Il tempo scorre

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Ignis

Sentii Caligo dimenarsi, trattenersi per non urlare.

Chiusi gli occhi, non pensai a Cal e corsi dentro la fessura fra i due alberi. Probabilmente il centauro dietro di me non se ne era neanche accorto.

La "stanza" era priva di qualsiasi creatura.

Cercai di non tossire e mi guardai intorno.

Era davvero grande e larga.

Era circondata da alberi e sembrava quasi un cerchio.

C'erano diversi tronchi tagliati, dove erano poggiati degli oggetti: un arco, una freccia, una penna, un quaderno, una ciotola con dell'acqua e del fango.

Mi avvicinai al fango, intinsi il dito.

Non celava alcun oggetto, semplicemente del fango appiccicoso.

Levai di mezzo la mia espressione disgustata e mi avvicinai alla freccia.

La lama era affilata, nonostante fosse abbastanza arrugginita.

La penna d'oca era completamente normale, niente di speciale, con il calamaio di vetro e l'inchiostro di un nero luccicante, sembrava quasi un diamante, nero, liquido.

Poi squadrai il quaderno, nulla di speciale, non c'era scritto niente, solo milioni di pagine ormai ingiallite. All'improvviso dei passi.

Uno. Due. Tre...

Dieci.

Venti.

Ma niente si avvicinava, corsi a nascondermi dietro un albero, deglutii.

Era la mia fine.

Un gigantesco urlo di dolore, di paura.

Di morte.

Una lacrima mi percorse la guancia, mi sentii male, percepii ogni mio organo cadere, attorcigliarsi con un altro, dissolversi e diventare semplicemente sangue.

'No, cazzo. Non è lui'.

Sentii altri passi, ascoltai qualcuno venire ma non arrivava nessuno.

Nessuno si palesava, ma i rumori, i respiri, i passi, gli zoccoli sul terreno mi facevano tremare.

«L'altra è scappata». Disse la voce rauca che avevo sentito prima.

«È possibile che tu sia un simile pappamolle?»

«Il ragazzino era forte, non è colpa mia».

«Non l'hai neanche ucciso...»

Poi un rumore, come se fosse un laccio tirato e lasciato prima di arrivare al limite, ed un grosso urlo.

'Lo ha ucciso'. Pensai.

Lo ha ucciso.

Uccideva tutti.

Chiunque fosse, uccideva tutti.

Ma Cal non era morto.

Deglutii e mi guardai intorno, quella "stanza" era simile a quella da dove mi ero appena nascosta, ma niente che poteva somigliare ad un libro importante come quello citato.

Poi di nuovo, altri passi, qualcun altro stava raggiungendo il mio amico assassino.

'Magari uccide anche questo. Ne sarebbe capace...'

Mi allontanai dall'albero e cominciai a guardare gli oggetti di tutti i tronchi mozzati.

Erano in mostra come se fossero in un museo.

C'era una grossa spada, la lama gigante, lucida, sembrava nuova.

Molto affilata, avvicinai un dito e subito sentii un brivido, il sangue avvicinarsi all'ultimo strato di pelle del mio polpastrello.

«Cazzo». Sussurrai, al punto che, l'unica persona che poteva ascoltarmi, ero io.

Non avevo più tanta paura di dire le brutte parole, mi sembravano ancora troppo volgari, troppo popolane, ma non mi interessava.

Poi uno scudo, sembrava del tutto resistente, ma non mi ci avvicinai: volevo fare veloce.

Mi avvicinai ad un altro albero, al di là di quella "stanza" ce n'era un'altra, con altri tronchi ed altri oggetti.

Un altro quaderno, sempre vuoto, con le pagine ingiallite.

Una penna dall'inchiostro color smeraldo.

Una dall'inchiostro azzurro come l'oceano.

«Pensi che la ragazza sia tornata alla torre?»

«Non penso, Prigus mi disse che era molto legata al fratello. Senza di lui non se ne andrebbe». Si dissero due voci.

Prigus sapeva di me? Aveva parlato di me ai centauri? Non sapeva ch'ero tornata... o almeno, così credevo.

«Staranno cercando il libro?»

«Penso che i Teprei li abbiano convinti, ad ogni modo, non lo troveranno mai».

«Se sono arrivati, allora sapranno come farlo».

«Probabilmente lo sanno fare, ma sicuramente non avranno neanche capito cosa combinare. Sono umani, ricordatelo». Rise la voce.

«Ibridi, non umani».

«È lo stesso...»

Di cosa parlavano? Non avevo tempo per pensarci.

Gli zoccoli facevano sempre più rumore sul terreno secco.

Corsi verso l'altra parte della foresta, o per meglio dire, labirinto.

Mi addentrai, cominciai a vedere gli oggetti, ma non ci prestavo attenzione.

Di cosa parlavano i centauri? Cosa volevano dire? Sapevamo cosa fare ma non sapevamo neanche di doverlo fare?

I pensieri continuavano a vagare, la paura saliva... e non mi resi conto dei passi dietro di me.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora