Capitolo 20

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ELYAS

Oggi





Pensare di poter sistemare le cose una volta arrivato a casa di Bea è una follia. Per quanto io sia stanco di aspettare, la verità che Alys si ostina a non vedere deve arrivare a lei. È passato un cazzo di secolo, cinque anni interi da quando le mie dita l’hanno toccata per l’ultima volta, e sentire la sua eccitazione sotto le mani è stato come tornare a respirare dopo una lunga apnea, come se avessi riscoperto di essere vivo.

Mi è mancata. Porca miseria, mi è mancata ogni singola fottuta frazione di tempo. Eppure, non smetto di essere arrabbiato con lei. Arrabbiato per non aver avuto neppure un minimo di dubbio su cosa fosse accaduto al campus anni fa. Arrabbiato per il fatto di aver baciato un altro uomo dopo solo due giorni dalla mia partenza, come se io non fossi stato nulla.

Si è fatta toccare da quello stronzo, come se appartenesse a lui.
Ma lei è mia, e non le lascerò dimenticare mai questa verità. Gliela ricorderò a ogni passo, a ogni parola, proprio come ho fatto in questa dannata casa, ignorandola deliberatamente.

“Tienitela stretta”, mi aveva detto Rick quel giorno al campo di basket, la sua bocca premuta sul mio orecchio. “Al primo passo falso te la rubo.”

Pezzo di merda. Quando mi ha confessato quel cazzo di bacio durante l’addestramento, gli ho infilato un coltello nel fianco e un pugno dritto in faccia. Avrei voluto ammazzarlo, non so come abbiamo fatto a superare quella divergenza. Forse perché mi ha assicurato che si era fatto da parte nel secondo successivo a quel bacio di merda. Quando ha capito quanto Alys fosse ancora innamorata di me e quanto fosse ancora mia.
So che si aspetta che faccia qualcosa. Che la guardi, che faccia il prossimo passo. Ma in questo momento, vederla in ansia, schivare la mia presenza come se stessi bruciando tutto ciò che la tocca, mi eccita e mi manda fuori di testa.

Amo il suo odore. Ogni volta che cammina per casa, posso sentirlo nell’aria, mischiato con la paura e il desiderio, e vedo il suo volto arrossire ogni volta che mi perdo a fissarla. La maggior parte delle volte si rinchiude in camera, come se potesse sfuggirmi, ma sa che di notte non c’è scampo. Mi piace guardarla mentre dorme. Come arriccia le dita dei piedi, come la sua pelle si raggrinzisce in un brivido improvviso quando il mio sguardo la sfiora. È sempre stato così con lei.

Mi incasina la testa, mi fa perdere il controllo. Come il pensiero che siano passati tutti questi anni.
Odio quell’estate dannata che ci ha separati, odio ogni singolo secondo del maledetto tempo che ci ha allontanati.

Ricordo quell’ultimo giorno al campus, mentre mi fumavo uno spinello nella radura del bosco.
Fui braccato dagli amici di Rufus e di Adam Perez, una decina di colombiani circa. Ragazzi che non facevano parte del gruppo degli studenti perché erano la loro gente, e stavano lì per me e per Bea. Qualcuno di loro non aveva neppure un accento colombiano, quindi capii subito che facevano parte di qualcosa di molto più grande. Avevano dei crocefissi appesi al collo e nei tatuaggi che portavano erano raffigurati simboli cristiani.

Non erano solo un gruppo. Erano una settareligiosa, forse la stessa della scuola di Alys. Una setta che era arrivata fino a noi.
Capii subito che le cose stavano andando a rotoli nel momento in cui uno di loro si avvicinò con un cellulare stretto in mano e mi mostrò un video.

Ero circondato, e tutti mi fissavano senza pronunciare una parola. Ma l’aria era carica di violenza, come un temporale pronto a scatenarsi. Ogni respiro sembrava pesante, come se il mondo stesse aspettando solo il mio errore per esplodere.

Nel video, Bea era appesa con una corda a una trave di legno, priva di sensi, mezza nuda. Non capivo dove fosse, ma vederla in quello stato mi accecò di rabbia. Un fuoco infernale mi bruciò dentro, e il sangue mi ribollì nelle vene come se fosse esploso in me, invadendo ogni fibra del mio corpo.

Mi alzai in un attimo, il coltello in mano, e cercai di colpire uno di loro, ma fu inutile. Non avevo avuto neppure il tempo di reagire, che in cinque mi stavano sopra, pestandomi senza pietà. Calci, pugni, ogni colpo sembrava un macigno contro il mio corpo, mentre cercavo di difendermi e di parare i colpi, ma ero troppo solo. Mi avevano già reso inutile. Abituato a botte e risse, sapevo come sopravvivere, ma quei bastardi avevano tirapugni e anfibi con punte di ferro che mi straziavano la carne.

Non c’era nessuno. I miei amici se ne erano andati, probabilmente presi anche loro. Non li vedevo più, e l’idea che fossero stati catturati anche loro mi consumava dentro.

«Che cosa volete?» li guardai, il sangue tra i denti, e ringhiai contro quello che sembrava essere il capo, lo stronzo che comandava.

Il suo aspetto era quello del classico boss californiano: capelli corti con doppio taglio e gel, camicia hawaiana sbottonata, jeans strappati. Si avvicinò al mio orecchio, e con la bocca premuta contro la mia pelle mi sussurrò senza mezzi termini che avrei dovuto fare qualcosa per lui, se volevo rivedere Bea.

Un ricatto che pesava come un macigno sul mio cuore. La cosa che mi imponevano di fare era una follia, la più grande crudeltà che mi avessero mai imposto. Mi chiedevano di tradire Alys, di sbatterle in faccia quanto mi disgustasse e quanto mi fossi divertito con lei, per farle vedere il mio tradimento.

Ma perché? Perché dovevo farlo? Forse uno di loro voleva Alys per sé e voleva farmi fuori. Potevo solo immaginare chi fosse, e quando ne avrei avuto la certezza, avrebbero pagato. Ma quella minaccia era troppo reale per essere ignorata.

Poi lo stronzo mi mostrò un altro video: la stavano spiando, ed era chiaro che avrebbero potuto prenderla in qualsiasi momento, senza che nessuno se ne accorgesse, e non potevo permetterlo.

«Lo faccio, ma voi la lasciate stare e liberate mia cugina» accettai con la voce rotta, come se ogni parola fosse un veleno che mi usciva dalla bocca.

Non capivo il perché. Tutto sembrava così surreale, come se fosse un brutto sogno che non riuscivo a svegliarmi. E dove cazzo era finito il piccolo lord con il suo amico psicopatico? Mi sconvolgeva il fatto che quei tizi fossero riusciti a sfuggire anche a loro. Non era affatto facile eludere la famiglia Kovalenko.

Avevo sentito Alys e Rick parlare al campo da basket e ricordavo chiaramente cosa si erano detti.
Io e Bea eravamo finiti in una trappola che avevamo costruito da soli senza rendercene conto.

Non ce l’avevo con Alys per avermi coinvolto. Sapevo che anche lei era stata ricattata, sapevo che aveva vissuto il mio stesso inferno. E quando aveva finalmente trovato il coraggio di dirmelo, ero stato io a impedirle di parlarmene fino in fondo. Ma non mi servivano più spiegazioni. Il fatto stesso che avesse cercato di confessarmi la verità bastava.

Avevo preso le mie precauzioni, non ero uno sprovveduto, ma non mi aspettavo che prendessero anche lei. Non mi aspettavo che i motivi fossero così contorti, così insensati e brutali.
Il nome si faceva sempre più chiaro nella mia mente.
Vittorio.
Quel maledetto figlio di puttana che avevo affrontato alla scuola cattolica, e che Alys aveva mandato in coma. C’era lui dietro tutto quello, dietro il ricatto, dietro la messa in scena, dietro il veleno che mi stava consumando dall’interno. Ma perché rapirci tenderci una trappola? Cosa c’entrava Bea?

Mi stava scoppiando il cervello e non avevo tempo per pensare. Non potevo permettermelo, quindi feci quello che volevano.

Le gambe mi tremavano, il sudore gelido mi colava lungo la schiena, e il dolore alle costole mi perforava come un pugnale incandescente.

La mia Alys era in pericolo, la mia guapa stava rischiando la vita.

Dovevo sbrigarmi, ingoiare le fitte di dolore e andare avanti.

Chiamai Susan. Una delle ragazze del campus che mi veniva dietro da sempre, una di quelle che avrebbero fatto qualsiasi cosa per un mio sguardo. Una che non avevo mai considerato.

La feci venire nella mia stanza.

La costrinsi a inginocchiarsi davanti a me e a simulare di succhiarmi il cazzo.

Lei non capiva. Non capiva perché non volessi davvero e perché non le dessi quello che desiderava. Sbavava per me, era evidente, eppure non fece domande. Forse persino il mio disagio la eccitava, ma lei mi faceva schifo.

E la cosa più orribile fu la consapevolezza che, dall’altra parte della porta, qualcuno aveva portato Alys a origliare.

Alys stava ascoltando tutto.

I miei gemiti falsi, le parole di lode che sussurravo a Susan, come se davvero adorassi la sua bocca intorno al mio uccello.

Le lacrime mi bruciavano dietro le palpebre, ma non potevo fermarmi.

Non mi ero mai sentito così umiliato in vita mia.

Quando aprii la porta, feci finta di tirarmi su la zip dei pantaloni, mentre Susan si puliva la bocca con il palmo della mano, come se avesse appena avuto il miglior momento della sua vita.

E poi vidi Alys.

In piedi, immobile.

Il viso devastato dalle lacrime, gli occhiali appannati, le mani che tremavano.

Volevo prenderla, stringerla forte.

Volevo dirle che era tutto un fottuto ricatto, che non avrei mai rinunciato a lei, che non avrei mai potuto toccare un’altra ma con la coda dell’occhio vidi loro.

I miei ricattatori.

Nascosti dietro il muro del lungo corridoio del dormitorio, in attesa di vedere se avrei rispettato la mia parte del gioco.

E allora mi uccisi dentro. Spensi tutto.

Lasciai che il veleno mi colasse nelle vene e mi facesse marcire.

Presi coraggio e le vomitai addosso parole che mai, in tutta la mia vita, avrei pensato di poter pronunciare.

Parole che le avrebbero fatto male e che l’avrebbero distrutta.

Alys scappò.

Fuggì via come se la mia sola presenza la bruciasse viva.

L’avevo rotta.

Susan se ne andò con un sorriso soddisfatto, ignara della guerra che mi stava infuocando dentro, al suo posto arrivarono i miei amici.

Li avevano rinchiusi nell’aula di informatica per tutto il tempo, ma non persi tempo a chiedere spiegazioni perché non c’era tempo.

Dissi solo loro di seguire Alys, di proteggerla e di avvisare il club della nostra sezione in California, perché presto avremmo avuto bisogno di loro, poi me ne andai.

Tornai da quei bastardi, per riprendermi Bea, ma era tardi.

Loro avevano già un piano per lei e io dovevo esserne testimone.

Mi presero e mi bastonarono fino a farmi sputare sangue.

Mi legarono con delle catene, e in quel momento, per la prima volta, capii che non c’era nulla che potessi fare.

Ma loro ancora non sapevano che gliel’avrei fatta pagare con gli interessi.



Mentre torno al presente, fisso la sua finestra e mi distendo sull’Harley con uno spinello tra le labbra. L’aria della notte mi avvolge, umida e carica di elettricità, come se qualcosa stesse per accadere. Faccio un tiro profondo, il fumo mi riempie i polmoni, mi scalda la gola e mi confonde. Poi chiamo di nuovo Carlos.

«Prez, dimmi tutto» risponde al primo squillo.

«Raccontami di nuovo di quel giorno al campus, deve esserci sfuggito qualcosa.» La mia voce è ruvida, impaziente. In tutti questi anni non ho fatto altro che pensarci. Mi ossessiona.
Avevo tutto sotto controllo, specialmente dopo aver scoperto della trappola per me e Bea. Eppure, sono riusciti a catturarci lo stesso. Il pensiero mi brucia dentro. Come cazzo ci sono riusciti? Anche ammettendo la mia sconfitta, non avrebbero potuto farcela con i Kovalenko.

Artem e Rick erano stati addestrati da Sascia, e il piccolo lord era troppo possessivo per lasciare Bea e sua sorella senza accorgersi di nulla. Eppure, è successo.

«Amico mio, ti abbiamo già raccontato ogni cosa e ripercorso quella giornata un milione di volte. Quei chupapollas ci hanno fregato» lo sento sbuffare dall’altra parte del telefono. È incazzato, quanto me. Siamo stati svegli, attenti, ma alla fine eravamo pur sempre ragazzi che amavano divertirsi.

«Magari qualche sgualdrina che vi siete scopati vi ha fottuto delle informazioni mentre eravate ubriachi» rifletto per la milionesima volta, la mente è un vortice di ipotesi, sospetti, domande senza risposta.

«Eravamo ubriachi, non imbecilli, Prez. A meno che nei drink non ci fosse qualche droga che fa perdere la memoria, mi ricordo ogni cazzo di cosa che faccio o che dico. E lo stesso vale per gli altri ragazzi.»

Hijos de puta. Figli di puttana.
Il pensiero mi colpisce come un pugno allo stomaco. Come ho fatto a non pensarci prima?

«E tu hai mai sentito parlare di una droga che toglie la memoria?»

«La droga dello stupro, intendi?»

«No, quella non ci avrebbe potuto ingannare. Ci saremmo accorti di quel tipo di stordimento.» Faccio un ultimo tiro, sento la canna pizzicare le dita prima di lanciarla via con un gesto secco.

Alys mi sta spiando da dietro la tenda. Sorrido tra me e me. A quanto pare, non sono l’unico stalker in questa storia.

«Ho sentito parlare di una pillola, Bugs Bunny la chiamano. Ho origliato una conversazione tra due depravati qualche giorno fa al night club. Dicevano che gli effetti siano a lungo termine, ma sono solo voci, amico mio. Non può essere arrivata al campus quella merda, e soprattutto chi cazzo ce l’avrebbe data?»

«Non credo che siano solo voci.» La mia mente corre veloce, ogni dettaglio si incastra, ogni tassello sembra trovare posto nel mosaico. «Pensaci, Carlos, ricordiamo tutto tranne alcuni momenti delle ultime serate e magari è stato proprio in quel frangente che ci hanno fregati. Alys aveva piazzato delle microcamere alla baita, probabilmente se ne sono serviti per spiare i nostri movimenti e confonderci. Come avete fatto a restare rinchiusi nell’aula del campus?»

«Non me lo ricordo» risponde Carlos dopo una pausa. Le sue parole pesano come macigni.

«Già. Ed era pieno di studenti. Hanno seguito Alys, rapito Bea, messo in fuorigioco noi e i Kovalenko. Non può essere una coincidenza. Qualcuno ci ha fatto bere e non ce lo ricordiamo.»

Carlos esplode in una raffica di insulti in spagnolo. Lo immagino stringere i pugni, digrignare i denti.

«Ci informeremo meglio su questa sostanza, se dovesse rivelarsi vera…» sospira, lasciando il pensiero sospeso nell’aria pesante di rabbia e frustrazione.

«Devo avvisare Sascia Kovalenko.» Termino la frase al suo posto, perché alle conseguenze non voglio nemmeno pensarci.

Mentre aggancio con Carlos e digito il numero di Sascia, strizzo l’occhio in direzione di Alys. La tenda si sposta appena, come se fosse passata una folata di vento.

Sorrido.
Sei sempre stata mia.


La versione di Elyas ci devasta il cuore, ma abbiamo scoperto una cosa importante.
BugsBunny.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora