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Caligo

Afferrai un pezzo di pane al cacao.

Diedi dei morsi alla scorza e lo lasciai cadere, di nuovo, sul vassoio in acciaio.

Presi la brocca, ingurgitai quanta più acqua possibile e mi lasciai ricadere completamente sul materasso.

'È così comodo, dio'.

Pensai.

Era così comodo che, nonostante fosse duro rispetto a quello di mamma e papà nella loro stanza, a me pareva un ben di dio.

Ero da solo in camera.

Mi affrettai ad alzarmi, feci cadere i mocassini sul pavimento e cambiai i pantaloni color cachi per dei pantaloncini scuri.

Mi avvicinai alla finestra.

La giornata era così afosa e calda che sembrava di starla vedendo con degli occhiali speciali. Il cielo era azzurro acceso, sembrava non ci fossero nuvole, ed era perfetto così.

Migliaia di creature – Munetici, Teprei, la famiglia dei Mufatale – passeggiavano per i giardini, portavano legna nell'atrio, facevano giardinaggio, piantavano milioni di alberi.

"I centauri cercano di entrare, proprio per questo i Teprei sono stati obbligati a piantare dei pini di protezione".

Ricordai, papà me l'aveva detto quella mattina.

Fremevano tutti dalla voglia di un cambiamento, di un nuovo re, di altre leggi da emanare e dalla vecchia aria di regno.

Proprio quest'ultima non arrivava da anni, ormai gli umani si impossessavano anche dell'umore degli speciali.

Ogni Munetico che si rispettava non vedeva l'ora di partecipare al ballo.

Ormai Hacris era piena di lavoro: quelli più popolari e che riuscivano a permetterselo, incaricavano la Mufatale di andare a prendere il loro vestito da sogno alle botteghe del villaggio.

Ogni vestito aveva un costo diverso, e visto che Prigus aveva emanato una legge che vietava ai "non-puri" (Teprei, Mufatale) di farsi pagare per i servizi che offrivano alla comunità, venivano pagati in giorni da passare al Tutum e non in Tùr – la moneta del Tutum – e non ne erano così tanto entusiasti.

Infilai di nuovo i mocassini, sbadigliai e serrai le tende.

Con il tessuto color crema e copriva le finestre, la stanza sembrava troppo buia.

Spensi anche la candela accanto al letto, sul comodino e feci per uscire.

Ignis stava con mamma nella camera dei nostri genitori, quindi non lasciai la porta socchiusa.

Mi nascosi accanto al muro, per non sembrare troppo visibile ed illuminato dalle candele. Non sapevo dove andare, ma era sempre meglio di rimanere in una camera buia da solo. Andai verso i piani più alti.

Ogni tre camere c'erano delle porte decorate in un modo molto regale: appartenevano alle guardie di corte, le persone care a Prigus e gli intellettuali che erano pronti ad agire in caso di attacco.

«Cavolo». Bisbigliai, avevo sbattuto il gomito su una candela, la cera calda m'aveva bruciacchiato la pelle.

Piegai il braccio, muovendolo un po', e continuai a camminare.

Diverse persone passavano, io mi nascondevo nelle prime stanze che trovavo: nessuno, a quell'ora, era nelle camere se non si nascondeva, quindi non correvo pericolo.

Sgattaiolando nelle porte socchiuse avevo visitato camere maestose, stanze della servitù, sgabuzzini e raccolte di cibo messe per tutto il castello sempre in caso di guerra.

Tutum: a kingdom in riskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora