza.

Nonostante tutto, ha deciso di farci visita colui che dalle mie parti chiamano il "Messaggero di Thor". Non so come mai, lo ignoro. Non mi interessano minimamente le sette religiose che popolano questo luogo, tantomeno le credenze delle bande, come i Thoriani. Quaggiù ci sono già fin troppi problemi per occuparsi anche di loro.

Ero nel mio rifugio quando ho visto cadere Spiderman.

Guardavo fuori dalla finestra, quel poco di panorama percepibile oltre le assi di legno che sbarrano l'apertura. Le persiane sono aggrovigliate su loro stesse, il vetro è spaccato per quasi tutta la metà inferiore, ma proprio per questo motivo rimane il mio punto prediletto per fare da vedetta sull'esterno.

Mi rivolgo a Jennifer, la mia sorella di spirito da quando le nostre vite si sono intrecciate, circa un mese fa. Lei è una ragazza madre, premurosa e bellissima.

Mi alzo in piedi e le chiedo di tenere a bada i bambini per circa mezz'ora. Non ci avrei messo molto, come al solito.

Le mie fughe sono sempre rapide. Un mordi e fuggi senza lasciare la minima traccia, ma come ogni volta, la donna dai capelli rossi mi osserva con tristezza quando le dico che devo allontanarmi. Sa che cosa andrò a fare là fuori e non le piace. Non vale nessuna eccezione, nemmeno fornendole la più valida delle motivazioni.

So che preferirebbe che io restassi con lei a gestire la struttura... Non che lei non ne sia in grado, ma abbiamo promesso di sostenerci a vicenda, qualunque cosa accada, insieme.

La struttura in questione, da noi chiamata Hogar, è la nostra sola e unica casa. Il nostro porto sicuro, dove abbiamo accolto gli orfani trovati per i bassifondi di Downtown. Da quelli rinvenuti nelle tende dei tossici in overdose da Rapture, a quelli lasciati tra i bidoni della spazzatura.

Diamo loro un letto e i pasti che riusciamo a racimolare pur di sfamarli, crescendo insieme come una famiglia riunita davanti allo stesso focolare. Una specie di orfanotrofio improvvisato, dove ci prendiamo cura l'uno dell'altro per dare un pizzico di dolcezza in più a queste vite insipide.

È stata un'idea di Jennifer, probabilmente perché anche lei è stata costretta a crescere senza poter far affidamento sulle figure genitoriali.

Facciamo del nostro meglio. Purtroppo non basta quasi mai in posti disgustosi come Downtown.

Hogar  || Miguel O'HaraxOC ☽Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora