Centauri e veleno

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Ignis

«Io dico di fermarci per un po'». Suggerì Cal.

«Forse hai ragione». Sbadigliai.

Era tutta la notte che camminavamo per la foresta, ormai non vedevamo più granché, morivamo di sonno e non riuscivamo a tenerci in piedi.

«Dove andiamo?» Mi chiese.

«È stata tua l'idea, pensaci tu». Sussurrai.

Ero troppo stanca, sarei stata capace di sdraiarmi sul terriccio.

Vidi Cal guardarsi intorno.

«Andiamo lì?» Chiese.

«Non c'è nessun insetto in vista e c'è tanta erba? Che sogno!» Sogghignai, ironica.

Sbadigliai due volte e seguii mio fratello.

Non ci pensò due volte, prima di gettarsi di peso sul terreno umido, e lo stesso feci io. Mi fermai qualche secondo prima di poggiare la testa sull'erba, probabilmente, sporca.

Serrai gli occhi, nel frattempo, accarezzavo la mia rosa dai petali verdi.

Mi sentivo persa, stanca, triste e sola, ma, con cinque pezzi dell'amore di papà per noi stavo meglio.

Perché non avevo accettato di farlo, non avevo accettato di scappare, di non salutare mamma.

Non avevo scelto di non essere una Munetica.

Ma non ero io a scegliere.

«Sei sveglio?» Chiesi, nonostante Caligo sembrava russare. Passarono alcuni secondi.

«Sì».

«Voglio tornare a casa».

«Anche io, Ig, ma stiamo salvando delle persone. È importante». Cercò di convincermi, ma non volevo essere convinta.

A nessuno importava di noi due, nessuno voleva salvarci.

Noi però dovevamo salvarli. E non era giusto.

Non era giusto non poter scegliere chi salvare.

Non era giusto non sapere come salvarli, ma eravamo obbligati.

«Lo senti?» Mi chiese.

«Il mio stomaco?» Ironizzai.

«No, genia. Non senti qualcuno che parla?»

Affinai l'orecchio, e Cal aveva ragione.

Una voce rude e grave stava dicendo:

«A quanto pare verrà incoronato il figlio».

Ed una seconda voce, simile all'altra ma un poco più stridula:

«Non lo permetterà, lo sai».

Cosa intendevano? Di chi parlavano?

Sbadigliai. Non ci riuscivo, a rimanere sveglia.

La voce grave continuò: «Tu non senti qualcosa?»

Sentii un groppo in gola.

Parlava di me e Cal? Ci aveva sentiti?

Poi, niente più.

Le due voci scomparirono, insieme alla mia voglia di origliare.

Feci cadere, di nuovo, la testa sull'erba. Chiusi gli occhi, Strinsi ancora di più la rosa fra le mani.

Una spina mi perforò il palmo, ma mi importava poco: in quel momento, il dolore più forte che potevo provare era la solitudine.

'Ma, Ig, sei con Cal!'

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora