Capitolo 9

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Attenzione: in questo capitolo ci sarà una componente dark abbastanza pesante.

ALYS

Los Angeles - Campus estivo

16 anni e mezzo



Odio il suo ego. Odio la sua arroganza, la sua sicurezza ostentata, quel suo modo sfrontato di imporsi su di me come se gli dovessi qualcosa. Come se il fatto che abbiamo parlato per due anni, senza mai vederci, lo autorizzasse a trattarmi come una sua proprietà. Come se quelle confidenze sussurrate tra le righe di una chat che gli ho donato con leggerezza, fossero un’arma nelle sue mani.

Ed è colpa mia. Solo mia. Ho abbassato le difese, l’ho lasciato entrare troppo dentro di me, nella mia testa e nelle mie fragilità. Adesso conosce le mie crepe, sa dove colpire, e lo fa con una precisione chirurgica, senza pietà.

In quell’aula, davanti a tutti, mi ha umiliata. Mi ha usata come un giocattolo, una marionetta a cui tirare i fili a suo piacimento. Non ho mai provato un senso di impotenza simile. Sentirmi spogliata, smascherata, senza nemmeno un’arma per difendermi. Mi è entrato dentro, si è insinuato nei miei pensieri e li ha piegati al suo volere, come se fossi solo una cazzo di pallina di pongo tra le sue dita.

Non posso permetterlo, non posso permettere che diventi il mio padrone.

Lui era il mio EiGi. Gli volevo bene. Gli raccontavo le mie giornate, i miei sogni, i miei dubbi. Mi faceva sentire meno sola, ma non gli ho mai detto del mio passato. Non gli ho mai rivelato l’orrore che mi porto dentro e l’ombra che mi insegue a ogni respiro.
Quella che cerco disperatamente di dimenticare.

Forse ha scoperto che l’ho pugnalato alle spalle. E se lo sa, allora ha senso quello che mi ha fatto, il modo in cui continua a tormentarmi e a farmi sentire prigioniera.

Perché uno come lui non vedrà mai una come me.

Eppure non riesco a sfuggirgli. Qui al campus, ho i miei spazi, ho la mia stanza, il mio rifugio. Ma lui trova sempre il modo di trascinarmi fuori con inganni talmente ben congegnati che alla fine mi ritrovo sempre dove vuole lui. Ogni giorno la stessa storia: un professore mi chiama con urgenza, mi parla di corsi estivi, di materie da recuperare, e alla fine dell’incontro, finisco per attraversare i prati del campus, dove Elyas è lì ad aspettarmi.
E davanti a tutti, con il suo sorrisetto strafottente e la sua voce roca, si assicura che sappiano a chi appartengo.

Proprio come adesso.

Cammino veloce, un piede davanti all’altro, stringendo i libri al petto, come se potessero proteggermi. Voglio solo tornare in camera, chiudermi dentro e fingere che lui non esista. Il caldo mi schiaffeggia la pelle, mi appanna la vista, mentre cerco di nascondermi dietro gli occhiali dalla montatura metallica. Ma non serve a niente perché gli sguardi mi braccano.

Le ragazze, quelle che fino a poco tempo fa non mi degnavano di un’occhiata, ora mi odiano. Elyas le ha sempre ignorate, le sue attenzioni sono tutte mie, e loro lo vedono.

Lo bramano, io lo detesto.

Vorrei urlare che non lo voglio, che non ho bisogno di uno come lui, che mi fa solo sentire più piccola, più vulnerabile, più incatenata. Ma le parole restano incastrate nella gola, mentre accelero il passo.

Artem ha provato a dirgli di starmi lontano, ma a quanto pare adesso ha altro a cui pensare. Anche lui si è incastrato in qualcosa che non può controllare. Bea, la cugina di Elyas, è arrivata da pochi giorni al campus, e anche lei come me, non vuole saperne nulla di mio fratello.

Di male in peggio.

«Princesa

La sua voce mi colpisce come un colpo d’arma da fuoco mentre mi irrigidisco.

Se ne sta seduto con le gambe divaricate sopra una delle panchine in marmo, il gomito appoggiato allo schienale, l’aria annoiata e predatoria allo stesso tempo. Gli occhi, profondi come il mare in tempesta, puntati su di me. E accanto a lui, i suoi tre amici motociclisti, come guardiani silenziosi, spettatori compiaciuti di uno spettacolo che ormai conoscono a memoria.

«Vieni qui,» ordina.
I suoi capelli, oggi sciolti, gli ricadono sul viso, incorniciandolo alla perfezione, facendolo sembrare ancora più pericoloso. Quel bastardo sembra una statua scolpita nella roccia. Il David di Michelangelo, ma più oscuro e più letale.

Il gilet di pelle nera mette in risalto i suoi muscoli, i bicipiti tesi, i tatuaggi che sembrano muoversi a ogni suo respiro. È un’opera d’arte, una creazione fatta per essere adorata.

E lui lo sa, ma non è il solo a riempire l’aria di tensione.


Tutti e quattro sono pericolosamente belli. C’è qualcosa nella loro presenza, nella postura rilassata, nel modo in cui si muovono, che li rende irresistibili.

Forse è il fascino dei motociclisti, di quell’aura da criminali e da uomini che non seguono le regole.

O forse è solo la mia dannata debolezza che, nonostante tutto, mi spinge verso l’abisso.
Arrossisco, abbasso la testa e proseguo senza fermarmi. Sono stanca dei suoi giochini che vanno avanti da quasi un mese. Ogni giorno è la stessa storia: lui mi osserva, mi richiama, mi attira nella sua rete con la pazienza di un predatore che ha tutto il tempo del mondo per godersi la sua preda. Mi snerva. Mi confonde. Mi spezza, e io continuo a inciampare nei suoi occhi verdi come se fossero un dannato labirinto senza uscita.

Nemmeno il tempo di riprendere fiato che due mani mi cingono la vita con forza e mi sollevano. Il mio cuore accelera, il respiro si mozza, e in un attimo mi ritrovo adagiata sulle ginocchia di Elyas. Il suo corpo è caldo, solido, il suo profumo si insinua nella mia mente come veleno.

«Sul serio, Elyas» dice la voce stridula di una delle ragazze del campus, con quell’aria da ragazzina viziata che pensa che il mondo debba girare attorno a lei. La osservo di sfuggita, ma è così insulsa che non mi ricordo nemmeno il suo nome. In realtà, non l’ho mai saputo. E non me ne frega nulla. «Davvero ti piace questo mostriciattolo?» domanda con aria stizzita.

Il mostriciattolo sarei io.

Il petto di Elyas si alza e si abbassa con un ritmo frenetico. Il battito del suo cuore rimbomba contro la mia schiena, un tamburo impazzito che mi trapana la carne. È incazzato. Lo sento. Il calore che emana il suo corpo è soffocante, come una tempesta che sta per esplodere.

«Quello che piace a me non ti riguarda, e cerca di non pensare troppo al mio cazzo. È off-limits» risponde lui, la sua voce è un rasoio affilato che taglia l’aria.

Resto paralizzata. Nonostante non mi fidi di lui, qualcosa dentro di me si contrae. Non mi ha mai difesa nessuno., almeno, non con questa ferocia animalesca che mi fa venire i brividi. «E tu falla finita di scappare. Ti ho già detto che sei mia, quindi ti conviene smetterla di fare la difficile. Quando ti chiamo, vieni da me.»

I suoi polpastrelli affondano nella carne delle mie cosce. Forte. Troppo forte. Il contatto brucia, accende un fuoco nelle viscere che non voglio sentire. «Intesi?»

Annuisco senza fiatare. Perché ha questo potere su di me? Perché la mia volontà si sgretola ogni volta che la sua voce si insinua tra i miei pensieri? «E baciami, cazzo!» ringhia con la bocca incollata alla mia spalla.
Sento il suo respiro bollente accarezzarmi la pelle, poi le sue dita scivolano tra i miei capelli, strappandomi l’elastico. La mia chioma si libera, le ciocche scendono a cascata sulle spalle, creando un’illusione di intimità che non voglio. Il cuore mi martella nel petto, il sangue mi pulsa nelle tempie. Lo odio per ciò che mi fa provare e per il modo in cui mi stringe.

Ma non ci penso affatto a eseguire il suo comando. Sta fuori di testa se crede che possa baciarlo davanti a questa folla di curiosi affamati di gossip.

Le mie guance sono in fiamme e vorrei sprofondare tra le viscere del pianeta pur di non dover affrontare il peso degli sguardi che mi perforano da ogni lato.

«Smettila di tormentarla, cariño.»

Una voce femminile irrompe nella tensione, spezzando l’incantesimo. Sua cugina. La sua presenza è un fulmine a ciel sereno, uno spiraglio di luce in questo buio soffocante. I suoi occhi sono fissi su Elyas, e nel suo sguardo c’è una fiamma che non lascia spazio a repliche.

Tiro un lungo sospiro. Beatriz Garcia mi ha appena salvata da una situazione imbarazzante, e nella mia mente prendo un appunto mentale: se mai dovesse avere bisogno di una mano con mio fratello, gliela offrirò senza esitazione.

Approfitto del momento di distrazione e mi alzo di scatto, ma è del tutto inutile. Elyas è veloce, mi afferra i fianchi con la solita arroganza e mi rimette giù con una facilità disarmante.

«Non ti vuole, lasciala in pace» insiste Bea. La sua voce è tagliente come una lama affilata. I suoi lunghi e lisci capelli neri ricadono sulle spalle, esaltando la pelle olivastra e lucida che le dà un aspetto mozzafiato. È incredibile come il suo viso possa conservare un’espressione così dolce, nonostante la sua fama omicida. Forse è proprio con questo contrasto che ha incatenato mio fratello a lei.

Artem la guarda come un predatore affamato, la brama come se fosse l’unica fonte di ossigeno nella sua vita. Non l’ho mai visto così. Non l’ho mai visto perdere la testa per nessuno. Bea è arrivata da pochi giorni, eppure gli ha già fritto il cervello. E conoscendolo, non la lascerà mai andare.

Forse Bea sta prendendo le mie difese proprio per questo. Perché si trova nella mia stessa situazione. Ma Artem, a differenza di Elyas, è discreto. Non ama i riflettori.

«Vuoi che ti faccia vedere quanto è eccitata in questo momento, guapa?» La voce di Elyas si insinua sotto la mia pelle come veleno.

Maledetto. Maledetto il demonio che lo ha generato, è davvero un idiota.

«Smettila di trattarmi come una bambola» ribatto, il mio tono si spezza sotto il peso della sua presa. Provo a divincolarmi, ma le sue braccia sono una morsa d’acciaio, una gabbia da cui sembra impossibile sfuggire.

Elyas non si cura delle mie parole. Lo vedo nel modo in cui mi guarda, nella sicurezza assoluta con cui mi tiene stretta, perché per lui, io sono già sua.

«Lasciala andare» ordina Bea, la sua voce si fa più feroce.

Elyas le rivolge uno sguardo di traverso con un lampo di sfida nei suoi occhi verdi. «Oh andiamo, guapa. Non la lascerò mai e questo lo sai bene. Piuttosto, cosa succede tra te e il piccolo lord?» inclina il capo, studiandola con curiosità. «Le voci girano, e ti avevo già detto di stare alla larga da lui. È un idiota.»

«Ehi, sono qui!» sbotto, alzando un braccio davanti alla sua faccia. «È di mio fratello che stai parlando, e voi due non siete poi così diversi. Siete possessivi, ossessionati, avanzate solo pretese. E adesso lasciami andare, ti ho già detto che non sono la tua bambola!» Con uno strattone improvviso, metto tutta la forza che ho nel liberarmi dalla sua presa.

E stavolta ci riesco.

Metto un piede davanti all’altro e me ne vado via più veloce di un lampo.

So che non è finita e che lui non si fermerà.

Non la smetterà mai di tormentarmi, ma per adesso, cerco solo di riprendere fiato.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora