Non posso vederti così

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Non è solo un mese impegnativo per me, i cui pomeriggi ormai ammontano a non meno di quattro ore di studio giornaliero, ma anche per mio fratello che rivendica sempre più il mio aiuto, per greco soprattutto. E non ho mai desiderato il mio momento di libertà quanto ora. Prendo il borsone, la giacca di Alessandro, il cambio per la cena con Manuel e mi infilo nel suo mini suv. Mi piace, sono comoda al volante e poi il suo profumo, come una carezza, mi inebria facendomi sentire al sicuro.

"Cavolo... proprio ora" bisbiglio a denti stretti. I carabinieri non mi hanno mai fermato da quando ho preso la patente e quando devono farlo? Ma ovviamente ora, che non sto guidando neanche la mia macchina. Prego e spero che Manuel abbia tutto in regola. Quando smettono di agitare la paletta, mi accosto e abbasso il finestrino cercando di sfoderare il miglior sorriso – finto e di circostanza – che ho.

"Patente e libretto" sulla patente ci siamo. La sfilo dal portafogli che ho nella borsa, ma chiedo di pazientare perché, spiego, non è la mia auto.

"Non si preoccupi, faccia con calma" deve avere circa trent'anni, è alla mano e ha un sorriso contagioso che mi mette subito a mio agio. Quando apro il cruscotto, mi abbasso leggermente per cercare il libretto e, mentre tasto con la mano, mi ritrovo con una bustina di cocaina, di più piccola dimensione rispetto a quella nell'armadietto di Cristian.

La vista mi si annebbia improvvisamente con tanto di immagini che sopraggiungono chiare e vivide di me che vengo arrestata per spaccio. Inizio a sudare a freddo.

"Signorina, lo ha trovato?" le parole del carabiniere mi riportano alla realtà, faccio finta di continuare a tastare, spingendola verso l'angolo del cruscotto e sfilo un'agenda, dove, fortunatamente compare il libretto. Ringrazio chiunque mi abbia dato la forza di non restare immobile e terrorizzata con quella bustina in mano.

"Perfetto" aggiunge sorridendo. Sento improvvisamente un calore farsi strada fino al collo, tolgo in fretta i bottoni del cappotto dalle asole.

"Si sente bene?" si assicura. Annuisco.

"Può andare" dice e, a quanto pare, sono libera. Ho bisogno ancora di qualche minuto prima di partire. Non posso crederci. Mi ha mentito? È sua quella bustina? Di chi mi sto fidando? Riaccendo l'auto e mi dirigo al parcheggio del campo di atletica con il cuore in gola.

Ho le mani strette ancora sul volante, un appiglio alla vertigine che mi fa girare la testa dal momento in cui ho visto quella polverina bianca materializzarsi nel palmo della mia mano. Non riesco a credere che avrei potuto rischiare di essere arrestata.

Mi appello a tutte le mie forze per scendere dall'auto. Quando incontro il mio volto nello specchietto retrovisore mi spavento per il pallore che mi possiede. Ho bisogno d'aria per cui mi affretto a raccogliere le mie cose e anche la giacca di Alessandro per poi chiudere l'auto, riporre rapidamente le chiavi nella borsa quasi provassi repulsione per quel veicolo.

Fortunatamente il caos nello spogliatoio mi distrae ma, appena raggiungo la mia corsia, la preoccupazione del coach risveglia nuovamente l'agitazione che ho provato prima.

"Bren, ti senti bene? Hai mangiato?  Sei pallida... non so se puoi correre in questo stato..."

"Sto bene coach."

"D'accordo, inizia, ma ti tengo d'occhio" intraprendo il mio giro e, non appena ho concluso il primo, scorgo Manuel che, come d'accordo, è già sugli spalti. Mi rivolge un saluto caloroso, il suo volto è rilassato. Ma come può? Sapeva che avevo la sua auto e non si è minimamente preoccupato che potesse capitarmi un imprevisto del genere. E se mi avesse messa volutamente in pericolo magari per proteggere qualcuno? Mi fermo. Ansimante. Ho bisogno di appoggiarmi alle ginocchia.

"Brenda" il coach mi raggiunge "come ti senti?"

"Sto bene..." mento, respirando a fatica.

"Andiamo a prendere un po' di acqua e zucchero e poi a casa, d'accordo? Per oggi basta così" mi raccomanda.

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