Uno strano incontro

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Ignis

Erano passate poche ore da quando avevamo provato ad arrivare, ero tranquilla: non mi sarebbe piaciuto ritornare al Tutum, non così presto.

Chiusi gli occhi per stare calma, sospirai e vidi la luce che mi obbligava a tenere le palpebre socchiuse spegnersi.

Sospirai e spalancai gli occhi. Era tutto buio, tutto freddo. Sentii un brivido lungo la schiena. Provai a parlare ma non ci riuscii.

Sentivo la mano stretta da qualcuno ma non sentivo la presenza di nessuno accanto a me.

«Ignis... Ignis». Mormorò qualcuno. Arrivò, di nuovo, un brivido lungo la schiena.

Provai di nuovo a parlare, a rispondere. Niente. Ero spaventata. Tanto. Chiusi di nuovo gli occhi, ancora niente.

Cominciai a sentire qualcosa sulla pianta del piede, finalmente cominciai a sentire il mio piede.

Era acqua, acqua fredda, gelida, quasi ghiacciata. Il ghiaccio salì dalle dita dei piedi fino al mio cervello, sudavo ghiaccio, vomitavo ghiaccio e piangevo ghiaccio. Sentii la paura che sento quando penso all'insuccesso, il sentimento che provo quando ho paura di non fare niente nella vita, di essere solo una semplice umana in un modo di magia.

Poi arrivarono dei rumori, dei passi che non facevo io. Arrivò di nuovo il groppo in gola che avevo quando non sapevo cosa stesse per succedere.

La persona che si avvicinava man mano si faceva più chiara e nitida. Assomigliava a qualcuno che avevo già visto.

«Mamma!» Dissi, senza rendermene conto, non stavo gestendo io la situazione.

La persona non rispondeva.

«Mamma». Dissi di nuovo, non era programmato, non ero io che volevo parlare ma stavo parlando.

La figura assomigliava in alcuni aspetti a mia madre, ma aveva i capelli bagnati come appena dopo essere stati in acqua e gli occhi come un serpente.

La pelle sulla fronte era squamata come quella di un pesce.

«Ignis». Disse, di nuovo, questa volta con un tono molto più autoritario, più forte.

Provai ad andare indietro, a scappare, ma non riuscivo a muovermi.

Più si avvicinava e più mi sentivo piccola e impotente.

Provai di nuovo a parlare. Niente. La vidi di nuovo aprire la bocca. Sentii il cuore andare a mille, un groppo in gola.

Provai di nuovo a urlare.

Spalancai la bocca, urlai con tutte le mie forze, con tutta la forza delle mie corde vocali, iniziai a vedere della luce, era poca, ma c'era. La figura cominciava ad allontanarsi ma continuavo ad urlare conto la mia volontà.

All'improvviso un'immagine davanti i miei occhi. Deglutii. La faccia di Caligo era davanti a me. Era confuso, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi spalancati.

«Tutto bene?» Mi chiese, appena mi levai il sonno dagli occhi.

Si rimise a sedere dalla sua parte del tappeto ed io mi alzai.

«Perché ti sei svegliato così presto?» Chiesi, mentre mi facevo di nuovo la solita crocchia con il solito nastro beige rotto e consumato.

Presi una coperta di seta dal baule e mi lavai la faccia con l'acqua del lavello in pietra.

L'acqua era gelata ma mi aiuto a risvegliarmi.

Era l'alba, William dormiva come un ghiro e Cal si rigirava sul tappeto, provando a riaddormentarsi. Io invece sarei dovuta essere sveglia già da dieci minuti.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora