Capitolo 15

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ELYAS

Oggi


«Alle tue spalle, Artem. Ora!» strillo da sopra il ramo di un enorme abete, nel cuore del fitto bosco fuori dalle catacombe.

Il ruggito del leone squarcia l’aria, un suono gutturale che fa vibrare il terreno sotto di noi. Rick, con la rapidità di un felino, si lancia in una capriola sotto la sua pancia, evitando per un soffio l’artiglio che avrebbe potuto squarciarlo in due. La lama del suo pugnale si conficca nello stomaco della bestia nello stesso istante in cui io e Artem ci lanciamo dal ramo e atterriamo sopra la sua criniera. Le nostre sciabole fendono l’aria, tranciando il respiro della creatura con due colpi netti e letali.

Sergey, il colosso d’acciaio, potrebbe schiacciare Rick con i suoi duecento chili di muscoli, ma lui è già fuori dalla sua ombra. Con una spinta fulminea, si arrampica sul cadavere del leone per raggiungerci con il respiro affannato e gli occhi che brillano di adrenalina.

Siamo sopravvissuti.

La lotta è stata un inferno, un tormento mentale e fisico che ha spinto i nostri corpi oltre il limite. Il re della giungla non è stato solo una minaccia di muscoli e artigli, ma un’intelligenza predatoria che ci ha costretti a calcolare ogni mossa con precisione millimetrica. Se abbiamo vinto, è solo perché abbiamo unito le nostre forze, sfruttato ogni risorsa e fatto leva sul legame che, giorno dopo giorno, Sascia ha cementato tra di noi.

Non è stato facile, e non lo è stato neppure domare la rabbia di Artem, estirpare quel gene di violenza cieca e sostituirlo con la pazienza. Ma alla fine ha ceduto.

Gli ho raccontato di sua sorella, ho visto il gelo nei suoi occhi, la furia che avrebbe potuto incenerire il mondo. Credevo che perdesse il controllo, che si scatenasse in un vortice di distruzione. Ma l’amore che prova per Bea e per Alys è stata la sua àncora, lo ha tenuto saldo costringendolo a ragionare.

«Cazzo, fratello. Era proprio necessario farci ammazzare questa bestia? Mi sento in colpa» sbraita Artem, il fiato ancora spezzato dalla battaglia, mentre fissa suo fratello con una smorfia di disappunto.

Dall’altro lato dell’arena, Sascia se ne sta immobile con le braccia incrociate sul petto e un ghigno compiaciuto stampato sulle labbra. I suoi occhi scrutano il nostro operato con la soddisfazione di un burattinaio che vede il suo spettacolo prendere vita.

Quel dannato psicopatico ha recintato cinquecento metri quadri di bosco e ci ha gettato lì dentro con un leone in carne e ossa, come fosse il suo animale domestico. Ed è proprio qui, tra il sangue e la terra battuta, che ha deciso di metterci alla prova.

Sascia si avvicina al leone, le dita sfiorano la criniera con un gesto quasi reverenziale. Per un istante, un lampo di dispiacere attraversa i suoi occhi.

«Non ti fai problemi a uccidere un essere umano, e te ne fai quando si tratta di un animale, fratellino? Sei strano» commenta con voce bassa, mentre il ghigno si spegne appena.

La tensione nell’aria è elettrica. Sappiamo tutti che questa è solo un’altra lezione nel lungo addestramento che ci sta trasformando in qualcosa di più letale di quanto avremmo mai immaginato, e il pensiero più inquietante è che non è ancora finita.

«È questione di rispetto, Sascia. Se lo chiamano re della foresta, un motivo ci sarà» rido sotto i baffi insieme a Rick, mentre il piccolo lord sembra proprio esserci rimasto male.

«Smettila di frignare, Sergey stava per morire. Aveva un tumore e non gli restava molto tempo da vivere. Pensala così: gli avete regalato un’ultima battaglia memorabile prima della morte». Sascia sospira con le dita immerse nella criniera dell’animale ormai esanime.

E chi se lo aspettava un Sascia sensibile? Forse era davvero legato a questo animale. Per un attimo il suo sguardo si incupisce e di nuovo un lampo di tristezza attraversa i suoi occhi freddi che viene soffocato dalla solita maschera di indifferenza.

«Adesso dategli una degna sepoltura. Non appena avete finito, potete tornare nelle vostre case». Borbotta qualcosa all’orecchio del leone, un ultimo addio, presumo, da parte sua e di una certa Lilith. Poi si rialza e ci squadra con la solita superiorità. «L’addestramento è concluso e ricordatevi sempre cosa siamo».

«Siamo Chaos!» urla Artem con la voce carica di adrenalina.

«Siamo Chaos!» segue Rick, con un ghigno ancora stampato in volto.

«Siamo Chaos!» mi unisco a loro, sentendo il brivido di quelle parole scorrermi nelle vene.

«Siamo Chaos» conclude Sascia, la sua voce una sentenza, un marchio inciso a fuoco nelle nostre anime.

Scendo dalla criniera e raggiungo Sascia con passi lenti e decisi. Quando sono di fronte a lui, mi infilo una mano nella tasca dei pantaloni e tiro fuori il coltello a serramanico. Faccio scattare la lama in alto e la roteo tra le dita prima di posare la punta sulla pelle del mio palmo destro. Senza esitare, affondo la lama nella carne e traccio una linea retta, permettendo al sangue di sgorgare dalla ferita in un rivolo caldo e scarlatto.

Sascia non dice nulla. Si toglie la giacca con un gesto fluido, si arrotola le maniche della camicia bianca fino al gomito, poi mi sfila il coltello dalle mani. Ripete le mie azioni con la precisione di chi non conosce il dolore e appoggia la sua ferita sulla mia, mescolando il nostro sangue.
Un giuramento suggella il patto di fedeltà, un legame che solidifica tutto ciò che ho promesso.

«Benvenuto in famiglia». Il tono soddisfatto di Sascia mi gonfia il petto d’orgoglio. Quest’uomo ha il potere di piegare chiunque al suo volere, come e quando desidera. «Adesso vai a riprenderti mia sorella. La trovi a casa di Artem e Bea».

Mi dà una pacca sulla spalla, come se fosse certo che porterò a termine l’ordine. Poi si ricompone, aggiustandosi la giacca del suo abito Armani. Senza una smorfia di dolore, si volta e si incammina lontano, incurante del sangue che impregna la stoffa immacolata della camicia bianca. Il rosso sulla seta scorre lento con un tributo silenzioso al giuramento appena pronunciato.

È la prima volta che Sascia si veste elegante per venire nelle catacombe. Solitamente arriva in jeans e maglietta, oppure a torso nudo, assorbendo ogni frammento di oscurità che questo luogo trasuda. Oggi, invece, sembra un re in mezzo al caos, un sovrano che abbandona il suo trono di ombre dopo aver sancito il destino di chi gli è devoto.

Tiro un lungo sospiro e mi volto verso la mia nuova famiglia. La bandana che porto sempre in tasca, ora mi serve per fasciare la ferita. Il tessuto si tinge di rosso mentre stringo il nodo con i denti. Il bruciore che si propaga nella mano non è nulla in confronto alla fiamma che mi divora dentro.

Rick e Artem mi osservano. Fanno un leggero cenno con il capo, un gesto appena percettibile ma carico di significato: un richiamo alla battaglia e un invito a non esitare. Annuisco a mia volta.

È giunto il momento  che devo riprendermela, prima che i suoi impulsi da eroina la spingano a gettarsi in quella villa maledetta e prima che si perda ancora una volta in una guerra che non può affrontare da sola.

Il solo pensiero di tornare a respirare la sua stessa aria mi stringe la gola in una morsa brutale. Sono stanco. Stanco di aspettare. Stanco di vederla scappare. Stanco di rimanere fermo nell’ombra, desiderando il suo perdono come un uomo in ginocchio davanti a una sentenza.

Lei non ha mai creduto alle mie parole. Ha scelto di restare cieca, di rifiutare la verità che le ho gridato fino a farmi sanguinare. Ma stavolta lo capirà, anche se dovrò legarla finché non avrà altra scelta, perché non c’è stato niente e nessuno dopo di lei. Nessuna donna ha mai sfiorato ciò che le appartiene da sempre.

Sono pronto, princesa.

E stavolta lo sono sul serio.

*

«Vado da Bea e poi parlerò con Alys. Tu che intenzioni hai?» Artem si sfila il casco con gesto lento, come se ogni movimento fosse il preludio a qualcosa che ha il potere di cambiare l’aria stessa intorno a noi. Lo posa sulla sella della Kawasaki e il suono metallico riecheggia nell’aria grigia e tesa.

Mi trovo immobile, sulla mia Harley, le mani ancora strette sui manubri come se mi permettessero di restare ancorato a un mondo che mi scivola tra le dita. Artem mi guarda con gli occhi pieni di quella curiosità che da sempre mi infastidisce, domandandosi perché non sia ancora pronto a guardare Alys in faccia. A me sembra tutto così semplice: affronterei di nuovo un leone di duecento chili senza battere ciglio, ma lei è un altro discorso.

Il punto non è la paura. Non è mai stata paura, no. Quella l’ho sepolta da tempo, come si fa con una vecchia cicatrice che non fa più male. Il punto è che voglio darle il tempo di assaporare il mio ritorno. Voglio insinuarmi dentro di lei lentamente, come un veleno che scorre nelle vene, voglio che mi senta nella pelle e nel respiro. Come l’ombra che rimane dopo un sogno. Perché, alla fine, è questo che sono per lei: il ritorno di un incubo che non riesce a scacciare, un richiamo che la prende tutta senza darle scampo.

Alzo lo sguardo, fissando la finestra al primo piano della villetta gotica di mio cognato. La casa sembra respirare insieme a me, le ombre che danzano sulle pareti come presenze mentre vedo un breve movimento. La tenda di una finestra si sposta di colpo, chiudendosi con uno scatto che riecheggia nell’aria. Oltre il telo azzurro, un’ombra si ferma, tremante, come se cercasse di diventare parte dell’ombra stessa, sperando di sfuggire al mio sguardo. Ma non può mai sfuggirmi perché io l’ho sempre vista.

Fremi per me, princesa. Lo so. Lo so bene. Mi guardi da dietro quel vetro e so che nel profondo, sotto la pelle che si fa fredda, qualcosa si muove. So che mentre mi spii, qualcosa di oscuro si accende in te, come ogni volta che il mio nome sfiora i tuoi pensieri. E quella scintilla che brilla tra le tue cosce non è altro che la promessa che ti porto: l’effetto di ogni mio passo nella tua mente.

Quella scintilla brilla così forte, riflettendo nella luce pallida della stanza, che potrei quasi toccarla. È un riflesso che mi sussurra attraverso il vetro, un invito che mi prende e mi trattiene. So cosa accade dentro di te, lo so da sempre.

«Vai pure, io aspetto,» rispondo, senza voltarmi, la voce è come un sussurro che si mescola al rumore della mia moto che si spegne. Mi appoggio sulla sella con i gomiti piantati sul manubrio, il casco tra le braccia, come se il mondo intero potesse stare in quell’attimo congelato carico di tensione.

Faccio scrocchiare il collo, un movimento che sembra spezzare l’aria tesa che mi circonda. Continuo a fissare la finestra, lo sguardo ancorato all’ombra che non se ne va. È lì, immobile, come se cercasse di nascondersi, ma io la vedo sempre.

Guardami bene, princesa, perché non c’è più tempo per tentennamenti, la pazienza che una volta avevo per te è finita.

Un sorriso amaro mi increspa le labbra, e la mia mente si perde nei ricordi. Inizio a pensare che, in fondo, ti piace sentirti braccata, ti piace l’idea di essere nel mio mirino. Lo so, perché ti ho guardato crescere in tutti questi anni, ti ho osservato mentre ti toccavi, mentre il tuo corpo si arrotolava in quel piacere proibito. Avevi imparato a conoscermi attraverso uno schermo mentre le tue labbra, quelle labbra, si muovevano lentamente, pronunciando il mio nome in un sussurro che mi spezzava dentro. Ogni volta che ti guardavo, ogni volta che vedevo scivolare quelle dita dentro di te, il pensiero che non potevo assaporarti, mi faceva impazzire.

Ma ora cambierà tutto, mia dolce AiKo.

Artem se ne va, lasciandomi da solo nel cortile, circondato dalla protezione degli uomini di Sascia. Un centinaio di gorilla piantano le loro radici nel perimetro della casa, come sentinelle pronte a difendere un regno. Non ho alcun dubbio sul fatto che quello psicopatico ha già piazzato qualche uomo anche sulla scogliera a strapiombo sull’oceano, per essere sicuro che nessuno si avvicini troppo.

Scuoto la testa, un sorriso che si fa largo tra le mie labbra. Mi piace quest’aria calda che solletica la pelle, che sembra accarezzarmi e portarmi lontano, come se fosse un presagio del mio nuovo destino con la mia nuova famiglia. Ma manca ancora qualcosa, anzi, qualcuno.

Lei.

Sarò il tuo niente, princesa.
Para siempre, mi amor.

Con un movimento fluido, mi infilo una mano in tasca e prendo il telefono senza mai distogliere lo sguardo dalla finestra. Le dita scivolano sullo schermo, il mio respiro è calmo ma il battito regolare, perché dentro di me c’è una tensione che non si spegne.

«Prez, era ora,» Carlos risponde al secondo squillo. La sua voce ha quella familiarità che fa ancora strano sentirla, mi ricorda un tempo lontano, quando anche mio padre veniva chiamato così. Ma ora sono io il presidente del club, dovrò farci l’abitudine. «Come è andato l’addestramento? Sei dentro?»

«Siamo dentro, amico mio. Tutto il Club lo è. Ho fatto un giuramento di sangue con Sascia.» Mi accendo uno spinello, il fumo che sale lentamente e si dissolve nell’aria. Mi sdraio sulla moto, con una caviglia sull’altra, e osservo il cielo che si fa sempre più scuro.

«Il Club non avrà nulla in contrario, i Kovalenko hanno sempre fatto affari con noi,» mi ricorda Carlos. La sua voce è solida, ma so che ha visto troppe cose, come me.

«Non si tratterà dei soliti affari, Carlos. Ma molto di più, e il primo che fa storie è fuori. Non ho intenzione di ripetere gli errori di mio padre. Niente più Cartello e niente più fanatici cattolici tra le palle. Intesi?»

Carlos non replica subito, ma posso sentire l’aria che cambia. Sta prendendo sul serio ogni parola che dico, e so che il Club lo farà.

«Abbiamo già iniziato a tagliare i ponti e a cercare nuovi canali. Sono tutti dalla nostra parte, non preoccuparti, Prez

«Una cosa importante, Carlos,» dico, la voce che diventa più grave, più intensa. Faccio un tiro, trattenendo il fumo nei polmoni per qualche secondo, come se volessi bruciare anche i miei pensieri.

«Dimmi tutto.»

«Non tornerò da solo. Tornerò con la mia Signora.» È un avviso che non posso nascondere. Ogni membro del club deve sapere che lei è sotto la mia protezione. Nessuno oserà avvicinarsi e tutti le porteranno il rispetto che merita.

«Ce l’hai fatta a riprendertela,» dice con una risata che sa di ammirazione. «Possiamo replicare la serata del campus?» azzarda, ridendo sotto i baffi.

«Solo se la mia Signora sarà d’accordo, e le regole restano le stesse.» Il pensiero di quella serata mi fa sorridere, ma la realtà è ben diversa ora. Mi scuoto, come se volessi scrollarmi di dosso quel ricordo che mi brucia dentro. «Devo solo ricordarglielo.»

L’ombra dietro la tenda continua a scrutarmi, immobile, ed è come se mi sentissi invaso da lei, ogni sua mossa che mi sfiora.

Il mio corpo reagisce, l’uccello che diventa più duro, come una risposta a ciò che sento, a ciò che so che lei sente.

«Non dirmi che ancora devi cominciare. Cazzo, vorrei essere lì in questo momento, Prez.» Carlos ride con sorta di ammirazione.

Ridacchio, continuando a fumare. «Sarà la parte migliore, amico mio.»

Eres mia, princesa.





Elyas è tornato ed è pronto a riprendersi tutto.

Attenzione, perché stanno per arrivare dei capitoli bollentissimi 

e vi ho avvisato all'inizio: il nostro motociclista ci trasporterà in un mondo parallelo

tanto che ve lo sognerete di notte.

Parola di Federica.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora