Pregare di morire

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Cumeret

Sospirai.

Guardai la luce della luna entrare dalla finestrella al di sopra della cella.

Sospirai, di nuovo.

'Chissà che stanno facendo i ragazzi'. Mi chiesi.

Speravo che stessero bene.

Lo pregavo in ginocchio.

Non sarei riuscito a mantenere i sensi di colpa, se qualcuno gli facesse del male.

«Cumeret?» Sentii.

Un brivido mi percorse la spina dorsale.

Aveva parlato.

Dio.

Aveva parlato.

«Nal, che c'è?» Risposi, con una domanda.

Non avrei dovuto farlo, ma lo avevo fatto lo stesso.

Avevo fatto una cazzata, probabilmente.

Sospirai.

«Ci sei? Stai bene?» Chiese.

«Sì, perché?»

«Le urla di ieri sera parlavano chiaro».

Avevo dei ricordi sfocati del giorno prima.

Soltanto un gran rumoraccio, un po' di persone, delle risate.

Delle urla.

Mi resi conto che la mia gola bruciava ogni volta che respiravo.

A quel punto della prigionia, ci avevo fatto l'abitudine a stare male, al dolore su tutto il corpo, alle lacrime incontrollate, ma quel giorno solo l'aprire bocca mi faceva venire voglia di urlare.

Quei giorni erano estenuanti, troppo.

«Non ricordo cosa è successo. Domani non ricorderò quello che succederà tra poco...» Realizzai.

Al pensiero di quello che mi sarebbe successo quella notte, la gola mi si strinse, le corde vocali cessarono e mi abbandonai al pianto nervoso.

Sospirai.

Non me lo meritavo, non era giusto.

'Tutto per i ragazzi'. Mi incoraggiai.

«Non so cosa ti abbiano fatto, ma urlavi come se ti stessero uccidendo».

Un brivido lungo la schiena.

Tutto quello che stava succedendo faceva schifo.

«Hey-hey. Non ne ha avuto abbastanza, probabilmente». Rise una voce, non potevo vedere la persona, ma ero sicuro che fosse di Oak.

«Non l'hai ancora capito? Sono così stupidi che non riescono a controllarsi». Rispose una seconda voce, ridendo ancora più forte.

Sembravano abbastanza falsi.

Tossii e loro apparirono davanti la cella.

Un sorriso macabro si aprì lentamente, sembravano psicopatici.

Anzi.

Lo erano.

Aprirono la cella.

Io ebbi l'impulso di alzarmi, poi cercai di muovere il braccio incatenato e lasciai perdere.

Si avvicinarono a me lentamente.

«Hm. Oggi cosa potrei usare, Merl?» Rise Oak guardandomi negli occhi. Aveva un'espressione divertita.

Cominciai a tremare.

«Mantello rovente, o acqua bollente?» Chiese a sé stesso, avvicinandosi sempre di più.

«Fammici pensare». Mi stava sfidando.

«Mantello rovente...» Si fermò davanti a me.

«O acqua bollente?» Si accovacciò davanti a me, alzò un sopracciglio e poi cominciò a ridere come se gli avessero raccontato la barzelletta più efficacie del mondo.

«Io dico entrambi!» Urlò quello che doveva essere Merl. Mi sentii attaccato.

«Vedi, Merl...» Oak si alzò di scatto e si avvicinò all'amico.

«Cosa?» Chiese l'altro, impaurito.

«Per la prima volta, hai ragione». Esclamò.

Si avvicinò alla porta della cella, sospirò, si affacciò dalle sbarre e rise.

«Secchio d'acqua e mantello di ferro alla cella 1403!» Urlò. E si girò verso di me.

Il cuore cominciò a battere così velocemente che cominciai a tremare, respiravo affannatamente.

Non ero pronto, non ero pronto a subirlo di nuovo.

Mi sentii scoperto. La vista delle figure davanti a me era inquietante.

Mi si aprì un buco nello stomaco, non mangiavo da più di una settimana.

Bevevo il giusto per sopravvivere.

Cominciai a piangere.

Cercai di abbracciarmi le ginocchia.

Volevo chiamare Nalor, chiedere aiuto, ma farlo non avrebbe creato che problemi.

Mi dispiaceva per lui, per tutto quello che stava subendo.

Vidi semplicemente le braccia muscolose di qualcuno che porgevano ad Oak un grosso pezzo di ferro ed un secchio enorme da cui schizzava un po' d'acqua.

Dal secchio fuoriusciva molto vapore.

Avevo paura.

Merl poggiò il secchio davanti a me, ed Oak si posizionò dietro le mie spalle.

«Pronto o no, lo facciamo comunque». Sussurrò.

Sentii la schiena bruciare.

Poi, Oak spinse la mia testa dentro il secchio.

Un dolore atroce si sprigionò dentro di me.

Sentivo dolore dappertutto.

Un po' per la stanchezza, ed un po' per tutto quello che stava succedendo.

Cercai di alzare la testa, stavo per terminare l'ossigeno, ma la mano di Oak me lo impediva. Lo sentii spingere ancora di più il ferro bollente contro la mia schiena.

Cominciai ad urlare, speravo Nal mi sentisse nonostante fossi sott'acqua.

L'acqua rovente mi entrò in gola.

Dimenai le braccia per quanto potevo.

Il fiato stava per cessare, l'ossigeno che avevo nei polmoni era sull'apice della resistenza e stava per affievolire.

Sentivo la morte arrivare.

Speravo che arrivasse, perché non riuscivo più a sopportare quella vita.

Smisi di urlare, Oak mi aveva afferrato dai capelli, ero fuori, ero salvo.

Parzialmente, ero salvo.

Stavo riprendendo a respirare completamente, quando Oak mi spinse di nuovo, mi tirò subito fuori, e poi di nuovo dentro.

E così via, mentre il ferro diventava sempre più caldo.

Non ce la facevo più.

'Dio, voglio morire'.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora