Chiacchierata

1 0 0
                                    

Daemon

La luce del sole mi costrinse ad aprire gli occhi.

Spalancai le palpebre e feci un grosso sbadiglio.

Accanto a me c'era una grossa bottiglia di succo all'uva finita per metà.

«Giusto un po' di vodka rubata dal re, rende ogni bevanda migliore per me». Canticchiai, mentre mi dirigevo verso il bagno.

Ingurgitai un altro sorso di succo e lasciai cadere la bottiglia sul tavolino da bar.

Mi fissai nello specchio.

Feci una piccola ciotola con le mani, presi dell'acqua dal lavabo di porcellana bianca e mi inumidii il viso.

Pensai a quello successo il giorno prima.

Era tutto così sfocato.

Ricordavo Caligo.

Caligo che mi sorrideva, e parlavamo di qualcosa.

Poi il buio.

E mamma.

«Cazzo, dimmi che non gli ho parlato di mamma». Bisbigliai.

Nel frattempo, addentavo del pane al cacao con della ricotta dolce.

Sorseggiai un po' di succo d'uva e mi stesi sul letto.

'Se gli ho parlato di mamma, ho paura. Ero ubriaco fradicio'. Pensai.

Mi sfregai gli occhi e mi alzai di scatto.

Mi abbassai e cominciai a cercare dei vestiti nell'armadio.

Mille camicie di mille colori, mille pantaloni.

Dopo una lunga ricerca, presi una camicia color panna e dei pantaloni, con bretelle, neri. Sbadigliai di nuovo e gettai i vestiti sul letto.

«Che sonno, eh?» Blaterai a me stesso.

Quando non parli con qualcuno da tempo, cominci a parlare da solo.

Però, avevo mentito a Caligo: parlavo con qualcuno ogni volta che incontravo un conoscente per le scale.

Ma, Caligo... quello stramboide era diverso.

Dal momento in cui l'avevo visto, tutto nascosto, avevo capito di doverci parlare.

A volte mi sembrava estremamente simpatico, un nuovo amico.

Altre volte era fin troppo estenuante, inopportuno.

Solo al pensiero, sentii una vena sul collo gonfiarsi.

'Mi devo cambiare. Basta'. Pensai, e mi affrettai a procedere.

Cominciai a togliere i pantaloni.

Li sbottonai e sfilai le caviglie.

Fissai le gambe piene di graffi, le ginocchia arrossate.

Deglutii e gettai i pantaloni sporchi sul pavimento.

Mi grattai le cicatrici.

I tagli.

I segni che dimostravano la mia vita, il mio incubo, quello che ero dentro quando nessuno mi vedeva.

Segni che nessuno avrebbe mai visto, ed era meglio così.

Alzai lo sguardo, per non fissare i miei mostri.

Afferrai la biancheria e me la misi, poi staccai le bretelle dalla cintura ed infilai i pantaloni. Sentivo il bruciore della seta fresca che sfregava contro le lacerazioni.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora