Ricordare e dimenticare

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Caligo

Tossii.

Non riuscivo a pensare lucidamente, ma ero sveglio.

Mi ero svegliato.

Ero sul terreno.

Non ero più legato al tronco dell'albero, non ero più bloccato, ero sdraiato sull'erba e su qualcosa che sembrava vomito.

La testa mi girava tremendamente, non ricordavo nulla di quello successo la sera prima.

Provai a parlare.

Avevo la voce rauca, ma riuscivo a capire quello che dicevo.

«Ehm... Ig?» Balbettai.

Chiusi gli occhi.

«Ig, ci sei?» Schiusi di nuovo le palpebre.

Ogni volta che lo facevo, la mia vista diventata più chiara.

«Caligo? Sei vivo?» Ig aveva la voce più rauca della mia.

A stento capivo quello che diceva.

Annuii.

«Tu vedi qualcosa?»

«Neanche per sogno». Mi rispose.

«Ma cos'è successo?»

«Non ne ho idea, penso che ci abbiano avvelenato... ma non ne sono sicura».

'Avvelenato? Chi ci aveva avvelenato?'

«E chi?»

«I... centauri?» Rispose, ma sembrava di più una domanda che un'affermazione.

Mi sdraiai di nuovo, dopo aver provato a sedermi, perché la testa cominciava a girare troppo.

«Perché dici che ci hanno avvelenato?» Chiesi, non avevo neanche pensato a quella domanda, mi sorse così, come il desiderio di bere litri d'acqua... o di succo alla pera.

«Io... non lo so. Lo pensavo ieri, ma non lo ricordo».

«Ti ricordi che stavamo facendo prima di essere avvelenati?»

«No, per niente».

Creai uno schema nella mia mente. La prima cosa a cui pensai fu Daemon.

Daemon, che mi aveva tradito... Aspetta, ero fidanzato con Daemon?

'Daemon è un ragazzo. Non eravamo fidanzati'.

Aggrottai le sopracciglia.

Poi papà, e delle rose di un colore strano.

«Non sapevo che esistessero le rose verdi...» Bisbigliò Ig.

Teneva alto un fiore dai petali verdi.

Vedevo ancora un po' sfocato, ma era decisamente un fiore verde.

«Credo che nostro padre ci abbia regalato delle rose dai petali verdi». Azzardai.

E poi... Una cella.

Nostro padre in una cella; ma com'era fatto mio padre?

«Hanno messo mio padre in carcere».

«Tuo padre è anche il mio, vero?»

«Sì».

«E poi?»

«Poi siamo venuti qui, e... basta. O almeno, credo».

Daemon

«È sparito. Ed io non faccio che pensare che sia stata colpa mia. Io... gli avevo detto che eri la mia ragazza. E poi ci ha visto insieme». Ero sdraiato, avevo la testa sul ventre di Dove.

«Daems, non è colpa tua. È lui che è pieno di risentimento. Non devi sentirti così. Ora, sì sincero, l'hai rifatto?»

«Avrei potuto averlo rifatto... Ma non ne voglio parlare, Dove. Ti sto parlando dello stramboide»

«Sì, giusto. Comunque, se lui si comporta così, la cosa migliore è dimenticarlo. Te lo giuro». Dimenticarlo?

Dove era pazza, quella era l'unica spiegazione.

«Dove, da anni ho pensato che non avrei più sentito la felicità. Che non sarei riuscito a provare speranza oltre che dalle ricerche su Minatur, ma lui mi fa sentire bene».

«Daems, te ne sei accorto troppo tardi. E poi, non avevi diciassette anni, scusa?»

«Lo sai che non potevo dirgli la verità, cosa avrebbe pensato?»

«Ehm... che sei un po' strano a volerti fare un bambino?»

Dove era sempre stata un po' troppo volgare.

«Io non me lo voglio fare. Che schifo... Semplicemente, mi sembra carino, mi piacciono anche i ragazzi. E lui sembrava ossessionato».

«Sembrava... Non lo era».

«Perché devi essere così cattiva?»

«Daems, io ci tengo a te».

«Anche lui ci teneva a me».

«Lui non ti vuole vedere, e non sa nulla di te».

Chiusi gli occhi. Mi alzai di scatto.

«Sei antipatica».

Infilai i mocassini ed aprii la porta.

«Dove vai?»

«In camera mia, dove nessuno mi giudica».

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora