3- SEHUN

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Nonostante l'abbia riconosciuta, non sembra esserne particolarmente felice anzi, sembra ancora più irritata. Sposto il peso del mio corpo da un piede all'altro, incrociando le braccia al petto, mentre lei, sempre più vicina, mi riversa addosso il suo risentimento. Potrei darle ragione se non stesse dando spettacolo di sé – e di me – davanti a tutti. Per quanto qui sia un posto fidato, sta comunque parlando di qualcosa che riguarda la mia vita privata e non posso permettermi di correre alcun rischio. «Dici di non essere più baby thunder ma è solo una questione di numeri, dentro di te c'è sempre da qualche parte.»

Le sorrido anche se lei non può vederlo, azzerando la distanza tra di noi e voltandola, poggiandole una mano sulla schiena. «Lei è mia ospite...», dico rivolto alla receptionist che è ancora al telefono. Scuoto il capo in segno di disapprovazione, per tornare poi ad Hanna, il cui sguardo non promette nulla di buono. Sono certo che oggi sarò il suo parafulmine. Forse me lo merito anche e forse, non so perché, mi aspettavo che prima o poi questo incontro sarebbe arrivato.

Il Karma doveva colpirmi da qualche parte.

«Dai, ti do l'autorizzazione di insultarmi, però non davanti a tutti.», la accompagno al mio tavolo, che le darà la giusta privacy per tirare fuori il suo temperamento e qualsiasi cosa decida di dirmi. Ovviamente, anche se provo a spostarle la sedia, mi sposta la mano e si accomoda da sola. Alzo le braccia in segno di resa, andando a prendere posto di fronte a lei, sperando di aver preso bene le misure. Ricordo che durante quei due – bellissimi – anni insieme, prima che tutto svanisse, prima che scomparissi dalla sua vita come una nuvola di fumo, ogni volta che si arrabbiava mi colpiva il braccio; non si direbbe mai che uno scricciolo come lei sia in grado di colpire tanto forte, eppure i suoi colpi facevano male, eccome!

«Dimmi se hai intenzione di schiaffeggiarmi, colpirmi o esprimerti con qualsiasi tipo di violenza fisica, così mi preparo. Però non in faccia, sai...», lascio scivolare la frase, lasciando che sia lei a trarre le conclusioni. Sfilo la mascherina e sul volto mi si dipinge un lieve sorriso, guardandola negli occhi, con quell'espressione corrucciata in viso che anche in passato le disegnava due piccole rughette sulla fronte.

«Mi dispiace di non averti riconosciuta subito, Nana. Ora che ti guardo bene non sei cambiata di una virgola.»

Come mi aspettavo però la sua espressione non cambia, forse è pure peggiorata, non saprei definire. Sto cercando di stemperare la cosa, non può essere ancora così arrabbiata dopo tutti questi anni.

«Come stai? Raccontami un po' di te... Cosa hai combinato nella vita? Ah, ti piace ancora il cibo piccante?», le chiedo, ricordando quante volte mi ha battuto alle gare; scommettevamo a chi avrebbe mangiato la gradazione di kimchi piccante più alta. Io mi arrendevo quasi subito, lei era una macchina da guerra.

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