"Non devi dimostrare niente a nessuno"

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"Perché le hai dato retta?" sono le prime parole che mi rivolge quando mi lascia sul lettino in cui mi visiteranno Scuoto la testa.

"Ero esasperata... forse" dico chinando la testa. Mi vergogno, non so neanch'io perché l'ho fatto, ma, lui, in qualche modo è la causa e questo basta a farmi sentire ancora più stupida. Le sue dita, il pollice e l'indice, giungono a sollevarmi il mento. Posso nuovamente perdermi nei suoi occhi, color cioccolato, e posso intuire, dal modo in cui il mio corpo sia scosso da un tremito insolito, che potei sciogliermi nfinite volte dentro di loro, tutte le volte in cui li avrei incontrati.

"Non devi dimostrare niente a nessuno, Brenda" sussurra sulle mie labbra.

"Non voglio dimostrare niente infatti..." ribatto, sedotta dall'incantesimo della sua intensità, con lo sguardo fisso sulla sua bocca, preda di una delirante voglia di essere nuovamente baciata da lui. Le punte dei nostri nasi si sfiorano, non saprei dire chi dei due si è avvicinato per primo all'altro, ma è il movente perché le sue mani inizino a correre sulle mie cosce con una lentezza che mi fa scoprire, a poco a poco, il mio desiderio di lui.

Presa dall'irrefrenabile - carnale - necessità di toccarlo, faccio risalire le mie mani sui suoi fianchi fino al petto. Apro gli occhi, mentre avverto naturalmente il bisogno di toccarlo, di avere la prova che sia lì davanti a me e che non vorrei mai rinunciare a quello che sto provando in questo momento. È come se la mia esistenza inizi ora, ora che mi guardano i suoi occhi, ora che le sue labbra sembrano chiamare le mie e le sue mani, prepotenti, vogliono toccare il mio corpo.

Un brivido mi corre lungo la schiena quando mi afferra per i fianchi facendomi scivolare verso di lui. Lo sento. Sento la sua eccitazione che mi fa vibrare tutta. Mi mordo il labbro inferiore. Allora le sue mani risalgono su di me fino a cingermi il collo. Vorrei che questo momento non finisca mai. Vorrei vivere perpetuamente in questo attimo di pura, totale, elettrizzante seduzione con cui mi allaccia a lui, rendendomi ebbra e sazia.

Le sue labbra approdano sulla mia fronte in un bacio tenero, rassicurante, premuroso, con cui i nostri corpi si congedano, prima che entri il fisioterapista e la violenza improvvisa con cui le mie emozioni entrano in tempesta si assopisca. Probabilmente deve aver sentito la sua voce o i suoi passi, ma io rimango confinata in un'altra dimensione che non voglio lasciare così presto, finché, controvoglia, ma inevitabilmente, non si allontana da me.

"Lei è Brenda. Te la affido, trattala bene" si assicura Manuel, strizzandomi l'occhio. Ho ancora i sensi annebbiati per l'intensità del sentimento che avevo provato. Cos'è stato? Sono fuori controllo. Ancora febbricitante per via dell'elettricità scaturita dall'incontro dei nostri corpi, cerco di ritrovare la lucidità ricordandomi perché sono lì, in quello studio moderno, dall'arredamento grigio e bianco.

"Tu pensa a rigare dritto" lo redarguisce Mario (ho letto il nome dalla targhetta sul taschino della maglia blu della società). Manuel, con un sorriso divertito, esce.

"Non si comporta bene?" chiedo prima che Mario inizi a visitarmi.

"Non è colpa sua, ci passano tutti quando arrivano..." risponde mentre mi aiuta a stendermi.

"Che vuole dire?"

"Dammi del tu" dice accennandomi un sorriso, che ricambio "i nuovi acquisti, specialmente se giovani, vengono..." si interrompe per cercare una definizione adatta "bistrattati dai più grandi ed esperti... provocano, istigano, li ostacolano in tutti i modi, è una sorta di svezzamento" dice come se fosse una situazione normale.

"Ma è ingiusto" protesto "non dovrebbe essere il contrario? Non dovrebbero essere da esempio?" .

"Certo... ma noi dello staff non siamo dei babysitter o degli educatori e poi prima si temprano, meglio è..." rifletto ancora su quelle parole, devo leggere quell'articolo, ancora infilato nella tasca posteriore dei jeans indossati quella mattina.

"Non preoccuparti per Manuel, ha un bel carattere" arrossisco, come se avesse toccato un tasto intimo che non avrei voluto condividere.

"Ora pensiamo a te... ti fa male qui?" chiede mentre tasta il collo del piede.

"Ahi..."

Me la sono cavata con una fasciatura. Come aveva previsto il coach è una distorsione, devo ridurre al minimo gli sforzi per poter recuperare il prima possibile. Entro due settimane posso togliere la fasciatura e riprendere - a bassa intensità - a correre. Dopo aver ringraziato Mario, che si è cortesemente proposto di togliermi la fasciatura entro il tempo stabilito, lascio lo studio e scorgo Chiara - in preda ad una camminata nervosa e frenetica, scandita da movimenti in avanti e indietro, sotto il porticato che segna l'ingresso alla palestra - ad aspettarmi.

"Chi..."

"Bren! Come stai? Non mi hanno fatta entrare" sbotta.

"Tranquilla, sto bene. È solo una distorsione."

"Solo una distorsione?!" la sua espressione mi fa paura "quella è pazza da legare! E tu perché hai accettato di correre contro di lei? Non le dai mai corda, cosa ti è preso? Non posso crederci... ti ha tirata giù! L'abbiamo visto tutti!" Chiara è furiosa e spaventata.

"Lo so Chi, ho sbagliato io. Dovevo ignorarla, come sempre, invece mi sono limitata a fare il suo gioco e..." abbasso lo sguardo verso la caviglia "l'ho pagata" mi stringo nelle spalle.

"Come fai ad essere così tranquilla? Io le righerei l'auto e dimmi un valido motivo per non farlo" impreca, strabuzzando gli occhi.

"Diciamo che... ho avuto il mio tornaconto" la butto lì, so che è il genere di discorsi che piacciono a Chiara. Per quanto mi faccia piacere vederla preoccuparsi per me, mi sento davvero l'unica responsabile. Non avrei mai dovuto dar retta a Natalia e preferisco dimenticare l'episodio perché più ci penso più mi sento stupida e immatura ad essere caduta nel suo gioco. Ma, almeno, la mia esca - con Chiara - ha funzionato. Cambia improvvisamente espressione. Ora sembra pendere dalle mie labbra.

"Dimmi cosa è successo..." mi intima.

"Andiamo in auto... credo che debba guidare tu."

Ci dirigiamo verso il parcheggio e, dopo aver recuperato le chiavi dalla mia borsa, le lancio a Chiara, perché prenda il mio posto di guida.

"Allora...?" incalza.

"Niente di che... ci siamo ritrovati molto vicini e..."

"E...?"

"E poi è entrato Mario" dico, smorzando l'attimo di suspense.

"Chi cavolo è Mario?" chiede strabuzzando gli occhi.

"Il fisioterapista" spiego.

"Quindi non... non vi siete baciati?" ha il tono spezzato, come se le avessi rovinato il lieto fine.

"No" rispondo divertita. Infine, era vero, ci eravamo più... esplorati.

"Anche se non vi siete baciati, credo che tu gli piaccia davvero. Si è spaventato appena ti ha vista cadere giù, mi correggo... tirare giù da Natalia, ha iniziato a correre per raggiungerti" le parole di Chiara mi arrivano come una carezza.

Non ho mai ricevuto una simile attenzione da un ragazzo e non posso fare a meno di pensare allo strano, inedito e inaspettato effetto che Manuel ha avuto su di me fin da subito, da quando è entrato in aula, solleticando e stuzzicando angoli remoti di me, che ancora non conosco, la sua immediata confidenza nei miei confronti, come se mi conoscesse da sempre, i miei sforzi a reprimere quella simpatia (?) verso di lui che mi fa paura. Se è vero che due persone che si amano si riconoscono subito, io e Manuel ci stavamo riconoscendo? Scaccio quel pensiero, concentrandomi sui problemi che mi ha già procurato il suo arrivo, tra cui l'oscillare della mia lucidità, cosa che mi ha spinta persino a sfidare Natalia...

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