A ti yo sola no te dejaré

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"Vuoi rientrare?" prima che risponda qualcuno si rivolge a noi.

"Ciao, disturbiamo?" è Natalia, insieme a Gaia e Martina, che neanche mi salutano. Sono tutte e tre ubriache e si avvicinano a Manuel che, imbarazzato, non sa cosa fare. Io mi tiro momentaneamente indietro, mi guardo intorno per cercare Stefano e Chiara, ma lì fuori non ci sono. Senza curarmi di loro, avviso Manuel che sto per rientrare.

"Vengo con te..."

"Veramente volevamo chiederti di venire con noi al Pool" Natalia si attorciglia al suo braccio e per poco non mi scaravento su di lui per portarlo lontano da lei. Ok, calma. Da dove esce questo istinto di possessione? Lui non è tuo, tu non sei sua. Non siamo niente... per ora, mi vien da dire. Scuoto la testa. Non è il momento di perdersi in ragionamenti contorti. Il Pool. Ovviamente. Il locale dei figli di papà, come lo aveva nominato Chiara, frequentato soprattutto da universitari, studenti di diritto, medicina o figli di avvocati, medici, imprenditori, insomma dovevi disporre di un bon-ton genetico se volevi ritrovarti in quell'ambiente, che in realtà piaceva anche i giocatori del Raven.

"Ah il Pool" risponde lasciando intuire che lo conosca già "vi ringrazio per la proposta, ma resto qui" poi volge lo sguardo verso di me "voglio ballare con Brenda" se non sapessi per certo che non potrei, in alcun modo, essere ubriaca, avrei dubitato di quelle parole e delle fiamme che il suo sguardo sprigiona. Fiamme che, vere o no, mi sembra di percepire sul mio viso, improvvisamente fattosi troppo caldo. Natalia mi destina un'occhiata talmente affilata che avrebbe potuto ferirmi.

"Perché quella può ballare?"dice con un disprezzo che, se non fossi ancora stordita dall'effetto che hanno avuto le parole di Manuel su di me, avrei potuto farle pagare l'infortunio alla caviglia.

" Anche meglio di chiunque altra ragazza abbia ballato questa sera" Manuel, a passo deciso, cammina verso di me. Mi prende la mano e mi porta dentro. La pista è ancora piena, la musica è ancora alta e, dopo aver lasciato i nostri soprabiti, ci lasciamo guidare dalla musica. Quando ci troviamo al centro del locale, dalla console si diffonde La la di Myke Towers.

"Te la senti?" annuisco. Probabilmente domani non potrò camminare o, per come mi sento ora, potrò togliere la fasciatura. L'adrenalina, le endorfine e le dopamine che risveglia e scatena in me mi fanno librare in uno stato di totale leggerezza e libertà che non ho mai provato. Mi consegnano ad una me che non conosco ma che sono curiosa di incontrare.

"A ti yo sola no te dejaré" canta sulle mie labbra.  Manuel Medina che cosa mi hai fatto? Sulla musica i nostri corpi danzano come nati per quel momento, i miei fianchi per aderire alle sue mani che delicatamente, senza prepotenza, ma eleganza, mi sfiorano per assecondare i miei movimenti, così come io mi lascio sedurre dai suoi ritmi. Balliamo in sintonia, danzando anche con gli occhi, fusi in un'intesa che non si consuma, come amici, come amanti, come due anime che si stanno scoprendo.

Quando le sue mani finiscono sui miei fianchi, spontaneamente attorciglio le mie braccia al suo collo. Il suo profumo mi riveste, lo sento su di me e anziché privarmene, mi lascio avvolgere perché mi restituisce nuova linfa. Per la prima volta, mi sento sicura, tranquilla, padrona del mio corpo, di come lo muovo, perché sto ballando per me e per nessun altro, con un ragazzo che non vuole approfittarsene, con un ragazzo che mi sta rispettando senza rivestirmi di sguardi carichi di malizia, prepotenti allusioni sessuali e apprezzamenti non richiesti. Quando il deejay cambia canzone (El Farsante di Ozuna) – probabilmente il quinto pezzo da quando eravamo rientrati - mi rendo conto che la sala da ballo si è svuotata. Siamo rimasti in pochi.

"Che ore sono?" chiedo mentre mi affretto a prendere il cellulare, ma poi mi ricordo di averlo lasciato nel cappotto poco prima – anzi, molto tempo prima a dedurre dalla gente che è rimasta.

Un amore da serie ADove le storie prendono vita. Scoprilo ora