Prologo

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Prima di leggere questo volume dovete recuperare il primo, quello di Artem. 

Sebbene le storie tra le coppie siano autoconclusive, la trama no. Quella segue un filo che parte dal volume di Artem, segue con Elyas e termina con Sascia.

Attenzione perché il livello di spicy su questo volume è davvero molto alto e anche la componente dark.

PS. Mi raccomando, se trovate errori di qualunque tipo segnalatemeli.

Baci baci.


Alys 

8 anni


«Mamma! Mamma!» grido con voce strozzata dai forti singhiozzi.
Papà le ha appena sparato un proiettile sulla fronte.
Il suo corpo cade in un tonfo pesante vicino al mio che trema dalla paura. Credo di essermi fatta la pipì sotto. Non ho mai visto tanta crudeltà iniettata negli occhi di mio padre. Non è mai stato bravo, in realtà. Ogni occasione è sempre buona per picchiare me e il mio gemello. Non ci ha mai dato un bacio né fatto una carezza, e non lo faceva nemmeno la mamma.
Credo che lei ci odiasse.
Le uniche carezze le ricevo dal mio fratellino, Artem, che per me è un padre e una madre. Non ho altra famiglia oltre a lui.
«Tua madre era una spia, ragazzina. Ha fatto la fine che si meritava. E non osare versare una lacrima per lei, altrimenti farai la sua stessa fine» mi dice con voce gelida come un iceberg.
«Papà, quella era la mia mamma. Come faccio a non piangere?» strillo mentre flotte di lacrime rotolano sulle mie guance chiare come la luna e la mano pesante di papà si schianta sulla mia pelle.
Una volta.
Due volte.
Tre volte.
Fino a farmi finire distesa in terra con la faccia rivolta verso il viso ormai inespressivo della mamma.
Il foro fresco del proiettile fa sgorgare il sangue che le finisce sugli occhi rimasti spalancati. Un’immagine che credo mi porterò appresso per tutta la vita.
Dove sta Artem? Dov’è il mio fratellino? Ho bisogno di lui.
«Hai capito, ragazzina?» mi rivolge uno sguardo severo prima di darmi un calcio sulle costole per farmi alzare «muoviti, stasera partiamo per la California. Ci penserà la scuola cattolica di tuo zio a rimetterti a posto» continua dandomi le spalle.
Mi asciugo le lacrime e faccio un lungo respiro prima di alzarmi. Giro gli occhi ancora una volta in direzione della donna che mi ha dato la vita e poi seguo papà che si è appena messo il cappotto e il colbacco in testa.
Prendo il mio giubbino rattoppato e me lo infilo con le mani che tremano.
Usciamo fuori di casa e il vento gelido mi apre la faccia in due ricoprendo le mie ciglia di neve fresca. Mi mordo la guancia per non piangere ancora e aspettiamo sul ciglio della strada l’arrivo di qualcuno mentre le dita mi si freddano diventando di un colore violaceo. Nella testa mi rimbomba ancora lo sparo che ha appena perforato il cranio della mamma.
«Dove sta Artem?» chiedo a mio padre che mi risponde senza mai guardarmi. Non esiste persona al mondo che odio più di lui.
«È con gli uomini di tuo zio, ci stanno aspettando all’aeroporto. Se fossi in te non farei troppo affidamento su di lui visto che quando atterreremo dovrà addestrarsi con tuo fratello maggiore, Sascia» poi arriva una lunga macchina scura con finestrini neri. Saliamo a bordo e ci avviamo in direzione di Domodedovo, l’aeroporto di Mosca.
Stringo forte i pugni e ricaccio indietro le lacrime che minacciano di uscire con il pensiero fisso che la California, per me, sarà un inferno più grande della Russia.

Tre settimane dopo


Il mio fratellino non è qui con me in questa villa lussuosa che non sento affatto come la mia casa. Lo vedo raramente. Sta sempre con Sascia e ogni volta che torna i suoi occhi blu della stessa sfumatura dei miei, sono sempre più scuri. A volte ho paura che diventa come nostro padre ma poi mi ricredo quando mi abbraccia e sento il suo calore. Il suo respiro strozzato e il suo battito del cuore mi permettono di raggiungerlo in qualsiasi posto si trova con la mente. È sempre così con lui, come se il nostro fosse un legame unico.
Qualche giorno fa ho conosciuto Sascia, mio fratello maggiore. Lui vive in California da tanti anni e parla bene la lingua di questo stato, ma parla anche il russo e la sua voce profonda mi ha fatto sussultare quando l’ho sentita per la prima volta. Pensavo avesse voglia di schiacciami con il suo piede appena mi ha vista. Invece mi ha presa in braccio e mi ha fatto sedere sulle sue ginocchia. Ha respirato il mio profumo e mi ha stretto al suo petto così forte che pensavo di soffocare.
«Se qualcuno dovesse avvicinarsi a te nel modo sbagliato, vieni da me. Io ti proteggerò sempre, piccola. Me lo prometti?»
Ho annuito sulla sua spalla non sapendo cosa rispondergli esattamente. Mio papà non mi ha mai detto queste cose. Ma ho sentito di potermi fidare di quel ragazzo così muscoloso che è riuscito a farmi sentire al sicuro solo con uno sguardo. Sono felice di avere un altro fratello e sono felice che sia lui a esserlo.
«Posso venire con te e Artem?» gli ho domandato.
Non voglio restare qui, non mi piace questo posto. Anche se non fa più freddo come in Russia, mi sento sola.
«Non è un posto adatto a una signorina come te e io non permetterò mai che ti accada qualcosa. Ma ti prometto che quando sarò pronto, ti porterò via» le sue parole sono state confortanti come una coperta calda. Mi hanno avvolta e mi hanno tenuta riparata dal vento.

*

Sono passate altre due settimane e oggi è il mio primo giorno di scuola. Papà dice che durante la settimana dovrò restare a dormire lì, in quel posto che mi mette i brividi ancora prima di arrivare.
Siamo in mezzo a un bosco e a parte gli aghi di pino sull'asfalto e un labirinto di cespugli verdi, non vedo altro intorno a noi.
Attraversiamo il grande cancello automatico di ferro che lascia passare l’auto di papà, e mi mordo il labbro.
Ho i brividi e non capisco il motivo. Ho solo voglia di scappare, telefonare a Sascia e dirgli di venirmi a prendere perché sono in pericolo. E non so perché, so solo che è così e basta.
Lo zio chiama questo luogo maniero ma non so cosa significa.
Nel cortile ci sono molti bambini vestiti uguali. Credo sia la divisa della scuola. Stanno seduti qua e là con le teste chine sopra dei libri. Alcuni sono più grandi di me, ma non vedo femmine. Solo maschietti.
Scendiamo dalla macchina e calpesto l’asfalto rovente con le mie nuove scarpe nere lucide, era tanto tempo che papà non mi comprava qualcosa. Ma forse mi sbaglio, non l’ha mai fatto.
Faccio un passo in avanti con gli occhi puntati sull’edificio che dovrà ospitarmi e rendermi una ragazza migliore, ma dalle finestre che sembrano più alte di me riesco a intravedere solo oscurità come quella che spesso mi capitava di vedere tra i vicoli del nostro quartiere in Russia. Uno di quei luoghi in cui non vorrei mai tornare.
Una grande chiesa è posizionata alla destra del casale e il portone con un crocefisso scalfito nel legno si apre permettendoci di passare.
Ma mio padre si ferma sulla soglia e prima di lasciarmi lì immobile, mi rivolge delle gelide parole: «Fai tutto quello che ti ordina tuo zio e non ti azzardare a farne parola con i tuoi fratelli» si inchina e si avvicina al mio orecchio «altrimenti ti farò fare la fine di quella cagna di tua madre» sussurra facendomi venire i brividi fin dietro le orecchie.
Poi se ne va e io voglio sprofondare attraverso le assi di legno del pavimento che scricchiolano sotto ai miei piedi.
Un uomo grande e magro mi raggiunge. Indossa una tonaca nera che copre tutto il suo corpo lasciando visibile il suo viso pieno di rughe. Non ha la barba come papà e i suoi folti capelli grigi lo fanno sembrare un vecchio burbero, uno di quelli che se fai un fiato ti dà una bacchettata sulla mano, come facevano i miei maestri in Russia.
Si inchina per osservarmi meglio e allunga una mano sulle mie guance. Mi accarezza con gli occhi puntati nei miei e mi fa un mezzo sorriso.
«Sei più bella di quanto pensassi. Lo sai che non sono il tuo vero zio, giusto?» mi dice mentre continua a lisciarmi la pelle.
Sì, lo so. Dovrei dirgli. Papà mi ha raccontato che lui è il fratello della mamma di Sascia e quindi non abbiamo legami di sangue. A volte mi parla come se fossi una persona grande, dimentica che sono una bambina e molte cose non le capisco.
Annuisco e trattengo il respiro. La sua mano sul mio viso mi sta facendo venire il mal di pancia.
«Andiamo, ti accompagno nella tua camera»
Usciamo dalla chiesa percorrendo un vialetto alberato ed entriamo nel maniero.
Mi prende per mano e ci dirigiamo verso le scale che ci portano al piano di sopra. Ci sono molti piani ma noi ci fermiamo al primo. Le pareti sono tappezzate di quadri che raffigurano la Vergine Maria e i crocefissi sul muro sembra siano stati appesi lì apposta per terrorizzarmi.
Questo posto continua a farmi paura nonostante lo zio mi sta riempendo di parole confortanti.
Apre una porta in legno. Una delle tante che ci sono su questo piano, ne conto almeno dieci. Chissà quanti bambini ci dormono qui.
«Questa è la tua stanza, sistema le tue cose in fretta e raggiungimi al piano di sotto. Abbiamo delle regole al maniero e prima impari a ubbidire e meglio sarà per te. Ci sono punizioni molto severe se non le rispetti»
Ingoio il magone che sento in gola e faccio sì con la testa.
«Le rispetterò» dico quasi in un sussurro.
«Oh, piccolina. Non credo possa accadere» sfodera un pigro sorriso e va via.
Vuole che io sia punita? Perché? Nemmeno mi conosce e già mi odia.
Resto ferma per qualche secondo prima di osservare il mio piccolo letto sotto a una finestra alta e un armadio di ferro a due ante. Un altro crocefisso è appeso sulla parete alla mia destra e mi sento soffocare.
Dove sono finita? Voglio i miei fratelli. Voglio andare via.

La nostra piccola Alys è in guai seri.
Inizia male...

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora