Shopping fever e malinconia

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Al suono della campanella, non riesco a frenare Chiara dal trascinarmi fuori scuola - letteralmente inteso - scuotendomi il braccio fino alla fermata del bus, per tartassarmi su Manuel.

"No, dico, ma vi siete visti? Cosa avete fatto per una buona mezz'ora dalla fine della ricreazione?" continua come se custodissi un segreto di stato.

"Ti deludo se ti dico che non abbiamo fatto niente?" a parte flirtare con lo sguardo, ma quello non significava nulla, giusto? Così come avevano flirtato le sue dita con le mie labbra... La mano di Chiara che continua a scuotermi il braccio - come faceva Jackson quando non voleva fare i compiti - mi desta dall'immagine di Manuel che mi guardava insistentemente mentre io beneficiavo della sua mano sul mio collo e della sua carezza che si faceva sempre più ferma e intensa.

"L'avevo capito da subito che ti piaceva, non ti ho mai visto guardare un uomo nello stesso modo in cui guardi lui" mi guardo fugacemente intorno.

"Shh, almeno non dirlo ad alta voce..."

"Perché hai paura possa sentirti? Credo che gli faresti solo un piacere, almeno saprebbe di avere strada libera..." dice coprendosi la mano con la bocca, come se avesse detto qualcosa di indecente. Ogni volta che la vedevo esaltata mi faceva ridere e, anche se stiamo parlando di me e della mia probabile infatuazione, non riesco a rimanere seria.

" D'accordo, ci vediamo domani..."

"Sai già cosa mettere sabato?" mi chiede a bruciapelo.

"No..." ammetto sbuffando. Mi piaceva uscire il sabato, soprattutto con Stefano e Chiara, ma pensare a cosa indossare mi annoiava sempre, quasi al punto da farmi preferire restare a casa. Fosse stato per me, avrei optato puntualmente per un paio di jeans e un top. Quanto erano fortunati gli uomini che se la cavavano con una camicia e un pantalone!

"Bene, ci vediamo alle sedici al centro commerciale" qualcosa nel suo tono di voce mi fa intuire che non avrebbe accettato un "no" come risposta, né qualsiasi tipo di scusa mi fosse venuta in mente.

"Ok" mi arrendo.

Stiamo perlustrando il terzo negozio di abbigliamento e, se non saremmo uscite da lì con almeno una busta in mano, molto probabilmente la sicurezza ci avrebbe fatte accomodare fuori dal centro commerciale, con tanto di commesse alle calcagna - quelle a cui stavamo movimentando un placido e noioso giovedì pomeriggio. Abbiamo messo a soqquadro le cabine dei precedenti e ora sto facendo fatica a trattenere Chiara dal non intaccare - di troppo - l'ordine che regna nella terza boutique.

Saltiamo il reparto casual, pigiami o intimo, proiettate sugli outfit da sera. Chiara, in modo convulso e ormai automatico, inizia ad appendersi le grucce alle dita, mentre, di tanto in tanto, mi sbatte un abito addosso, che vuol dire: questo provalo tu! Sfinita, mi abbandono sul puff arancione, per gli esausti accompagnatori dei fanatici dello shopping e per quelle ragazze che non riescono a tenere il passo delle amiche possedute dalla mania di comprare per forza qualcosa.

"Hai risucchiato tutte le mie energie, ora dimmi con quale coraggio mi presento al campo..." dico esausta. Se prima ero solo seduta sul puff, ora mi lascio sprofondare e per me la giornata sarebbe potuta finire anche lì.

"Semplice. Non ci vai" urla dalla cabina in cui si sta cambiando.

"Facile per te!" in quel momento sento dei passi verso di noi e, da una delle due colonne che introduce ai camerini, fa capolino la commessa del negozio.

"Posso offrirvi un tè?" una ragazza dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri a mandorla, si affaccia timidamente rivolgendosi a noi con una gentilezza che non è propria di tutte le commesse (almeno non a quelle con cui ci relazionavamo io e Chiara). Chiara esce di tutta fretta, ci guardiamo con aria interrogativa, sorprese dalla dolcezza di quella voce e soprattutto dalla gentilezza con cui si è rivolta a noi. Mi accorgo, dallo sguardo della ragazza che sembra in imbarazzo, che non le abbiamo ancora risposto.

"Oh sì, ci farebbe molto piacere. Scusaci se siamo sorprese, ma quando io e Chiara facciamo shopping insieme non siamo abituate a ricevere trattamenti cortesi, direi che siamo più l'incubo delle commesse di qualsiasi negozio..."

"Figuratevi, mi fa piacere" la seguiamo con lo sguardo fino al momento in cui sfila dalla sua borsa un termos e ne versa il contenuto in tre tazze.

"Mai visto niente di più gentile da una commessa" commenta Chiara a bocca aperta e io sono completamente d'accordo, a tal punto da rendermi conto che siamo del tutto disabituate a ricevere o aspettarci simili gesti. La ragazza torna da noi, che accettiamo volentieri le tazze che ci porge. Non è italiana, ma dai lineamenti e dall'articolazione delle parole deduco che deve essere di origine orientale. Approfitta per fare una pausa, visto che il negozio, per ora, è privo di clienti, eccetto me e Chiara, che le chiede un consiglio per l'abito che ha scelto.

"È per un'occasione in particolare?"

"Un semplice sabato sera" risponde Chiara con entusiasmo, come se sabato fosse la sua festa di compleanno. Rotea su sé stessa, facendoci sorridere.

"Forse per il fucsia è ancora presto, hai già provato quello rosso?" le chiede indicando l'abito appeso in camerino.

"Hai ragione, neanche a me convince il fucsia, sono troppo bianca" io e la ragazza sorridiamo di nuovo.

"Provo l'altro..." dice convinta.

"Sono Nahoko" si presenta chinando lievemente il capo.

"Brenda" ricambio il suo tono gentile "grazie per il tè" aggiungo levando la tazza verso di lei.

"Oh no, sono io che devo ringraziare voi, avete portato un po' di brio in questo negozio. Mi stavo annoiando e quando mi annoio torna la malinconia..." mormora. Noto il progressivo cambio di espressione. La luce nei suoi occhi ha ceduto il posto a una tristezza lieve, che la porta a chinare la testa e a soffermarsi sul contenuto della tazza che ha in mano.

" Posso chiederti cosa ti provoca malinconia?" le lascio del tempo per rispondere.

"La distanza dalla mia famiglia. Loro sono a Tokyo. Io li ho lasciati per iscrivermi all'Università qui..." ora le è tornata di nuovo la luce che avevo colto quando ci aveva offerto il tè.

"Da quando sei in Italia?" le chiedo dolcemente.

"Da agosto, dello scorso anno. Ma non mi pento della mia scelta. Sognavo di venire in Italia da quando vidi un documentario sugli Uffizi... avevo sei anni" confessa.

"Immagino che stia studiando beni culturali..." azzardo. Lei lo conferma con fierezza.

"Be', allora come sto?" chiede Chiara scansando la tenda, e con lei ogni suggestione e malinconia, uscendo dal camerino con fare teatrale.

"Molto meglio" pronunciamo io e Nahoko insieme.

"Allora è deciso..." dice continuando a esaminarsi in varie pose.

"Tu non provi niente?" chiede ora rivolta a me.

"Non credo di avere tempo" dico controllando l'ora dallo smartphone.

"Se ti interessa qualcosa puoi prenderlo in prestito e riportarlo domani" propone con un sorriso gentile sulle labbra. Sono sorpresa, oltre a sentirmi coccolata, dalla sua disponibilità.

"Ehm... d'accordo, allora... proverò questo" dico optando per uno dei tubini che Chiara ha scelto per me. Le propongo di scambiarci il numero di telefono, per precauzione, qualora non fossi riuscita a tornare il giorno dopo per impegni o - più probabile - se l'avessi dimenticato. Anche Chiara le lascia il suo e ci salutiamo con la promessa di rivederci anche al di fuori del centro commerciale.

"Che carina!" esulta Chiara "non ho mai incontrato una commessa dolce come lei..."

"Proprio perché forse non è italiana e sta facendo questo lavoro per necessità, non come se l'avessero costretta..." sbotto, risentita per l'atteggiamento che avevamo ricevuto dalle altre.

"Dovremmo chiamarla qualche volta, così usciamo insieme..." propone Chiara entusiasta, agganciata al mio braccio.

Un amore da serie ADove le storie prendono vita. Scoprilo ora