Risveglio

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Caligo

Le prime luci del mattino mi obbligarono a schiudere le palpebre.

«Ig, sveglia». Dissi, non sentendo alcun rumore dopo qualche minuto dall'alba.

Mi girai verso il suo lato con gli occhi ancora pieni di sonno.

Tastai il suo cuscino, la sua coperta. Non c'era.

Staccai la testa dal mio cuscino.

Come avevo fatto a non sentirla quando s'era alzata? Mi sfregai gli occhi e mi girai per guardarmi intorno.

Vidi una massa accanto al lavabo. Era Ignis.

Era sdraiata sul pavimento, si abbracciava le ginocchia, sanguinava dalla testa ed aveva un pezzettino di stoffa accanto al capo.

Mi alzai di scatto. Era molto pallida, aveva le caviglie viola, visibilmente rotte perché il piede era in una posizione del tutto strana.

«Ig!» Urlai. Mi inginocchiai accanto a lei.

Respirava molto velocemente, il suo addome si gonfiava quasi cinque volte ogni due secondi.

William si alzò e mi fissò. Stava per urlare di starmi zitto, poi si rese conto di Ignis.

Cominciò ad urlare appena vide il sangue che sgorgava dalla grossa ferita in mezzo al capo di mia sorella.

Una settimana dopo

Sorseggiai la zuppa alle cipolle più velocemente che potevo.

La signora Suxor continuava a farfugliare qualcosa che non stavo ascoltando.

«Lo sapevo, avrei dovuto mandarli in orfanotrofio. Pensavo di fare una cosa buona, ed ora mi ritrovo a dover spendere soldi per delle medicine che non serviranno ad un tubo!»

«Alma, non dire certe fesserie! Lo sai che Artem si occupa dei farmaci, sono utili. Ad ogni modo è colpa tua, te l'avevo detto». Rispose un'amica della signora, stavano pulendo la cucina.

«Beh, farmaci o meno, spezie o meno, stregoneria o no, morirà comunque!» Urlò la Suxor, alla fine dell'orribile frase che aveva pronunciato si mise anche a ridere.

Un brivido mi corse lungo la schiena.

«Meschina». Bisbigliai, sperando che nessuno mi sentisse.

Mangiai le ultime due briciole di pane e corsi, sfrecciando, di sopra.

Mia sorella era chiusa nella stanza della signora Suxor da una settimana.

La padrona dormiva con il figlio, e dovevo sorbirmi il suo russare come un pitbull per tutta la notte.

Entrai.

«Ig?» Chiesi, aspettandomi poco o niente.

Ignis non si svegliava da quella notte, a volte apriva un po' gli occhi, poi muoveva le dita, faceva delle facce buffe quando prendeva le medicine che le aveva prescritto un probabile ciarlatano.

Non sapevamo ancora cosa le era successo, ma io non vedevo l'ora di scoprirlo.

Mi mancava l'unica persona sana di mente della casa.

Rimasi qualche minuto a fissarla e poi mi sedetti accanto a lei.

«Mamma. Mamma e papà. Cal. Mamma». Farfugliò.

Era solita dire parole non correlate, che non volevano dire niente, a volte metteva insieme solo delle lettere per formare parole inesistenti; questa volta no.

Questa volta aveva detto delle parole correlate, sensate. Le sorrisi e le spostai un po' di capelli dalla guancia.

«Sì, mamma, mamma e papà ed io». Le dissi.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora