Elyas Garcia De La Cruz è un giovane hacker messicano che fa parte del Mc Tijuana, uno dei club motociclistici più famosi del nord del Messico e del sud della California. È ossessionato da Alys Kovalenko, una nerd come lui, diventando con il tempo...
La silhouette muscolosa di Elyas incombe sulla sua Harley, la sua figura maestosa che si staglia contro l’orizzonte, mentre io, nascosta dietro il telo azzurro della tenda, lo osservo da più di un’ora. Il battito del mio cuore si accelera ogni volta che lo vedo, ogni volta che il suo sguardo sembra trovarmi, come se ci fosse un legame invisibile tra noi che non può essere spezzato.
È bellissimo, come sempre.
Porta i capelli sciolti, la ciocca castana che gli cade sulla fronte, coprendo l’occhio sinistro. Eppure, l’altro occhio è puntato nella mia direzione, fermo, intenso.
So che può vedermi, Elyas mi vede sempre.
Para siempre, mi amor.
Una fitta mi buca il cuore, dolorosa, profonda, come una lama che scava dentro. E senza pensarci, mi volto di scatto, il respiro che mi si blocca quando la porta della camera si apre con il suono acuto di un cigolio fastidioso. Una figura familiare appare sulla soglia.
Artem.
«Fratellino!» Non mi trattengo, e in un attimo salto in braccio a lui, avvolgendo le gambe attorno al suo busto. Il suo odore mi avvolge, e la sua forza mi rassicura come sempre.
«Ciao, piccola! Mi sei mancata» borbotta nell’incavo del mio collo, e quando mi stacco per tornare con i piedi a terra, lo guardo di sottecchi. La mia espressione si indurisce, accigliandomi. Non posso fare a meno di ricordare che fino a poco fa i suoi gemiti e quelli di Bea risuonavano nel corridoio.
«Mi sono lavato, cazzo. Mi hai preso per un animale?» Artem si stira le labbra in una smorfia di disappunto e mi abbraccia di nuovo, cercando di calmarmi con quel gesto.
«Sto per diventare padre» sussurra, la voce che vibra, tremante di emozione.
La sua gioia mi travolge, mi colpisce al cuore con una forza che non avevo previsto. Lo guardo, perdendomi nei suoi occhi blu, che ora sono lucidi e pieni di una dolcezza che non riconosco. Una lacrima scivola sulla sua pelle, e mi colpisce con tutta la sua vulnerabilità.
«Lo so, fratellino. Ve la meritate questa felicità.»
Sapevo della gravidanza di Bea. L’avevo costretta a fare delle analisi, a farsi visitare dal ginecologo, e stamattina l’avevo accompagnata per gli esami del sangue. Ma lei non mi ha ancora detto nulla.
Ed è bello che Artem sia stato il primo a ricevere la notizia, perché se lo merita.
Ma ora mi chiedo come la prenderà Elyas.
«Te la meriti anche tu, Alys,» mi dice, e la sua mano prende la mia, stringendola delicatamente. Mi fa sedere sul bordo del letto al suo fianco, e il suo sguardo è sincero. «E se continui a fissarlo dalla finestra non cambierà nulla. Lo sa che sei nascosta lì dietro.»
Abbasso la testa, e una vampata di calore mi sale alle guance. Non mi merito la felicità di cui parla, e non merito lui. Non merito niente di tutto questo.
«Cambia per me.»
Artem scuote la testa, e un sospiro scivola tra le sue labbra, come se avesse già capito tutto.
«Non si arrenderà e tu stai rimandando l’inevitabile. Piuttosto, voglio sapere perché non mi hai detto nulla della scuola cattolica. Di quello che ti ha fatto lo zio e della sua gente. Perché, piccola? Non ti fidavi di me?»
Il cuore mi perde un battito, e una fitta dolorosa mi attraversa il petto, come se fosse un peso insopportabile. Sascia mi aveva avvertita che durante l’addestramento avrebbe rivelato tutto ad Artem, ma speravo che non l’avesse fatto. Non volevo fargli questo. Non volevo che scoprisse il male che ho cercato di nascondere per tanto tempo.
Odio dovergli dare questo dolore, odio dovergli raccontare cosa mi è successo, tutto quello che è stato. Non voglio fargli sapere che alla sua sorellina è accaduto qualcosa di così orribile. Ma non posso più mentire.
«I-io, io… certo che mi fido di te, fratellino. Ma non volevo che ti mettessi nei guai per colpa mia. Volevo smetterla di essere un peso per te.» I suoi occhi si scuriscono, e vedo il dolore che ho causato, la distanza che ho messo tra noi. La mia colpa mi schiaccia, mi fa sentire piccola. «Scusami,» borbotto piano, a malapena riuscendo a parlare, come se ogni parola fosse un veleno che mi scivola via dalle labbra.
Artem mi afferra il mento con l’indice, costringendomi a guardarlo, i suoi occhi che mi fissano, pieni di un’emozione che non posso ignorare.
«Non ti perdono, stronzetta, e non ti azzardare a nascondermi più niente. Intesi? Altrimenti…»
«Altrimenti… cosa?» La sfida nella mia voce è un respiro breve, mentre cerco di distogliere la mente da tutto ciò che mi sta tormentando.
I suoi occhi mi lanciano un avvertimento che conosco fin troppo bene. Sento il suo corpo avvicinarsi al mio, la sua forza che mi avvolge. Sto per schizzare via, ma le sue mani salde indugiano sulla mia pelle facendomi rabbrividire. Poi, come se fosse un gioco, stringe i polpastrelli sui miei fianchi e inizia a farmi il solletico. La mia mente scivola indietro nel tempo, a quando avevamo cinque anni.
«Altrimenti ti faccio la tortura cinese per tutta la notte!» ride, e in un istante mi scaraventa sul letto. Le sue mani continuano a solleticarmi, prima i fianchi, poi le ascelle, senza darmi il tempo di respirare. Mi dimeno, ma non posso smettere di ridere.
Ogni volta che ero triste o avevo freddo, Artem mi faceva il solletico. Era il nostro modo di ritrovare la gioia, anche nei momenti più oscuri. Artem è la mia metà, e quando soffro, anche lui soffre.
Mi rannicchio sul materasso, il corpo ancora scosso dalle risate incontrollabili che non riesco a fermare. Sa che non posso resistere a questa tortura, che ogni volta mi cattura in un abbraccio di felicità selvaggia. È il nostro gioco, il nostro rito. Sempre lo stesso, sempre il suo modo di farmi sorridere, anche quando tutto il resto del mondo sembra crollare. È il mio gemello e conosce ogni parte di me, ogni sfumatura, ogni debolezza.
Il nostro è un legame unico, un legame che nemmeno tra cento vite potrebbe spezzarsi. Nonostante la vita ci abbia distrutti in mille modi e ci abbia piegati, noi siamo qui, insieme, più forti di prima. Nulla ci può separare, niente potrà mai scalfire ciò che siamo.
Ma un’interruzione arriva, squarciando l’atmosfera di risate che ci avvolge. La voce di Bea si fa spazio tra i nostri suoni, un’interferenza che fa voltare Artem di scatto.
«Posso partecipare alla festa?» La voce di Bea è sarcastica ma lo sguardo di mio fratello si fissa su di lei con un misto di divertimento e autorità che solo lui sa emanare. Il dito che le punta contro è deciso, imperioso.
«Non muoverti di lì, dea. Non provarci nemmeno. Tieni mio figlio lontano da bruschi colpi!» Artem non sta scherzando. C’è una veemenza nella sua risposta che, seppur ironica, non lascia spazio a dubbi. Il suo istinto di protezione è sempre pronto a scattare.
Bea scrolla le spalle con un sorriso di sfida, ma non riesce a nascondere la smorfia che le si forma sulle labbra. Conosce Artem e sa che, nonostante l’ironia, le sue parole sono legge. Il suo istinto primordiale non se ne va mai, è radicato in lui come un’ombra che non ha mai imparato a distogliere.
Mi viene quasi da ridere se ci penso. Non le invidio affatto i prossimi sette mesi e mezzo. Sarà un incubo vivere con Artem giorno dopo giorno. Ogni suo movimento, ogni suo respiro, ogni sua decisione saranno pesati, calcolati e diretti dalla sua protezione senza compromessi, lui non le darà tregua. Un incubo che però lei accoglie con il cuore gonfio di amore.
«Ho capito, vi lascio soli e vado da mio fratello, visto che non si decide a entrare. Voi continuate pure.» Bea ci sorride. La vedo allontanarsi, e il battito del mio cuore accelera un po’ al pensiero che sta andando da lui. Quando la porta si chiude dietro di lei, io e Artem rimaniamo soli.
*
Scosto la tenda con un gesto lento, cercando di non fare rumore, e la sagoma di Elyas mi colpisce come un pugno nello stomaco. È seduto sulla sua Harley, una figura immobile che sembra fondersi con la notte che ormai ha avvolto tutto. Il sole è tramontato da un pezzo, ma la luce della luna fa brillare i suoi capelli, accentuando ogni linea del suo viso e dei suoi muscoli, come se fosse scolpito apposta per attrarmi. Non riesco a smettere di guardarlo.
Rivederlo ha abbattuto tutte le barriere che mi ero imposta di non far crollare, ma ora, con un singolo sguardo, sono di nuovo lì, pronta a cedere. Ogni parte di me è vulnerabile, ogni angolo del mio corpo si scuote al minimo movimento che fa. Ho cercato di essere forte, di non abbassare la guardia, e invece eccomi qui, a tremare e sbavare ancora come un’anima dannata. Ogni respiro che prende, ogni movimento che fa, mi travolge come una tempesta.
I suoi occhi non si staccano dalla finestra, il suo sguardo incolla il mio come un marchio. Mi vede. Lo so. Lo sento nel profondo. Percepisce la mia presenza come se fosse un’onda che gli sfiora la pelle. Emana un’aura così intensa che tutto il mio equilibrio vacilla. I palmi delle mani sono sudati, il cuore batte più veloce del solito, e il mio corpo è in fiamme, ma non è il caldo ad accendere il fuoco dentro di me. È lui, è sempre stato lui.
Distolgo lo sguardo con fatica, come se la mia mente fosse un campo di battaglia e ogni mio movimento fosse una resa. Senza pensarci troppo, corro in bagno, cercando di allontanarmi da questa sensazione che mi avvolge. Voglio solo sentire il freddo, un gelo che mi scivoli addosso e mi distolga da lui, da tutto quello che c’è stato.
Mi tolgo gli occhiali, lentamente, quasi in un gesto rituale, e strappo via i vestiti, come se cercassi di liberarmi da un peso invisibile. Mi butto sotto al getto d’acqua gelida che scende dal soffione, lasciando che l’acqua mi avvolga e mi scorra sul corpo come una carezza crudele. Ma non basta. Ogni goccia che mi colpisce sembra farmi tornare indietro nel tempo, riportandomi a quel giorno che avrei voluto dimenticare.
Quando Elyas mi lasciò, crollai in un pozzo senza fondo, un abisso che nemmeno le anime dei dannati sarebbero riuscite a raggiungere. Quella notte, e tutte le notti che seguirono, mi consumarono più di quanto avessi mai potuto immaginare. Il suo allontanamento non fu solo una separazione, ma una lacerazione profonda che mi spezzò dentro. Qualche giorno dopo la sua scomparsa dalla mia vita, tornai alla villa di mio padre, ma non volevo altro che dissolvermi, sparire nel nulla, lontano da ogni traccia del dolore che mi stava distruggendo. Non volevo sentire più nulla, nemmeno il peso sordo del suo tradimento che mi martellava incessante.
Quella pugnalata che mi aveva inflitto, con il suo corpo che si univa a quella ragazza, faceva più male di qualsiasi altra ferita che avessi mai ricevuto, anche più di quelle inferte dai miei mostri. Le immagini di lui, appena usciva dalla sua camera con lei al fianco, si proiettavano nella mia mente come un dardo, conficcandosi nel mio cuore in un loop che non riuscivo a fermare. I suoi gemiti, la sua faccia quando mi vide lì, fuori dalla sua porta, mi seguirono ovunque, e le sue parole taglienti risuonavano come un incubo che non finiva mai:
«Sei solo un mostriciattolo con il quale mi sono divertito.»
Ero morta dentro, e a uccidermi era stato lui. Il mio unico amore, l’uomo per cui avrei dato la vita mi aveva appena distrutta. Mi aveva ridotta a brandelli. Ero niente, un ammasso di immondizia. Carta straccia sporca, della peggiore feccia che esistesse al mondo.
Arrivai nella mia camera senza nemmeno disfare la valigia. Presi il flacone di pillole che mi aveva lasciato Rick, e ne svuotai un’abbondante dose sul palmo della mano. Le inghiottii insieme a un lungo sorso d’acqua, cercando di sentire almeno un po’ di sollievo in quel gesto. Mi distesi sul letto, incapace di fare altro, e aspettai che la fine arrivasse. Non ricordo quanti minuti passarono prima che la porta della mia stanza si aprì con un brutto scatto, e Rick piombò sopra di me.
Mi trovò con le lacrime agli occhi, il volto vuoto, senza più speranza. Mi afferrò con una forza che non avrei mai immaginato possedesse e mi portò nel bagno. Senza dire una parola, mi infilò due dita nella gola per farmi rigettare tutto quello che avevo ingerito. Il bruciore alla gola lo ricordo come se fosse ieri, un dolore che non si è mai completamente dissolto, che ancora sento al pensiero. Mi spogliò con urgenza e mi mise sotto la doccia, il getto d’acqua gelida lentamente mi fece rinvenire dallo stordimento.
Mi abbracciò forte, cercando di infondermi quella calma che non avevo più. Il suo corpo era lì, vicino al mio, ma non c’era nulla di confortante in quel contatto. Solo un’urgenza che entrambi provavamo, ma che nessuno di noi voleva davvero affrontare.
«Che cazzo hai fatto, bambina? Che cazzo hai fatto? Non provarci mai più, hai capito?» sbraitò, e la sua voce tremava, incrinata dal panico. Le sue mani, pur tentate dal bisogno di rassicurarmi, vagavano sulla mia pelle nuda, quasi come se stesse cercando di riportarmi alla realtà.
Mi aveva lasciato con addosso solo le mutandine e il top a fascia che copriva a malapena il mio seno. Ma l’unica cosa che sentivo era quel vuoto che mi divorava. Lo guardai dritto negli occhi, con la paura e la confusione che mi bruciavano dentro, ma allo stesso tempo con il bisogno di sentire ancora vivo qualcosa in me.
«Baciami,» gli dissi, come se fosse l’unico rimedio, l’unica soluzione. Le sue pupille si dilatarono, le sue mani si congelarono nel gesto. L’acqua continuava a bagnarlo, e i suoi vestiti ormai gli si erano appiccicati addosso, rivelando ogni muscolo teso, ogni segno di una lotta che stava combattendo dentro di sé. Non si mosse, non rispose, ma il suo respiro era affannato, il suo petto si sollevava e abbassava in un ritmo frenetico, mentre continuava a riflettere su ciò che gli avevo detto, su ciò che mi stava succedendo. «Baciami e toglimi di dosso la sua sensazione, il suo profumo e il suo sapore. Per favore Rick, se mi vuoi bene fallo. Prendimi adesso.»
Le parole mi uscivano dalla bocca come un sussurro soffocato, ma le sentivo risuonare nel mio cuore, cariche di disperazione. C’era un dolore viscerale dentro di me, un vuoto che solo il suo tocco sembrava poter colmare. Ma sapevo che non sarebbe mai stato lui.
«No, non lo faccio, cazzo. Non sei lucida, porca puttana, e domani te ne pentirai,» rispose, il suo respiro irregolare come un battito di tamburo martellante, mentre i suoi occhi, persi tra la paura e la confusione, mi fissavano.
«Fallo o giuro che appena te ne vai riprovo ad ammazzarmi.» La voce mi usciva tremante, un grido soffocato dalla tristezza che mi stava consumando. I miei occhi, annebbiati dall’acqua gelida e dalla mia stessa follia, non lasciavano il suo volto. E poi le sue mani, i suoi occhi, i suoi pensieri… C’era qualcosa che non andava, ma in quel momento, nella mia disperazione, non riuscivo a vederlo.
I suoi occhi scivolarono su di me e improvvisamente il suo corpo fu sopra il mio, le sue labbra si schiantarono sulle mie. Ma la lingua di Rick non era la sua lingua.
Le sue mani, forti e impetuose, non erano le stesse che mi avevano toccato con delicatezza, con amore. Le sue labbra non erano quelle che mi avevano dato felicità. Non erano più le sue.
Rick si staccò di scatto, come se avesse toccato qualcosa di troppo caldo per resistere. Lanciò un pugno contro le piastrelle della doccia, rabbioso. Il suo corpo, teso e contrito, tremava. La stoffa dei suoi pantaloni, bagnata, si attaccava alla pelle, rivelando l’erezione che si era fatta strada. La sua bellezza era inconfondibile, come sempre. Ma ora non era più il suo sguardo a riscaldarmi.
«Che cavolo mi hai fatto fare, bambina?» la sua voce tremava, piena di rimorso e frustrazione. «Io… cazzo, scusami, non dovevo darti retta.»
La vedevo nel suo sguardo l’angoscia di aver ceduto. Non era solo la paura di quello che aveva appena fatto, ma anche la consapevolezza che in quel momento, desideravo qualcun altro. Forse anche lui stava combattendo qualcosa dentro di sé che non aveva il coraggio di affrontare.
«Scusami, non avrei dovuto chiedertelo.» Abbassai lo sguardo, la vergogna che mi ardeva le guance, il peso del mio stesso dolore. Non avevo più forze e non riuscivo nemmeno a respirare senza sentire quella fitta che mi strappava dentro.
Mi prese il viso con entrambe le mani, forzandomi a guardarlo. I suoi occhi erano profondi, pieni di cose non dette, di emozioni che non avrei mai compreso. Poi, con un respiro profondo, mi disse: «Non sai quanto ho desiderato essere al posto di quello stronzo ed essere guardato da te come guardi lui. Ma io non sono Elyas, bambina. Lo so che adesso fa male, fa un male cane, ma passerà. E se quel pezzo di merda non si farà vivo, chiamami. Mi basterà solo una tua sillaba per toglierlo dalla faccia della terra. Capito?»
I suoi pollici asciugarono le mie lacrime con un gesto lento, delicato. La sua presenza, forte e rassicurante, mi avvolgeva, ma dentro di me un buco nero sembrava non cessare mai di inghiottirmi.
Annuii, poggiando la testa sul suo petto, trovando sollievo nella sua calma, ma solo per un istante. Le sue parole, quelle di conforto, non erano abbastanza per fermare il dolore che mi consumava.
«Fa male,» sussurrai con voce rotta, come se quelle parole fossero l’unica cosa che riuscivo a dire, l’unica cosa che riusciva a sfuggire dal mio cuore.
«Lo so, bambina. Lo so.» La sua voce era bassa, piena di empatia, ma anche di impotenza.
Non poteva salvarmi. Non c’era più salvezza per noi due, e lo sapevamo entrambi.
Quando apro gli occhi, torno al presente.
Mi sposto dalle piastrelle fredde e mi avvolgo un asciugamano intorno al corpo dopo aver chiuso il getto d’acqua.
Elyas avrà già scoperto tutto, e anche Artem.
È soprattutto a questo che serve l’addestramento.
Sincerità, rispetto, fratellanza. Verità.
Non si esce da quelle catacombe in vita se non si è stati onesti, e loro a quanto pare ne sono usciti forti, insieme e uniti.
Non mi importa se la rivelazione di Rick gli ha fatto male, non è niente in confronto a quello che mi ha fatto provare lui.
Adesso sa come ci si sente.
Esco dal bagno a piedi nudi con l’asciugamano intorno al busto e i capelli ancora zuppi. Mi volto per chiudere la porta e una mano forte mi tappa la bocca, un corpo possente è dietro di me che mi trascina di nuovo all’interno del bagno.
Un turbine di emozioni mi esplode nel petto e il cuore inizia a pompare sempre più forte.
Non sono pronta.
Conta, Alys, conta in fretta e tutto sparirà all’istante. Ma quando arrivo a dieci, non succede nulla. Lui è qui.
Chiude la porta e mi solleva mettendomi a sedere sul lavello. La sua mano allenta la presa e i suoi occhi verdi mi inceneriscono.
«Ti sono mancato, princesa?» un sorriso diabolico si affaccia sul suo volto.
Elyas.
«Vattene» è l’unica parola che riesco a far scivolare dalle labbra.
«È una fase che già abbiamo passato, direi di andare avanti.»
Provo a scendere dal ripiano piastrellato ma mi inchioda col suo corpo pesante facendomi sbattere contro il muro. Mi afferra la gola con le dita e preme forte fino a farmi mancare il respiro.
Il mio cuore accelera con battiti veloci e vorrei che la smettesse di remarmi contro, insieme al mio corpo che non vuole staccarsi da lui.
Lui che adesso è un uomo.
Più alto, più forte.
Le ciglia scure evidenziano il colore intenso dei suoi occhi che riflettono nei miei ormai persi in quel vortice di smeraldo.
Trascina il pollice sul labbro inferiore e lo preme forte, fissandolo come se stesse pensando di staccarmelo a morsi.
«Ti sei fatta baciare da quello stronzo solo due cazzo di giorni dopo che me ne sono andato» la sua voce è gelida come un iceberg.
«Adesso sai cosa si prova» gli rispondo sperando di colpirlo dritto dove lui ha colpito me.
«Te l’ho detto un milione di volte che quella ragazza non mi ha nemmeno sfiorato. Sono impazzito per cinque fottuti anni supplicandoti di perdonarmi per averti rivolto quelle orribili parole e averti fatto credere a quel tradimento. Mi conoscevi meglio di chiunque altro, come hai potuto pensare anche solo per un secondo che fossi capace di spezzarti il cuore in quel modo così crudele? Speravo che te ne rendessi conto più di tutti gli altri. Tu, cazzo. Tu sapevi chi ero e ti sei fatta toccare» urla sul mio viso sfiorando le mie labbra con le sue.
A quel tocco mi sento morire.
«Ho sentito i tuoi gemiti, le parole che gli dicevi mentre ti facevi succhiare l’uccello dalla ragazza più popolare del campus, ho ascoltato tutto, Elyas. E quando sei uscito da quella camera mi hai detto che per te sono sempre stata un mostriciattolo con il quale divertirti». Le lacrime pungono dietro gli occhi mentre quelle parole mi piombano addosso, come sassi lanciati lasciandomi senza respiro. Ancora oggi, ogni volta che ci penso, sento quel dolore straziante che non mi lascia mai.
Elyas spinge più forte la sua mano, facendomi sbattere di nuovo la testa contro le piastrelle. Il dolore acuto mi scivola lungo la nuca, eppure è nulla rispetto a quello che c’è dentro di me.
«Te lo ricordi cosa hai provato quando ti ho scopata per la prima volta? E cosa ho provato io, mentre ti penetravo col mio cazzo e la tua fica lo risucchiava avida? Te ne davo sempre di più perché non potevo fare a meno di te. Ti ricordi come sono riuscito a liberarti dai tuoi mostri e a farti sentire di nuovo viva?». La sua voce, profonda e sussurrante, si spezza per un attimo, come se stesse cercando di trattenere qualcosa di più doloroso, prima di riprendere con ferocia: «Come hai fatto a non dubitare nemmeno un po’? In fondo era colpa tua se io e Bea ci siamo ritrovati in quel dannato campus». Fa un lungo respiro, e poi continua con una tensione palpabile: «Mentre veniva rapita, altri due tizi volevano prendere anche te. Mi hanno costretto a fare quelle cose solo per ferirti, e il motivo, dopo tanti anni, ancora non mi è chiaro. Ho lasciato i miei amici a farti da guardie del corpo mentre andavo a salvare Bea. Sarei tornato subito da te, ma le cose sono precipitate».
Una lacrima amara scivola dai sui occhi. È la prima volta che lo vedo piangere, e mi colpisce come un pugno. Mi fa male il petto, una morsa che non mi lascia. Sento un’ondata di colpa travolgermi, ma non voglio più ascoltare le sue parole dure come il marmo. Sono come pugnalate allo stomaco, e la nausea mi sale in gola. «Perché hai detto di sì a quel pezzo di merda di Vittorio Gambino?». La sua voce taglia l’aria, e io scuoto la testa, incapace di rispondere. Le lacrime mi inondano il viso, impotente di fronte alla sua furia. «Attenta, princesa. Non rispondermi equivale a mentire, e sai cosa succede se lo fai. Vero?». La sua voce è un ringhio, e non posso fare altro che annuire, ma le parole mi rimangono incastrate nella gola.
Le sue braccia si flettono, e la sua mano si sposta dalla mia gola a dietro la nuca. I suoi polpastrelli afferrano i miei capelli bagnati e li tirano forte, facendo inclinare la mia testa all’indietro.
«Dillo. Dì cosa succede se lo fai», ordina, la sua voce profonda che evoca in me brividi lungo la schiena. I suoi occhi, pieni di rabbia e desiderio, mi bucano l’anima, costringendomi a rispondere, a cedere. La pressione della sua mano mi piega, e l’unica cosa che posso fare è assecondarlo, anche se il mio corpo mi tradisce.
«M-mi scopi», balbetto, mentre una scarica di eccitazione mi scende nel basso ventre.
Come è possibile che io sia così attratta da questo ragazzo, in una maniera che mi rende una bambola di argilla, plasmata dalla sua sola volontà, dal suo pensiero?
«Sì, diamine, ti scopo», risponde lui, e le sue parole mi trapassano, come un colpo che non so se voglio evitare o accogliere.
Chiude gli occhi come se stesse ponderando la sua prossima mossa. Poi li riapre, mi fa alzare in piedi e mi spinge davanti allo specchio, ancora appannato dal vapore della doccia e dai nostri respiri incrociati. Passa una mano sul vetro per farlo schiarire e, senza distogliere lo sguardo da me, solleva il mio mento, costringendomi a guardarlo attraverso il vetro. Con un movimento lento, fa scivolare la mano sotto l’asciugamano che tengo stretto tra le mani, quasi come una barriera contro la sua intenzione. Ma la sua forza è implacabile.
Le sue dita scivolano sulla mia fica, bagnata dall’eccitazione che non riesco a nascondere, e con brutalità le infila dentro, senza mai distogliere gli occhi dai miei. Un gemito mi sfugge, e non riesco a trattenerlo. Cazzo, da quanto tempo non provavo una roba del genere?
Dopo appena un paio di movimenti rapidi, le sfila e le porta alla bocca, ricoprendole di saliva, per poi infilarle nella mia.
«Succhia», mi ordina con un tono che non lascia spazio a repliche.
La mia lingua obbedisce senza pensare, scivolando sulle sue dita in un movimento incontrollato, mentre il suo sguardo si infiamma, più intenso e possessivo che mai.
Spinge il suo cazzo duro contro il mio sedere e preme le sue labbra sul mio orecchio, sussurrandomi con voce bassa e minacciosa: «Ti scoperò quando meno te lo aspetti, piccola bugiarda, e ti farò pentire di esserti fatta toccare da un altro uomo. Implorerai il mio perdono, implorerai il mio cazzo di fotterti fino a romperti le ossa. Ma non adesso. Stanotte rifletti sui tuoi segreti e sulle tue bugie, e se scopro che quel fottuto italiano ti ha toccata anche solo con un dito, non ci andrò affatto piano con te».
Spinge la mia testa all’indietro con violenza, la sua bocca sfiora la mia, la lambisce con la lingua, mordendo il mio labbro inferiore con fermezza. Sento il sapore del mio sangue quando lo assapora, i suoi occhi chiusi mentre si gode il momento. Poi mi rimette di fronte allo specchio, il suo respiro pesante sul mio collo.
«Non dimenticarti che sono io il tuo uomo», dice, e se ne va, lasciandomi tremante, in preda agli spasmi di un calore insopportabile che mi consuma.
«Para siempre», mormoro tra me e me, quando è abbastanza lontano da non sentirmi.
Ahi Ahi Ahi piccola Alys, sei stata avvisata.
Sai cosa succede se dici una bugia.
Elyas ha scoperto il tuo piccolo segreto con Rick, ti perdonerà?
Vedremo... nel frattempo godetevi il prossimo capitolo di loro due al campus
che sono a dir poco... fuoco vero!
Ma voglio presentarvi Rick. Ciao bello de casa! ♥️♥️♥️
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