ALYS
Oggi
Quando ho deciso di andare all’Hartisflirt, avevo pianificato tutto nei minimi dettagli. Elyas e Artem erano andati da Sascia, e io ero rimasta da sola in casa con Bea.
Mia cognata, nonostante la stanchezza della gravidanza, dorme con un occhio solo e sapevo per certo che al minimo rumore si sarebbe svegliata. Così, una volta agghindata per la serata, prima di uscire ho fatto cadere un vaso, che si è frantumato sul pavimento. Dopo aver preso le chiavi della Mustang, sulla quale era installato un GPS, mi sono dileguata nell’istante in cui la sagoma di Bea è apparsa alla finestra. Avrebbe avvisato Elyas, che si sarebbe precipitato da me, e una volta entrato nella stanza n.5 avrei svelato la mia identità.
Purtroppo, non avevo fatto i conti con la mia reazione. Non riuscivo a dire una parola: la vista di lui con quel completo elegante mi aveva tolto il fiato, e mi sono lasciata travolgere dagli eventi.
Un’altra cosa che non avevo considerato? La sua reazione.
Sia chiaro, con molta probabilità avrei reagito allo stesso modo, ma in quel momento mi ero concentrata così tanto sul calore delle sue mani sul mio corpo che ho perso di vista i suoi sentimenti e di come potesse sentirsi lui, sapendo che mi trovavo in un night club, pronta a farmi scopare da un altro uomo.
Non potevo perderlo di nuovo e avrei fatto di tutto per farmi perdonare.
Per fortuna, le cose si sono sistemate. Non avrei sopportato di stargli lontana ancora per molto, ne avevo abbastanza.
«Beh, ce ne avete messo di tempo voi due.» Bea punta una forchetta prima nella mia direzione, poi in quella di Elyas, mentre siamo seduti a tavola durante la cena.
Quella del giorno successivo alla serata del privé, ovviamente.
Non siamo usciti dalla nostra camera per tutto il giorno, durante il quale Elyas ha cercato di recuperare il tempo perduto esaudendo ogni mio desiderio. Non ci siamo fatti mancare nulla.
Ho trattenuto così tanto i miei sentimenti che ora voglio solo perdermi in lui e non liberarmene mai più.
«Più o meno il tempo che ci avete messo voi due.» Sorrido a mia cognata, puntando gli occhi prima su di lei e poi su mio fratello.
«L’impresa è ardua quando devi ricongiungerti con un morto» aggiunge Artem, sbuffando.
Essere stato escluso dalla vita della sua ragazza per così tanti anni gli fa ancora male, soprattutto ora che sta per diventare padre e la sua idea di famiglia si sta concretizzando, rivelando il suo lato sentimentale ai massimi livelli.
È strano vederlo così, lui che mostrava affetto solo nei miei confronti. Ma sono felice, perché nessuno più di lui se lo merita.
Bea si volta verso Artem e lo fulmina con lo sguardo, continuando a tenere la forchetta sospesa a mezz’aria, solo che stavolta è puntata dritta sulla sua faccia.
«Fattela passare» risponde lei, con poca gentilezza.
«Ehi, baby, stavo scherzando. Questa storia degli ormoni sta prendendo il sopravvento.»
Io ed Elyas scoppiamo a ridere.
«Il piccolo lord minacciato da una donna. Chi lo avrebbe mai detto.» Il mio ragazzo lo prende in giro mentre si porta il bicchiere alle labbra per mandare giù un lungo sorso di birra.
«Disse l’uomo al quale è preso un infarto quando ha visto dove è entrata mia sorella la scorsa notte.»
Elyas sputa la birra e quasi si strozza. Questo scambio di battute sta prendendo una brutta piega. Due ragazzacci che si divertono a uccidere, messi al tappeto da due donne.
Non credo che la serata finirà bene per noi ragazze.
«A proposito, dove diavolo sei andata l’altra sera?» Bea ruota di nuovo la testa nella mia direzione. Sembra non riesca a tenere a bada la sua scarica ormonale, e un brivido mi attraversa la spina dorsale al pensiero che presto diventerò zia. Non me lo aspettavo, ed è stata la notizia più bella che potessero darmi.
«Lasciala stare, dea, a questi due stronzi piace giocare con i voyeur.»
Bea sgrana gli occhi e ci scruta con sospetto mentre gli ingranaggi nella sua testa iniziano a muoversi. Dopo qualche secondo passato a riflettere, spalanca la bocca per lo stupore. Ha capito cosa abbiamo fatto e a quel punto afferra Artem per mano e lo trascina via.
«Voglio che mi metti incinta» borbotta mentre calpestano il pavimento in tutta fretta.
«Sei già incinta» le ricorda mio fratello, passandosi la lingua sul labbro, poi la prende in braccio per sparire in cima alle scale. La porta della loro camera sbatte la porta e… beh, non ho voglia di sentire il resto.
Elyas allunga un piede sulla gamba della mia sedia e la trascina verso di lui, stringendomi a sé. Poi mi solleva con le mani e mi fa sedere sulle sue gambe. La sua erezione si gonfia premendo sotto il mio sedere mezzo nudo, visto che la maglia bianca oversize si solleva appena mi giro per mettermi a cavalcioni sopra di lui. Le mie gambe nude gli cingono la vita mentre mi stringe con più veemenza, e i suoi pantaloncini della tuta mostrano il rigonfiamento che si indurisce sempre di più.
Mi piaceva molto con abiti eleganti, ma riaverlo con i suoi vestiti da macho motociclista ha tutto un altro sapore.
«Non sei stanco?» premo la fronte contro la sua. Non so come si senta lui, ma io ho le ossa ridotte in pezzi. Tenere il suo ritmo è faticoso, nonostante io sia una che si allena tutti i giorni. Non ho mai smesso dall’addestramento con Sascia.
«Di te?» strofina il naso sul mio. «Mai, princesa, mai» sospira, e sento il suo cuore accelerare insieme al mio respiro.
«Scusami» gli dico di getto. Avrei dovuto farlo molto tempo fa.
«Sss» prova a zittirmi con due dita premute sulle labbra, ma io continuo. Ho bisogno di parlargli.
«No, Elyas, ho bisogno di dirlo» fa una smorfia di disapprovazione, ma mi lascia continuare.
«Dovevo fidarmi di te, avrei dovuto capire che c’era qualcosa che non andava quel giorno, ma ho preferito cedere alle mie insicurezze» tiro un lungo sospiro mentre le mie dita si intrecciano tra i suoi capelli e lo accarezzano piano. «Avrei dovuto crederti anche quando sei tornato e mi hai raccontato la verità. Mi dispiace di aver permesso a Rick di baciarmi quel giorno, ma stavo a pezzi ed ero pronta a togliermi la vita» una lacrima mi rotola sul viso. So che Rick non gli ha raccontato solo del bacio, perché quando nelle catacombe viene fuori la verità, viene a galla tutto lo schifo.
«Basta, princesa. Per favore non devi…»
Scuoto la testa.
«No, sono stata una stupida. Ho lasciato trascorrere cinque anni in cui noi potevamo stare insieme e ti ho ferito» il mio viso è ricoperto di lacrime mentre le mani di Elyas iniziano a stringermi forte. «Ho lasciato che i miei mostri tornassero» trattengo l’ennesimo singhiozzo e ricambio il suo abbraccio più forte che posso, respirando il suo odore che mi è mancato più dell’aria.
«Basta, per favore, non piangere più. Adesso siamo qui e insieme. È questo quello che conta, giusto?»
Annuisco e lo bacio, ovunque. Sulle guance, sulle labbra, sul collo, senza prendere fiato. Perché tutto ciò che voglio è lui, e deve saperlo.
«Ti ho sempre amato, ci sei sempre stato tu nei miei pensieri» confesso, disperata di avere il suo amore in eterno.
«Lo so, princesa. Dimentichi che vedevo ogni cosa di te. Tutte le cazzo di sere» rimarca le ultime parole con un luccichio malizioso negli occhi.
«Stalker» gli do un pugno sulla spalla.
«Eres mía» borbotta sulle mie labbra.
*
È notte fonda e la luna alta e chiara illumina la camera dove sono distesa sul letto accanto al mio Elyas, che dorme profondamente. È crollato dopo avermi ridotta in pezzi, ma per me il sonno è passato, sostituito da una scarica di adrenalina che mi scorre nelle vene.
Alzo la testa dal suo petto, mi sistemo i capelli con le dita raccogliendoli in una crocchia alta, poi afferro gli occhiali dal comodino e li posiziono sul ponte del naso. La mia vendetta non ha mai cessato di tormentarmi, e con molta probabilità Sascia si incazzerà come una belva quando scoprirà quello che sto per fare.
Mi alzo dal letto con movimenti lenti, trascino le gambe verso il bagno assicurandomi di non svegliare Elyas e infilo la felpa e i pantaloni della tuta che avevo lasciato sullo sgabello. Ai piedi mi metto un paio di Adidas, e sono quasi pronta. In un mobile del bagno ho nascosto una tracolla con i miei dispositivi elettronici e un paio di coltelli. La afferro, prendo ciò che mi serve e sgattaiolo via in punta di piedi, uscendo dal retro della casa.
In queste settimane ho studiato a fondo la villa di mio fratello. Non credo nemmeno che lui sappia con esattezza quante uscite e quanti tunnel nascosti ci siano qui sotto. Tipico di Sascia, non compra niente senza dei cazzo di sotterranei, evitare la sicurezza è stato un gioco da ragazzi.
Chiudo la porta alle mie spalle e, quando sono abbastanza lontana, rivolgo un ultimo sguardo alla finestra della mia camera.
Perdonami, amore mio, ho bisogno di fare questa cosa da sola.
Tiro un lungo respiro prima di iniziare a correre e raggiungere la Ducati che ho nascosto nel bosco tra i cespugli. La sollevo dal manubrio, mi infilo il casco e accendo il motore. Ricordo ancora la prima volta che mio fratello mi ha insegnato a guidarne una: mi stavo cagando sotto dalla paura. Di certo, allora non avrei mai pensato che un giorno mi sarebbe schizzato il cuore alle stelle mentre ne avrei montata una, facendo rimbombare la marmitta sotto al mio culo.
Ingrano la marcia e mi lancio giù per la strada sterrata che mi porta sulla statale. Il vento mi scompiglia i capelli che svolazzano da sotto il casco, e un brivido mi scuote le ossa.
Sei nella mia mente, amore mio. Mi farò perdonare anche di questo, te lo giuro.
Dopo qualche miglio svolto a destra, imboccando una strada che costeggia una schiera di villette in stile vittoriano dai colori che variano tra il bianco e il marrone. Poi la strada illuminata dai lampioni si interrompe, e accosto. Metto il cavalletto alla moto, mi sfilo il casco e scendo. Da qui in poi il mio percorso sarà a piedi.
Villa Gambino non è solo una villa con proprietari mafiosi. È molto di più. Al suo interno si celano segreti che vanno ben oltre i soliti affari della mafia italiana, tra cui il coinvolgimento nell’Associazione cattolica del mio defunto zio, don Vadim Volkov.
Un senso di nausea mi sale fino alla gola al solo ricordo di lui e della sua orrenda tonaca nera. Cerco di mandare giù il groppo che mi stringe la gola, ingoiando il reflusso che mi sale dallo stomaco.
Non pensarci, Alys. Lui è morto.
Mio zio era a capo di un’Associazione ben radicata da oltre duecento anni, un’istituzione in cui i ragazzini venivano cresciuti a suon di bastonate e punizioni se non rispettavano le regole. E anche quando le rispettavano, non c’era modo di sfuggire alla purificazione, il rito che avrebbe dovuto estirpare i nostri peccati.
Appoggio il palmo della mano sulla corteccia di una quercia e chiudo gli occhi con forza. Respira, Alys.
Mi chino per riprendere fiato, deglutisco un paio di volte, poi mi raddrizzo e ricomincio a camminare.
Calpesto le foglie secche con la leggerezza di un fantasma e mi tolgo gli occhiali, nonostante la scarsa visibilità.
Arrivo davanti a un cancello di ferro con un enorme stemma a forma di rosa intrecciata in una ragnatela. Sospiro e mi nascondo dietro i cespugli per non farmi vedere dalla sicurezza.
Questa è l’ultima villa del viale, lontana dal resto della città e con un sistema di sorveglianza che persino io ho fatto fatica ad hackerare.
Sto sudando, e ancora non ho nemmeno iniziato.
Apro la tracolla e tiro fuori il tablet.
Mi siedo a terra con le gambe incrociate e inizio a lavorare, inserendomi nel sistema di sorveglianza per sostituire i filmati con quelli fasulli che ho preparato da mesi.
È quasi un anno che elaboro questo piano, tutto alle spalle di tutti.
Davanti all’entrata c’è un gabbiotto con un paio di guardie a fare la vedetta. Apro il programma della villa, spingo un pulsante e faccio saltare la corrente. Poi sollevo il cappuccio della felpa e stringo forte i lacci intorno al collo.
Le guardie azionano subito l’allarme, e per qualche minuto va tutto in subbuglio. È il momento giusto. Approfitto del caos per scavalcare il muro di cemento e intrufolarmi nella villa prima che la corrente venga ripristinata.
Ho quindici minuti per entrare e uscire da qui.
Il sudore mi si appiccica addosso sotto la tuta. L’aria è densa, soffocante. Non so se sia per il caldo asfissiante o per l’adrenalina che mi pompa nelle vene. Forse entrambe, ma una cosa è certa: non me ne vado senza le ragazze.
Mi muovo lungo il perimetro della villa, come se fossi nata qui. Ho studiato ogni angolo, ogni percorso possibile grazie alle telecamere. Mi volto a destra e a sinistra, verifico che non ci siano movimenti sospetti, poi scatto verso il lato opposto della casa.
E finalmente trovo quello che cercavo: un casolare di pietra, poco distante dal retro della villa. È piccolo, avvolto dall’edera, con un grande portone di legno sbarrato da spranghe di ferro battuto dove c’è un’altra rosa intagliata nel legno spesso. Lo stemma dei Gambino è ovunque.
Appoggio il palmo della mano sulla porta e provo a spingerla, ma non si muove di un millimetro. È chiusa dall’esterno con due enormi lucchetti.
Merda.
La mia attrezzatura da hacker non mi servirà a nulla, qui.
Costeggio il casolare fino a una piccola finestrella. Mi metto sulle punte, cerco di sbirciare all’interno e vedo le mie tre ragazze.
Le uniche amiche che avevo nella scuola cattolica, oltre alla ragazzina che ho fatto salvare da Sascia.
Giorni in cui pensavamo davvero di morire. Giorni in cui ci facevamo forza a vicenda, dopo ogni punizione subita. Il dolore, la disperazione, la paura.
E poi io sono fuggita. Mio fratello è riuscito a portarmi via da quell’inferno, ma lasciarle lì dentro mi ha spezzato il cuore.
Mi sono ripromessa che un giorno sarei tornata a salvarle e quel giorno è oggi, mi dispiace solo di averci messo così tanto.
Premo una mano sul vetro e apro la finestra. Il rumore le fa sussultare facendole alzare di scatto.
Se ne stavano accasciate sul pavimento ruvido, a dormire come sacchi di patate, trattate come spazzatura.
I loro visi stanchi si voltano a guardare l’intruso, e i loro occhi si sgranano non appena vedono la mia chioma bionda sotto al cappuccio. Sono passati tanti anni, ma il nostro sarà sempre un legame che ci porteremo dietro, ovunque andremo.
Scavalco aggrappandomi al davanzale e atterro vicino alle ragazze, ancora incredule della mia presenza.
«Alys? Sei davvero tu?»
Annuisco, le lacrime mi pungono negli occhi. In tutti questi anni non ho mai smesso di pensare a loro e di cercarle, fin quando non ho scoperto dove si trovavano, giusto un anno fa.
Ne avevo parlato subito con Sascia, che mi ha suggerito di tastare il terreno e aspettare il momento giusto, perché non è mai sicuro attaccare la mafia. Ma a me, di tutta questa merda, non me ne frega niente. Ho aspettato troppo, motivo per il quale la proposta di matrimonio di Vittorio Gambino mi è sembrata una soluzione servita su un piatto d’argento. O almeno, lo è stata prima del ritorno di Elyas nella mia vita. A quel punto ho dovuto cambiare i miei piani.
«Cosa ci fai qui?» La voce spezzata di Helena mi fa male al cuore.
Delle vestaglie di raso coprono i loro corpi esili; se non fosse per le scarpe da tennis bianche che indossano, riuscirei a vedere i loro piedi malconci. Cosa darei per aver capito prima dove fossero nascoste.
«Vi porto via, andiamo» sussurro mentre le abbraccio una per una.
Helena, Silvia, Taylor.
Mi tremano le gambe e quasi non riesco a crederci. «Scusatemi se ci ho messo tanto» continuo ingoiando un singhiozzo.
«Alys, no. Non metterti nei guai per noi. Quel Vittorio è ossessionato da te, finirà per ucciderti. Non fa altro che parlare del vostro matrimonio e di quello che ti farà la prima notte di nozze…»
«Sss» la zittisco subito. «Nessuno sposa nessuno qui. Ora andiamo, ho preparato dei documenti falsi e una nave vi sta aspettando per salpare in Europa. Ricomincerete una nuova vita lontano da questo inferno. I miei amici vi stanno aspettando, è tutto pronto.»
Ho una rete di hacker alle mie spalle pronti a eseguire ogni mio ordine, lavorano per me e per Sascia da anni e sono quasi certa che qualcuno di loro lavori anche per Elyas.
Le sprono a seguirmi e, dopo qualche minuto di esitazione, cedono. Scavalchiamo la finestra e rifaccio il percorso dell’andata, assicurandomi che nessuno ci veda.
Le luci sono ancora spente, ma non abbiamo molto tempo.
Dopo una lunga corsa arriviamo sul muro roccioso che delinea il confine della villa, mentre un bagliore di luce a intermittenza indica che l’elettricità sta per essere ripristinata.
«Ragazze, andate prima voi. Appena uscite di qui, correte per trecento metri sul viale sterrato. Un furgone nero vi sta aspettando. Parola d’ordine “Aiko”»
«Non ce ne andremo senza di te, Alys» provano a controbattere, scuotendo la testa.
«Non preoccupatevi per me. So cavarmela» le spingo a salire sul muro.
Ho il cuore in gola e ho paura di non riuscire ad andarmene davvero da questa villa, ma devo salvarle. L’ho promesso a me stessa.
«Alys…» la testa di Helena si volta ancora nella mia direzione prima di scomparire per sempre dall’altra parte del muro. «Grazie» mi dice la sua voce soffice, sfiorando ogni angolo della mia pelle.
Una lacrima mi rotola sulla guancia e me l’asciugo con il palmo della mano, mentre le luci della villa si ripristinano e io resto in piedi, con la schiena addosso al muro, pronta a creare un diversivo.
Stringo gli occhi e tiro un lungo sospiro, ma quando li riapro, la figura di Vittorio incombe su di me.
«Ciao, stramba. Ti stavo aspettando.» E con un gesto rapido, mi infila un ago nel collo.
Lampi a intermittenza appaiono davanti a me e un senso di nausea profonda mi risale in gola. Ho le gambe e le braccia paralizzate.
«Che cosa mi hai…»
Ma non ho tempo di finire la frase, perché nel giro di pochi secondi precipito nel vuoto.
Sapevamo benissimo che sarebbe arrivato questo momento.
E adesso come se la caverà la nostra piccola Aiko?
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2
Любовные романыElyas Garcia De La Cruz è un giovane hacker messicano che fa parte del Mc Tijuana, uno dei club motociclistici più famosi del nord del Messico e del sud della California. È ossessionato da Alys Kovalenko, una nerd come lui, diventando con il tempo...
