Capitolo 21

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ELYAS

Oggi



Mia sorella mi invita a parlare con Alys e a farle capire come stanno le cose, Artem mi sprona a prenderla con la forza. Il che, detto da lui, suona quasi ironico.

Ma io conosco Alys meglio di chiunque altro. So che in questo momento starà impazzendo, soprattutto dopo aver trovato al suo risveglio un completino intimo chiuso in una scatola di velluto, posato con cura sul bordo del letto. Un body di pizzo nero, trasparente, che lascia scoperti i suoi capezzoli rosati e la sua dolce fica. Così indecente e perfetto che non vedo l’ora di strapparglielo di dosso.

Ma non oggi.

Tra poco ho un appuntamento con Sascia alle catacombe, in uno dei tunnel dove ha imprigionato mio padre.
Ma per il momento mi gusto uno dei miei impulsi da stalker e cammino verso la scogliera fin quando non la vedo. I suoi capelli biondi scodinzolano legati in una coda bassa, ondeggiando al ritmo dei suoi passi. La riva di sabbia si inumidisce sotto la carezza dell’oceano, e lei si muove con la grazia selvaggia di chi appartiene solo a se stessa.

Osserva l’orizzonte con le cuffie infilate nelle orecchie, poi allunga le gambe per fare stretching, i muscoli si tendono sotto la stoffa aderente dei leggings e la curva perfetta delle sue cosce si contrae. Poi riprende a correre e io sono già in movimento. Percorro una ripida discesa e mi nascondo dietro le siepi, scrutandola da vicino. Non riesco a controllare l’impulso di farla mia, qui e ora, e quando si avvicina al cespuglio, ignara della mia presenza, decido di afferrarla.

La trascino tra l’erba umida e la sua schiena sbatte contro il terreno mentre soffoca un gemito.

Le tappo la bocca con una mano e mi posiziono a cavalcioni sopra di lei. Prova a divincolarsi, il suo corpo si inarca sotto il mio peso, ma non c’è scampo. E Dio, quanto mi piace sentirle il cuore battere all’impazzata sotto i polpastrelli. La sua pelle è bollente, il respiro irregolare, il petto si solleva e si abbassa, gli occhi azzurri mi trapassano.

Mi avvicino, le labbra sfiorano il lobo del suo orecchio e il mio respiro le scivola dentro.

«Sei mia anche quando non mi vedi. Quando pensi di avere scampo. Quando provi a convincerti che il tocco di un altro uomo possa cancellare il mio».

Un singhiozzo, una lacrima che scende dall’angolo del suo occhio. Borbotta qualcosa, ma non le concedo il diritto di parlare. «Non accadrà mai, piccola bugiarda».

Il mio bacino preme contro il suo sesso, la mia erezione si struscia contro il tessuto sottile dei suoi leggings. Percepisco un tremito leggero quando cerca più attrito, muove i fianchi, ma non le concedo nemmeno questo.

«Vuoi il mio cazzo, eh». Sorrido, la mia mano scivola attraverso il bordo dei pantaloni sportivi e scosta appena il cotone morbido degli slip.

Fradici.

Il desiderio mi divora. Chiudo gli occhi per un istante e il bisogno di strapparle tutto di dosso mi incendia il sangue.

Continuo a tenerla inchiodata a terra con il peso del mio corpo, mentre le dita spostano il pizzo bagnato e si insinuano tra le sue pieghe calde e viscide.

Arriccio un dito dentro la sua carne umida, la sento tremare, spalancare gli occhi. Il suo bacino segue il ritmo del mio tocco, implora silenziosamente di più.

«Non te lo meriti. Non meriti nemmeno le mie dita. Sai quante notti ho passato sveglio, mentre ti toccavi sussurrando il mio nome?». Affondo un altro dito dentro di lei, con rabbia. Lei scuote la testa, i denti affondano nel labbro inferiore.

«Troppe, princesa. Ogni tuo orgasmo mi faceva sentire vivo, eppure ogni tuo rifiuto mi spezzava il cuore. Non hai idea di quanto cazzo sia stato male. Non hai idea di quanto io ti odi in questo momento.»

Affondo un terzo dito. La sento stringermi, il suo piacere farsi strada tra le convulsioni del suo corpo, ma mentre il suo ventre si contrae e la sua fica inizia a risucchiarmi, ritraggo le dita e un lamento sfugge dalle sue labbra.

Le rimetto a posto le mutandine, lascio andare la mano che la teneva zitta. Mi sollevo e la lascio distesa nell’erba con il petto ancora ansimante e gli occhi incendiati di frustrazione.

Mi allontano, ma prima di sparire le dico, con un sorriso crudele sulle labbra: «Non sarà così facile». E mi porto le dita alla bocca. Il suo sapore mi mancava così tanto da togliermi il respiro.



«Cariño» la voce di Bea interrompe i miei pensieri mentre risalgo il sentiero per tornare in casa. I suoi occhi guardano prima me e poi la figura di Alys ferma sulla riva dell’oceano.

«Guapa» rispondo e l’avvolgo con un braccio. Il suo profumo dolce si mescola alla salsedine nell’aria, mentre il suo corpo si abbandona per un istante al mio. «Sto per diventare zio e ancora non ci credo». I suoi occhi si illuminano, e io non potrei essere più felice per lei.

«Mi accompagnerai lungo la navata al mio matrimonio?» domanda con un filo di esitazione, come se ci fossero davvero dubbi in merito.

«Non c’è nemmeno bisogno di chiederlo. Non uscirai da quella casa senza di me, ma dubito che vi sposiate in chiesa». Lei fa una smorfia e mi soffoca con le braccia ancorate al collo.

«Lo so, ma non importa. È solo che…» Alzo un sopracciglio e aspetto che prosegua. «Che mi sei mancato per troppo tempo e non voglio starti lontana» confessa, e i suoi occhi si riempiono di lacrime. Quelle lacrime che non ho mai visto in lei. Mia sorella sta guarendo, e se tutto questo è merito di quel piccolo diavolo di Artem, sono felice di aver superato le divergenze con lui.

«Non mi perderai mai, guapa. Verrò da te spesso e tu verrai alla clubhouse, perché quella resterà sempre la tua casa». Annuisce sul mio petto e le asciugo una lacrima con il pollice, baciandola sul viso. «Ma devi farmi un favore. Tieni occupata Alys per me, devo fare una cosa e ho bisogno che non metta piede in casa per i prossimi quindici minuti.»

Bea esita qualche secondo, poi fa sì con la testa e si precipita da Alys. Non c’è bisogno che le dica cosa devo fare, sa benissimo che sto partendo all’attacco.

Salgo le scale e arrivo nella camera della mia Aiko, mentre Artem è alle mie spalle. Mi ha seguito non appena ha notato il mio sguardo vendicativo.

Non mi curo affatto di lui che, con le braccia incrociate al petto, mi osserva rovistare nella stanza di sua sorella, appoggiato allo stipite della porta con aria divertita.

«Potresti darmi una mano, invece di guardare» gli dico, tenendo gli occhi incollati tra gli indumenti di Alys.

«Solo se mi dici cosa stai cercando» risponde con un ghigno malizioso.

«Lo sai» sbotto e gli punto un dito contro.

Fa una risata, ma poi inizia a frugare insieme a me, e una volta trovato quello che stavamo cercando ci scambiamo un abbraccio sincero e soddisfatto.

«Adesso andiamo, Sascia ci sta aspettando» dice.

Annuisco e sistemo l’oggetto nella giacca.



Non vedo mio padre da quando ha confessato i suoi crimini. Da quando mi ha detto che Bea è mia sorella. Se solo ripenso a tutto quello che ha dovuto passare per colpa sua, mi sale la bile in gola. Sono accecato dall’impulso di lacerargli la pelle e di passare la punta del mio coltello su ogni frazione della sua lurida carne marcia.

Lo so che si tratta di mio padre, ed è per questo che fa ancora più male, ma la mia rabbia non conosce limiti. Come ha potuto causare quel dolore al suo stesso sangue?

Sembrava così provato quando mia sorella ha dovuto inscenare la sua morte che mi sembra quasi impossibile. Avrei dovuto capirlo nel momento in cui continuava a fare affari con i colombiani. Ma ero cieco. Forse perché per un figlio è impensabile che l’uomo che lo ha messo al mondo possa commettere azioni così atroci.

Mi fa schifo e mi fa vomitare.

«Sei pronto?» chiede Artem dalla sella del suo Kawasaki.

Annuisco con aria cupa e mi porto uno spinello alle labbra prima di salire sulla mia Harley.

«Possiamo aspettare se non te la senti» continua con tono preoccupato.

Non so se sia la gravidanza di Bea o il fatto che abbiamo risolto i nostri problemi alle catacombe a renderlo così apprensivo. È disgustoso vederlo allarmato per me, quasi mi manca il mio vecchio cognato. Sarei tentato di indispettirlo solo per farlo incazzare e riprendere con i nostri litigi. Erano, in un certo senso, più stimolanti.

Ma siamo una famiglia adesso, e mi rendo conto di avere avuto più rispetto da tutti loro di quanto me ne abbia mai dato mio padre durante la mia esistenza.

Finisco di fumare lo spinello, mi infilo il casco e faccio un cenno con la testa a mio cognato.

«No, voglio uccidere quel bastardo oggi» borbotto da sotto il casco.

Lui mi fa un sorriso diabolico prima di partire con il Kawasaki e mi sorpassa lasciando che la sabbia si sollevi in aria in una nuvola di fumo, facendomi incazzare più di quanto non lo sia già.

No, non è cambiato. È sempre il solito stronzo, solo che non è l’unico.

*


«Elyas» mi chiama Sascia, facendomi cenno di avvicinarmi mentre fisso il corpo di mio padre, legato a un enorme crocifisso di legno sulla parete rocciosa di una delle stanze nelle catacombe. Le corde di juta gli serrano i polsi dietro la schiena, mentre le gambe sono divaricate da una lunga asta di ferro. Una di quelle che si usano nel sadomaso. Il mio maestro ha sempre avuto un gusto raffinato quando si tratta di attrezzatura per le torture.
Sorrido, osservando i suoi occhi vitrei, e mi avvicino a Sascia con passo misurato.

«Non ucciderlo, non oggi. Mi serve vivo ancora per un po’.» La sua richiesta mi colpisce come una scarica elettrica. Artem e Rick, alle nostre spalle, seguono il discorso con attenzione. Nemmeno loro si aspettavano una simile richiesta. Erano pronti ad assistere al mio macabro spettacolo e invece dobbiamo aspettare.

«Perché? Dammi un cazzo di motivo per cui non dovrei uccidere l’artefice dello stupro di mia sorella e di tutto il dolore che abbiamo vissuto.» Prendo un lungo respiro. «Non puoi chiedermelo, Sascia. Non tu.» Abbassa lo sguardo per un istante, poi mi posa una mano sulla spalla prima di pronunciare quelle parole che mi fanno gelare il sangue.

«Ho motivo di credere che la sorella di Bea sia ancora viva. E lui è l’unico a poterci aiutare.»

Artem si avvicina con un sopracciglio inarcato. «E cosa te lo fa pensare?»

«Sai che parlo solo quando sono sicuro, fratellino. Fidatevi di me. Lui sa qualcosa e noi glielo tireremo fuori dalla bocca, in un modo o nell’altro.»

Annuisco. Non c’è bisogno che dica altro. Per quanto brami il sangue di mio padre, per mia sorella posso aspettare. Se c’è anche solo una possibilità che Anastasya sia viva, seguirò i consigli di Sascia. E se c’è qualcuno in grado di far parlare quell’uomo, è proprio lui.

La vibrazione del cellulare mi strappa via dai miei pensieri. Un messaggio di Bea. Non so nemmeno come sia riuscita a contattarmi qui sotto, ma quando leggo il testo, le mani iniziano a tremarmi.

«Dobbiamo andare.»

«Che succede?» chiede Artem, intuendo la gravità della situazione dal mio sguardo stravolto.

«Alys è uscita di nascosto e ha preso la Mustang di Bea.»

Sarebbe un dettaglio insignificante, se Alys fosse una ragazza qualunque. Ma lei non lo è. E il fatto che Bea l’abbia vista sgattaiolare fuori di casa in piena notte, vestita con abiti succinti, mi fa ribollire il sangue. Se sta andando da Vittorio Gambino… no, non voglio pensarci.
Accendo il GPS che ho installato sulla Mustang e seguo il segnale con il battito che mi martella nelle orecchie. Artem mi tallona con il suo Kawasaki mentre Sascia e Rick restano nelle catacombe, in attesa di un nostro segnale.

Il fottuto errore di Alys sta per trasformare questa notte nella peggiore carneficina della storia.

Il rombo della mia Harley squarcia il silenzio mentre l’asfalto rovente stride sotto le gomme. Il sudore mi incolla la maglietta alla pelle e il cuore mi pulsa in gola. E quando arrivo nel posto in cui il segnale si ferma mi si spegne il cervello.

L’Haristflirt.

Il palazzo a cinque piani più famoso della costa californiana.

Un piazzale asfaltato si apre davanti ai miei occhi, costellato da macchine di grossa cilindrata parcheggiate a spina di pesce lungo il perimetro del cortile. Sto per perdere la testa.

Mi fermo di colpo, inchiodando la moto vicino alla Mustang e mi sfilo il casco con un gesto rabbioso. Artem mi lancia uno sguardo torvo, ma è preoccupato quanto me.

«Vai da Bea, non lasciarla sola.» No voglio che resti al mio fianco mentre mia sorella è sola in casa.

«Sei sicuro?»

«Sì. Sono abbastanza certo di farcela e che tua sorella, da stasera in poi, si ricorderà molto bene qual è il posto a cui appartiene.»

Lui mi fissa per un attimo, poi allunga la mano e mi porge un documento.

«Questo è il mio tesserino. Mostralo alla sicurezza e fatti dare un abito adeguato.» Mi strizza l’occhio con un ghigno. «In bocca al lupo, cognato.»

Fa ruggire il motore, lasciandomi solo davanti all’inferno.

Mi passo una mano sulla fronte madida, asciugandomi il sudore con la bandana nera. Mi apro la giacca di pelle e mi dirigo all’ingresso del club privé più esclusivo della famiglia Kovalenko.

Tu non hai la più pallida idea di cosa hai appena innescato, princesa.



E adesso tenete allacciate le cinture... 

Io vi ho avvisati.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora