Scomparso

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Caligo

Era una settimana che vivevamo dalla Suxor, una settimana infernale; infernale non per me, io non facevo quasi niente, ma per Ignis.

Sgobbava tutto il giorno, cucinava ed andava ad elemosinare cibo: non c'erano soldi per pagare alla Tomin; quindi, andava alla ricerca di botteghe che davano via prodotti pronti a scadere.

Io invece passavo le giornate a studiare: rimanevo gran parte del tempo nello studio di William insieme a lui ed a un professore.

Le notti erano silenziose, io ed Ig dormivamo su un tappeto accanto il letto di William, un vero strazio.

Lui russava, si muoveva e noi non riuscivamo mai a dormire.

Io e Will andavamo a letto alle 21:00, mentre Ig doveva aspettare le 22:30: mentre noi dormivamo – in realtà William dormiva e io fissavo il soffitto – lei doveva pulire e sistemare la casa insieme alla signora Suxor.

La vidi entrare grattandosi la fronte, aveva un vestito azzurro che le stava visibilmente grande, i capelli raccolti in uno chignon con un nastro beige quasi del tutto consumato e stava sudando.

«Come è andata?» Le chiesi, dopo essermi assicurato di non svegliare il bambino.

«Come sempre». Si sbottonò i primi tre bottoni del vestito e poi lo fece cadere sul pavimento, rimanendo in sottoveste.

«Domani niente colazione, abbiamo finito il pane e quando sono uscita era già tutto chiuso; non so neanche se pranzeremo».

«Vivere, dicevi...» Scossi il capo. Non mangiavamo come il primo giorno da almeno due giorni.

«Cal, non iniziare!»

«Dovremmo tornare, non ha senso rimanere qui».

«Tornare per fare cosa? Pensavo ne avessimo già parlato: quando sarà il momento saranno loro a cercarci, ne sono sicura».

«Pensavo ne avessimo già parlato: il momento non sarà certo presto, io qui non ci rimango». Mi girai per controllare se William stesse dormendo. «Scommetto che tra poco non mangeremo neanche più, mi manca papà! Lui sì che le avrebbe dato una lezione, alla perfettina». Risi, mi mancava davvero.

Emozionalmente non eravamo tanto vicini a papà, lui preferiva non parlare di sentimenti o cose del gene-re, ma faceva certe battute e litigate che non lo batteva nessuno.

«È proprio per questo che non ci voglio tornare». Mi disse, nel frattempo toglieva i calzini con la mano destra e scioglieva i capelli con la sinistra; aveva già piegato il vestito e lo aveva riposto in un baule.

«Se avesse davvero voluto la nostra presenza avrebbe dato una lezione a Prigus».

«Al nonno». La corressi.

«Non è nostro nonno». Mi ringhiò, spalancai gli occhi e mi girai: William si era mosso, fortunatamente dormiva ancora.

«Che ti piaccia o no, lo è».

«Perché ci tieni tanto a considerarlo tale? Noi non siamo suoi nipoti, non siamo come lui».

«Perché non siamo come nessuno!» Mi sedetti. «Non siamo come nessuno, lì! Noi siamo normali! Preferiresti accettare di essere una seccia per la tua gente o accettare che tuo nonno sia tuo nonno?» Dissi a denti stretti, simulando di urlare.

Noi eravamo la seccia per il Tutum, nascere normali tra la magia, un incubo fatto realtà.

«Non siamo seccia».

«Non essere così ingenua».

«Ora sarei io l'ingenua? Pensi che se ci volessero davvero bene ci avrebbero mandato qui? Dei genitori veri avrebbero lottato!» Si sciolse del tutto i capelli e si avvicinò al lavabo per sciacquarsi il viso.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora