'This is the start of something beautiful,
this is the start of something to new.'
This, Ed Sheeran.
Kyle
«C'è qualcuno con te?» chiese con quella voce surreale. Alzai un sopraciglio, chi potevo portare con me? Non avevo semplicemente nessuno, nessuno su cui contare. Buttai la sigaretta sul selciato e la spensi con la punta della scarpa, poi risposi: «No.» Notai che Kyle fissava ardentemente la mia scarpa schiacciare il filtro, lo guardai curiosa, almeno provava altri sentimenti e non solo la felicità di veder soffrire gli altri. «Ne vuoi una?» chiesi. «Ce l'hai?» domandò, un timbro di speranza proruppe dalle sue labbra. «Se non ce l'avessi non te la offrirei.» detto ciò, gli lanciai il pacchetto. Il ragazzo l'afferrò espertamente, lo scrutò curioso, poi ne tirò fuori una e se la posò sulle labbra. Non appena l'accese iniziò ad aspirare voracemente.
Mi permisi di pensare da quanto non fumava.
«Come hai fatto ad arrivare sin qui?» domandò.
Per un secondo mi tranquillizzai, secondo Kyle potevo aspettare ancora a veder mio fratello, la tal cosa era un bene.
Dovevo, però, stare attenta anche a come parlavo, se era stato Kyle a scrivere quegli enigmi, significava che era un gran manipolatore e quindi sapeva rigettarti contro le tue parole, come vipere.
Non ero mai stata una chiacchierona, figuriamoci una manipolatrice, ma avrei dato il mio meglio, per Met.
«Sono già venuta qui con Zayn.»
Mi scrutò a lungo, «E' una strada molto intricata, come hai fatto a ricordartela?»
In entrambi i casi m'aveva guidato il moro per giunger sino a lì, respirai a fondo e mormorai: «Ho memoria fotografica. - Le parole m'uscirono di bocca sicure, - Inizialmente la strada non è sterrata, ma è più stretta rispetto a una strada normale, un camion ci passerebbe a malapena. - Dissi tranquilla, - Poi devi svoltare a sinistra, me lo ricordo perché sul ciglio della strada c'è un albero.»
Avevo il ricordo vago d'un albero, ma ero quasi sicura che ce ne fosse uno prima di entrare nella strada sterrata.
«Il salice piangente.» sussurrò Kyle più a se stesso che a me.
Annuii in accordo, «Da lì la strada diventa sterrata, e ai lati c'è il granturco, le spighe sono molto alte, infine svolti in una stradina. - Alzai la mano e indicai la strada dalla quale giunsi al covo, - Le spighe diminuiscono lì e sono anche più basse, poi arrivi qui.» sospirai, sorpresa di me stessa, non avevo mai costatato tutto quel talento nell'osservare.
Non mi ero neanche resa conto d'aver una memoria fotografica.
«Ho sempre creduto che fossi una tipa sveglia.» mormorò sputando fuori il fumo sia dalla bocca sia dal naso, attingendo un'aria spettrale e bellissima al tempo stesso.
Abbassai il capo, fissando i sassolini e le mie scarpe. Non serviva concordare con lui, mi sarei elogiata da sola e qualcosa mi diceva che a Kyle non sarebbe piaciuto, quindi me ne stetti zitta.
«Come hai fatto a capire gli enigmi?» chiese dopo un po'.
Rimasi pietrificata impercettibilmente, in meno di un secondo focalizzai che Kyle sapeva che ero riuscita a decifrare gli enigmi, l'aveva sempre saputo.
Mi controllava? Ovviamente sì, ma con più riservatezza rispetto alla prima volta, così aveva scoperto che stavo appiccicata a Met come una sanguisuga, che non lo lasciavo mai solo.
Da questo fatto, doveva aver intuito che avevo capito tutto.
Mi permisi di pensare se l'altra sera non fosse stato lui a mandare Harry a casa mia, ma poi calcolai che Kyle non sapeva dei cinquecento dollari lasciati sotto lo zerbino, Kyle non sapeva come avrebbe reagito Harry, Kyle non sapeva di mia nonna.
Harry era venuto a casa mia di sua iniziativa, ma c'era qualcosa che non andava. Il riccio m'aveva detto di godermi l'arrivo del castano... Louis!
Ma certo, loro due nello sgabuzzino avevano parlato di me. Ricordai il sorriso malizioso del mio amico e lo sguardo serio e sorridente di Harry.
Avevano programmato loro il suo arrivo, ma a quanto pare il riccio era arrivato in anticipo, perché sapevo che Louis m'avrebbe fatto chiudere la bocca in tempo.
Da lì, Kyle o Natan avevano iniziato a gustarsi il mio dolore, e poi preso Met.
Deglutii, «Quello dei colori si riferiva al colore degli occhi. - Mormorai ricordando come l'avevo interpretato, - C'era il marrone, conosco solo due persone che hanno gli occhi marroni, cioè Liam e Zayn, Liam in questa storia non c'entra nulla, quindi il marrone è Zayn. - Sospirai, - Poi c'era il nero, sebbene tu non abbia gli occhi neri, quel colore è quello che prevale su tutto, quindi eri tu.»
Mi scrutò a lungo, quasi sorpreso che fossi riuscita a interpretarlo esattamente come lui l'aveva scritto, «Perspicace.»
Abbassai il capo, inerme.
«Poi c'era il verde, anche qui, conosco poche persone con gli occhi verdi, e una di quelle è Harry, ma lui non c'entra con questa storia, quindi rimanevo solo io.»
Kyle s'irrigidì leggermente quando nominai il nome del riccio, ma non gli diedi peso.
«Infine, l'azzurro. Hai dato subito l'idea di un colore che moriva subito, come se fosse fragile, quindi supposi Niall inizialmente, ma non c'entra nulla, e allora ho capito che dovevo cercare un anello debole, e quindi sono giunta a Met.»
Non dovevo assolutamente dichiarare a Kyle che sapevo della sua natura malvagia, se avesse scoperto che sapevo che viveva del dolore degli altri, non c'avrebbe messo molto a portare fuori Met e massacrarlo davanti ai miei occhi.
Anche qui dovevo rimanere molto cauta con le parole.
«Il secondo?» faceva quasi fatica a trattenere la curiosità.
Sembrava quasi vulnerabile, come se potesse provare altre emozioni oltre alla goduria.
«Ero più avvantaggiata, sebbene ci fosse uno stato in più, anche lì c'era lo stato che prevaleva su tutti, quindi l'ho collegato a te, l'America. - Spiegai, - Zayn ha tratti arabi, quindi lo collegai subito all'Arabia. Avevo capito che stavi marcando sui tratti caratteristici, così cercai in Internet i tratti italiani, mi comparvero donne con fianchi larghi e capelli scuri mossi. - Deglutii, - Come li ho io, quindi ero l'Italia.»
Mi sorrise beffardo, e senza chiedermi il permesso si accese un'altra sigaretta. Se in casi normali fosse successa una cosa del genere, di certo avrei urlato contro a chi me l'aveva presa, ma quello non era un caso normale, per niente.
Lo lasciai fare, dovevo prendere più tempo possibile.
«L'Irlanda?»
«Nell'enigma c'era scritto che era un paese piccolo e povero, senza nulla, lo collegai subito a Met. - Spiegai, - Poi, pensandoci bene, se togliamo l'abbronzatura sulla pelle di mio fratello, ha gli occhi azzurri e i capelli biondi, sembra un perfetto irlandese.»
Annuì e vuotò le sue narici con del fumo, «E la Scozia?»
«In camera ho i libri di Twilight, nell'ultimo libro tutti i clan si riuniscono per aiutare i Cullen con la guerra contro i Volturi. - Notai che Kyle alzava un sopraciglio curioso, - A far parte di quei clan ce n'era uno scozzese, tutti i componenti avevano i capelli rossi, lo condussi subito a Kimberlee.»
Sembrava sorpreso che avessi trovato un'ulteriore soluzione nel fatto di decifrare quell'ultimo enigma, sembrò quasi colpito, ma cosa più importante, non era arrabbiato, solo stupito.
Il che era un bene, non era ancora giunto il momento.
«Perché ti sei cacciata in questa cosa?» domandò, scorsi nella sua voce un timbro dolce.
«Per aiutare un amico.» risposi accigliata.
Kyle scoppiò in una fragorosa risata di scherno.
Mi chiesi cosa ci fosse di così divertente infondo, pensai che solo lui potesse ridere per una cosa del genere, data la sua mentalità malvagia.
Nonostante quel pensiero rimasi incantata dalla sua voce, era la risata cristallina che hanno i bambini a cinque anni, per poi iniziare a mutare in quella d'un uomo.
«Aiutare? Davvero credi che rubando la droga aiuti qualcuno?»
Mantenni la calma, anche se per dieci secondi la rabbia s'insidiò nelle mie membra, facendomi mancare il respiro.
«Molte volte, per aiutare qualcuno, c'è bisogno di soffrire.»
Il suo viso s'irrigidì immediatamente, gli occhi imperscrutabili, dandogli un aspetto maligno e bellissimo, da far mancare il fiato, al tempo stesso.
Capii d'aver commesso uno sbaglio a dire quelle parole, ma infondo non me ne pentii più di tanto.
«Cosa ti ha detto il bastardo?» ringhiò quasi.
Compresi quasi subito che 'il bastardo' fosse Harry.
«Mi ha raccontato tutta la storia.» sospirai, irrigidita.
Kyle mi fissò dritto negli occhi, poi sussurrò: «Cassie era una puttana.»
Mi guardai spaesata in giro, non sapendo cosa dire, oltre a ciò che Harry scrisse nel suo diario non avevo la minima idea di come fosse sua sorella.
Mi chiesi innocentemente come una bambina di cinque anni potesse essere ritenuta una puttana.
Notai che Natan era scomparso, forse era rientrato nella casetta, e l'idea di quelle grosse mani sul corpicino minuto di mio fratello, mi fece tremare un istante.
«Cassie è sempre stata una puttana. - Ringhiò, le braccia lungo i fianchi, la mani strette in pugni talmente forti da far divenire le nocche bianche,- Ma Harry questo non poteva saperlo, Cassie c'era quando Meredith morì. - Guardò il cielo con uno sguardo feroce, - La vide mentre s'accasciava al suolo, mentre qualcuno la uccideva, lei c'era.»
Lo fissavo inespressiva, Kyle come poteva pretendere che una bambina di soli sei anni, aiutasse la sua migliore amica davanti a un assassino? Tutti sarebbero scappati, Cassie non aveva nessuna colpa, l'istinto di sopravvivenza aveva superato la lealtà.
«Era solo una bambina.» sussurrai.
«Non m'importa! Io avrei cercato di salvare Harry, avrai fatto di tutto! Avrei dato la mia vita! Io lo amavo!» urlò.
M'imposi di non indietreggiare, credendo che avrebbe solo peggiorato le cose.
«Meredith è nata il tredici aprile, così decisi che ogni tredici del mese avrei picchiato Harry, com'è giusto che sia, lui deve pagare in qualche modo.»
Un pensiero cupo s'insidiò dentro di me, la paura mi stava contaminando.
Paura negli arti, gelidi.
Paura del respiro, calmo.
Paura negli occhi perfidi di Kyle.
«Ho picchiato Harry il tredici giugno, e dopo una settimana lo spedì all'ospedale. - Ringhiò e sorrise feroce, - Picchiai te il tredici luglio, facendolo soffrire.»
Rise isterico, pieno d'ira.
Abbassai il capo, paurosa di vedere quella faccia surreale.
Fissavo i sassolini sul selciato, comprendendo che in quel momento Kyle m'avrebbe fatto soffrire, com'è giusto che sia.
Avrebbe trascinato fuori Met per i capelli e l'avrebbe picchiato davanti a me, con crudeltà e ira.
«Che giorno è oggi, Cameron?»
Feci mente locale, «Tredici agosto.» e alzai il viso, non feci in tempo a indietreggiare che il respiro di Kyle era a due centimetri dal mio naso, il sorriso beffardo, «Esatto.»
Mi tirò un pugno sulla mascella.
Sentii l'osso scricchiolare e indietreggiai, portandomi istintivamente la mano al viso, sentivo sotto il mio tocco la pelle pomparsi velocemente, accumulando sangue e urlando di dolore.
Gemetti quando un secondo colpo arrivò all'altezza delle costole, facendomi mancare il respiro e procurandomi alcuni singulti.
Non respiravo, il dolore al torace era troppo forte, niente riusciva a far pompare aria in tutto il corpo.
Dovevo andarmene, fuggire, la mia unica soluzione era scappare.
La macchina.
Distava solo duecento metri da Kyle, una distanza impossibile, irraggiungibile.
Nonostante ciò, mi voltai e iniziai ad arrancare verso il veicolo.
L'ennesimo dolore mi piegò, sentii gli occhi pizzicare, ma trattenni le lacrime, consapevole che Kyle avrebbe goduto di più nel vedermi così inerme.
M'aveva colpito l'osso sacro, causandomi la mancanza d'aria nel mio corpo, di nuovo.
Sentii una presa stretta afferrarmi i capelli e tirandomi maldestramente, sbattei contro il suo petto gracile, ma incredibilmente duro.
Mi sorpresi per la milionesima volta di quanto il suo corpo potesse apparire debole, ma nascondeva una miriade di muscoli.
«Buona.» mi soffiò nell'orecchio.
Mi lasciò andare con un strattone, mi voltai e il suo pugno andò a finire contro la clavicola. La sentii piegarsi in una posizione innaturale, me l'aveva sicuramente rotta, urlai dal dolore e caddi a terra, inerme e mi rannicchiai su me stessa.
Come un gomitolo di lana, e intanto il gatto ci giocava con quel gomitolo, stroppicciandolo, disfandolo, portandolo a un unico filo.
Iniziò a riempirmi di calci, e dopo un po' non sentivo nemmeno la sensibilità del mio corpo, mi lasciai andare semplicemente. Sentivo dolore particolarmente sugli stinchi e sulla pancia, probabilmente Kyle alternava le mie gambe e la mia pancia.
Dopo minuti, o forse ore, terminò e lo sentii allontanarsi.
Mi voltai verso il cielo, nero come il petrolio e lo fissai inespressiva.
Chiusi gli occhi, mentre lacrime amare percorrevano le mie guance.
«Scusami.» sussurrai riaprendoli, non essendo a conoscenza del perché lo stavo sussurrando.
Forse era una scusa rivolta a me stessa, forse.
Feci per chiudere gli occhi quando un'ombra incombé su di me.
Iniziai a tremare come una foglia, nulla aveva più senso ora, la cosa era impossibile.
Urlai mentre ritornavo nel mio passato, prosciugata dal nero della notte.
Una porta chiusa.
Una stanza nera, illuminata solamente da una tenue luce.
Un uomo, con un sorriso malvagio sul viso e in mano un coltello, che non avrebbe mai usato, ma che la bambina che vi era racchiusa lì non lo sapeva.
Un urlo di dolore e uno di piacere.
Due mano calde che strappavano vestiti nuovi.
Un ghigno perfetto, di chi non sapeva amare, ma era solo perso in se stesso.
La luce era l'unica speranza in quella stanza, fu quello cui piantò gli occhi la bambina, cercando di non sentire dolore.
Un altro urlo per un colpo più forte e un urlo di piacere.
Poi un dolore, caldo, sulla coscia.
Perse i sensi, mentre un liquido denso, bianco, cadeva sulla pancia.
Le immagini di mio padre si sovrapponevano al viso angelico di Kyle.
La sua mano destra brandiva un coltello, una lama troppo simile a quella che m'aveva già fatto male in passato, come se i due potessero conoscersi, come se sapevano quello che mi aveva fatto.
Ora il volto di mio padre, adesso quello di Kyle.
Kyle, mio padre. Mio padre, Kyle.
In un incubo senza fine.
Il ghigno sul viso del biondo era identico spiaccicato a quello di mio padre, come se potessero essere la stessa persona.
Ritornavo indietro negli anni, rivivendo quella stanza, quel dolore.
La lama che scorreva sulla mia pelle di bambina.
Un peso, pesante, si posò sulle mie gambe.
Iniziai a dimenarmi, urlando, supplicando di lasciarmi andare.
Sentii il freddo del metallo contro la mia gola, mi bloccai per un attimo e vidi il sorriso feroce di Kyle.
Urlai dimenandomi, brandivo la braccia alla cieca, il volto sommerso di lacrime e ricordi.
«Oh, ma cos'abbiamo qui?»
Spalancai gli occhi, tremante di paura, mentre sentivo la mano calda di Kyle posarsi sulla cicatrice lasciata da mio padre.
Non seppi come fece la maglietta ad alzarsi così tanto, ma a quanto pare riuscivo a muovermi facilmente, sebbene sopra di me ci fosse Kyle.
Respirai affannosamente, dimenandomi e non avendo più voce per urlare di lasciarmi andare.
Sentii la punta del coltello premere sull'estremità dalla cicatrice e Kyle sussurrare: «Vediamo di ricordarti cosa si prova.» ora aveva assunto pure la voce cavernosa di mio padre.
Urlai dal dolore quando sentii il ferro incidere la mia pelle, in un movimento lento e preciso.
Mi dibattevo cercando di non dimenarmi troppo, consapevole che avrebbe fatto ancora più male. Sentivo la lama scorticare la mia pelle, già solcata da anni, ricordandomi quella notte, procurandomi miriadi di visioni.
Il sangue scorreva copioso sul mio fianco e il dolore non era paragonabile a nulla.
Kyle terminò d'incidermi la pelle, buttò lontano il coltello e mi sollevò il mento.
Il suo sguardo era di brace.
Sentii un suono lontano, farsi più vicino.
Un rumore acuto, stridulo quasi.
Kyle imprecò e mi diede, l'ultimo, pugno sulla tempia.
Il cranio pulsò, ma tenni gli occhi aperti e con l'ultimo sforzo di volontà mi voltai verso il covo, dove vidi Kyle scomparirvi dentro.
Sentii dietro di me, il suono stridulo smettere di suonare e diverse paia di piedi camminare sul selciato. Le mura della catapecchia avevano assunto un colorito sul rosso e sul blu, fioco.
La polizia.
S'aggiunse un ulteriore suono, qualcuno doveva aver spento il motore di un'altra macchina, poiché sentii sbattere le portiere, procurandomi una fitta alla testa.
«Cameron!» una voce.
Non mi voltai, troppo presa dalla scena sulla porta di casa.
Una figura piccola, uno scricciolo, con gli occhi azzurri, e i capelli biondi, morbidi, ricci, reggeva la mano d'una ragazza alta, riconobbi solo i capelli rossi.
Guardai a lungo il bambino, e compresi che era illeso, senza graffi, pugni o altri ematomi.
Nessuno l'aveva toccato.
Mi scoppiò quasi da piangere dalla gioia.
Sentii un paio di braccia circondarmi, ma avevo già chiuso gli occhi.
«Arrivo sempre in ritardo, tu invece, per salvare me, sei sempre puntuale.»
Riconobbi anche quella voce, e sentii una consistenza bagnata posarsi sulla mia guancia.
Qualcuno stava piangendo per me, Harry.
Non riuscii a dire una parola, che sprofondai nel bianco, ma prima di giacere, forse per sempre, nell'oblio, pensai che ne era valsa davvero la pena.
*****
"Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!" Miei cari lettori mancano esattamente 5 capitoli alla fine, compreso l'epilogo, e se dopo questo provate una forte sensazione di odio nei confronti dell'autrice della storia, sappiate che vi capisco. Fatemi sapere la vostra opinione, commentate, lasciate che i vostri pensieri prendano vita o, se non vi va di scrivere, cliccate la bellissima stella. A presto, Sara.
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ONSET II h.s.
Fanfic-Capitolo otto. La sua bocca scorreva sul mio collo, fino alla clavicola e ritornava su, lasciando scie di saliva, finché non iniziò ad usare i denti. Morsicava ogni singola parte del mio collo, lasciando segni rossi. Quando cercai di divincolarmi...