Annabeth guardò la Moyasamu lì accanto, poi scorse lo sguardo da sinistra verso destra tutto intorno a lei, studiando la stanza. Le pareti erano tutte bianco latte, così come il tetto e le panchine lì attorno, tra le quali quella dove sedeva lei. Era completamente spoglio, tranne che per l'insegna sulla porta: "Dott. Brian Turner". Guardò l'orologio.
15.43
Era da tre quarti d'ora che aspettava seduta in quella stanza. Si alzò. Scrutò nuovamente l'ambiente in cerca di qualche particolare interessante, ma niente di nuovo. Un'unica fessura era situata a due metri da terra, l'unico spazio da cui penetrava un raggio soffocato dalla polvere. Annabeth salì sulla panchina proprio sotto alla finestrella, cercando di sporgersi per vedere qualcosa. In equilibrio precario si aggrappò alla sporgenza che fungeva da davanzale e diede un'occhiata all'esterno, in punta di piedi. Era al terzo piano di quell'edificio, da lì poteva osservare tutta la costa occidentale di Wellington e la punta di Blenheim all'orizzonte, nell'isola meridionale. Tolse la polvere dalla finestra con una mano, cercando di vedere meglio.
- Signorina Kailani, può entrare.
Il dott. Turner si era affacciato dalla porta del suo studio, prendendo Annabeth alla sprovvista. Lei si sbilanciò e rischiò di cadere indietro rovesciando la panchina, ma per sua fortuna riprese l'equilibrio e scese con un balzo, cercando di nascondere l'imbarazzo. Entrò nello studio seguita dal dottore, ma quando vide la madre sdraiata sul lettino con la testa tutta fasciata e l'impronta di macchie di sangue lungo il viso, dovette ritrarre lo sguardo.
- Qu-quanto ci vuole per...
- Stiamo cercando in tutti i modi di salvarla, per sua fortuna ha resistito all'impatto, ma potrebbe soffrire di una commozione cerebrale, non si può guarire. Se è grave se lo porterà a vita, speriamo solo che riesca a farcela. Da quando è qui non ha aperto né occhi né bocca, è completamente svenuta. La terapia durerà diversi mesi, c'è bisogno di un'operazione chirurgica. Ha una grave frattura nel cranio, sarà difficile aggiustarla.
- Ma almeno è... è viva?
- Percepiamo ancora i battiti, ma sono lenti e i respiri sono molto sottili. Per il momento sì, è viva, ma dobbiamo sbrigarci se vogliamo che resti in vita. Mi dispiace molto per sua madre, le prometto che farò tutto quello che è in mio potere per aiutarla, ma per il momento l'unica cosa che può fare è aspettare ed avere fiducia in noi dottori. Le do la mia parola.
Annabeth rivolse lo sguardo verso il basso, cercando di trattenere le lacrime e di mostrarsi forte. Provò a ringraziare il dottore, ma le tremava la voce e sapeva che sarebbe bastata anche solo una parola per farla scoppiare in lacrime, per cui girò i tacchi e uscì dalla stanza in silenzio, dopo aver guardato un'ultima volta sua madre distesa inerme sul lettino.
Uscita dall'ospedale di Wellington, trovò Emma che la aspettava fuori dal cancello d'ingresso.
- Come sta?
- Non è morta per miracolo.
Emma le si buttò tra le braccia.
- L'importante è che adesso è viva.
- Sì, ma non lo sarà a lungo.
A quel punto non riuscì più a trattenere le lacrime.
- Ho combinato un casino Emma. Ho quasi ucciso mia madre. Se solo avessi lasciato tutto com'era... sarei andata a vivere con i Brown, avrei avuto una vita normale, mia madre sarebbe riuscita a gestire le spese e a guadagnarsi da vivere e saremmo tutti qui felici e contenti. E invece non mi è bastato farla soffrire con la mia fuga, le ho pure provocato un danno cerebrale irreparabile! Perché non potevo morire io? Almeno non davo impaccio a nessuno e avrei messo fine a tutte queste disgrazie. Del resto a chi mancherei? Nessuno tiene veramente a me.
Emma stava per ribattere, quando comparve Noah dietro di lei:
- Annabeth, vieni qui un attimo per favore: ti devo parlare.
Emma la guardò cercando il suo consenso e lei calò il capo e si avvicinò a Noah, che la portò in un angolino tranquillo, sotto l'ombra di un abete rosso.
- Hai presente che ti avevo parlato di mia sorella, Elizabeth?
Annabeth ricordò del suicidio della sorella di cui Noah le aveva parlato e annuì.
- Bene. Lei era una ragazza piena di talento. Tutti quanti la chiamavamo Lizzie, era una nuotatrice formidabile. E non era solo mia sorella: era la mia gemella, per cui condividevamo un sacco di cose. O almeno è quello che credevo io. Davanti agli altri si mostrava sempre solare e sorridente, ma in realtà dentro di sé si sentiva una vera e propria merda. Dopo la morte di nostro padre e il trasferimento di nostra madre, lei non era più la stessa. Si rifiutava di fare qualsiasi cosa le venisse detto dai tutori dell'orfanotrofio. Ogni giorno, quando tornavo da scuola, sentivo singhiozzi provenire dalla sua camera ed è andata avanti così fino a quando ho deciso di intervenire. Le ho chiesto come stava e ho insistito per aiutarla a sfogarsi ma, più ci provavo, più lei si arrabbiava e mi respingeva. Siamo arrivati al punto di non parlarci più per mesi. Era proprio come te in questo momento. Era convinta che non potesse accaderle di peggio e che nessuno tenesse a lei. Ma non era così e non lo è neanche per te. Un giorno, tornato da un allenamento di basket, ho trovato tutti i ragazzi dell'orfanotrofio, le badanti e persino la polizia attorno a un punto davanti alla struttura. Le sirene delle macchine di polizia erano accese, gli agenti cercavano di calmare il panico e di gestire la situazione al meglio possibile, ma il trambusto regnava. Quando mi sono avvicinato per vedere di che si trattava e ho intravisto il corpo di una ragazza disteso per terra, sono diventato ancora più confuso. Ho chiesto informazioni e mi hanno detto che una ragazza si era buttata giù dal quinto piano, ma non appena l'ho messa a fuoco e ho riconosciuto in quel cadavere il corpo di mia sorella...
Non mi perdonerò mai di non essere riuscito a salvare Lizzie. E ora non permetterò che accada lo stesso anche a te. Qualunque cosa succeda, io ti sosterrò e ricordati sempre che per qualsiasi cosa io sono qua, pronto ad aiutarti. Se c'è una cosa che ho imparato, è che la vita è un dono e deve essere vissuta fino all'ultimo, costi quel che costi.
Annabeth gli afferrò il viso con un colpo violento e lo baciò, smorzando i singhiozzi.
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Moyasamu
Ficção Adolescente"Più è profonda la ferita, più sarà grande il sollievo una volta guarita" Annabeth odia la sua vita. Vorrebbe prenderla e farla a pezzi, distruggerla. Da quando suo padre è morto, si è dovuta trasferire insieme alla madre in Nuova Zelanda per proble...