Capitolo 29

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ALYS

Due settimane dopo.




Dire che i festeggiamenti per il nostro matrimonio sono durati più di una settimana è riduttivo, una misera e vuota definizione. Sascia si è addirittura trasferito a casa nostra per oltre tre giorni, come se il mondo intero fosse improvvisamente diventato irrilevante. Ma non ha mai abbassato il telefono dall’orecchio, parlando ininterrottamente con qualcuno. Una ragazza, anche se nessuno di noi, tranne Rick, sa chi sia. Mio fratello, un enigma senza soluzione, è un uomo di mistero assoluto quando si parla della sua vita privata. Una vita che sembra protetta da un impenetrabile muro di segreti, come se avesse paura che qualcuno, un qualsiasi sguardo curioso, potesse distruggere la fragile realtà che cerca di mantenere intatta.

Al suo anulare, una fede. Ma non abbiamo mai avuto il coraggio di chiedergli nulla, mai. Sascia parla solo quando decide lui, e quando tace, c’è sempre per un motivo. Eppure, ultimamente, c’è qualcosa di diverso in lui. Un’ombra che aleggia su ogni parola, su ogni movimento. È turbato, inquieto, e non è solo per via del piano che stiamo preparando per annientare l’Associazione; c’è qualcosa di più profondo che lo tormenta. E io lo vedo, anche se non parla e si maschera dietro il suo silenzio.

Durante questi giorni, non ha fatto altro che insistere per sapere ogni singolo dettaglio del passato di Bea a Cadice. Mia cognata, ingenuamente si è lasciata andare, entusiasta nel ripetergli quelle storie che aveva condiviso con sua sorella, come se fosse tutto normale. Non ha notato nulla di strano nelle domande, ma io e Artem lo abbiamo capito subito che dietro si cela dell’altro.

«Dove lo hai infilato quel bastardo di Jacob?» sbraita il mio gemello con la voce bassa e minacciosa, mentre ci aggiriamo nelle catacombe. Le pareti fredde e umide, sembrano assorbire ogni parola. Sascia ci ha trascinato qui per una riunione straordinaria, tutti, tranne Bea. E questo dettaglio fa crescere un’angoscia viscerale dentro di me, ed è un sentimento che non riesco a ignorare.

«È tutto tuo, fratellino, ho finito con lui» gli strizza l’occhio Sascia, con un sorriso in segno di affetto. «Ma prima dobbiamo continuare con Hugo Garcia.» E con un solo sguardo, Sascia indica Elyas.
La tensione tra di noi cresce come una corda tesa al limite. Ci stiamo dirigendo verso il tunnel dove Hugo è prigioniero. Il cuore di Elyas deve battere davvero forte in questo momento, ma non dice nulla.

Gli stringo la mano cercando di offrirgli una forza che non so se ho, non deve essere affatto facile per lui. Suo padre, quell’uomo che un tempo era il suo eroe, si è rivelato un uomo spregevole. Il suo mondo si è sgretolato come un castello di sabbia, e anche se sono qui con lui, non posso cancellare quella realtà. Quasi mi sembra che il mio, di padre, pur essendo altrettanto mostruoso, abbia avuto almeno l’onestà di mostrarsi per quello che era fin da subito.

Ma Hugo no perché è un inganno, e per Elyas, rivangare i ricordi della sua infanzia è un viaggio nel dolore puro. Perché quando ti svegli da un giorno all’altro e realizzi che tutto ciò in cui credevi non è altro che un’enorme menzogna, è impossibile accettarlo. È qualcosa che ti spezza dentro.

«Ci sono io con te» gli sussurro, le parole pesanti come pietre, mentre il vuoto intorno a noi sembra allargarsi, minacciando di inghiottirci.

Mi cinge con un braccio intorno alla vita e mi stringe a lui, come se avesse bisogno di ancorarsi a me per non affondare. E, in quel momento, mi sembra di sentire il peso di tutto, di ogni scelta che abbiamo fatto e di ogni passo che ci ha portato qui.

«Lo so. È per questo che ti ho sposata. Ci sei sempre stata, anche quando non eri con me. Il ricordo del tuo profumo mi teneva in vita mentre tutto andava in pezzi.»

La sua voce è roca, carica di un dolore che non può essere completamente espresso a parole. Ma io lo sento. E nel suo abbraccio, capisco che in ogni parola c’è una promessa che, per quanto oscuro possa essere il cammino che ci aspetta, noi lo percorreremo insieme.


Mi metto davanti a lui, costringendolo a fermarsi e a guardarmi negli occhi.

«Mi dispiace, Elyas, scusami ancora per tutto il male che ti ho fatto.» La mia voce è rotta, i miei occhi abbassati per la vergogna che mi schiaccia il petto. «Sei sempre stato sincero con me mentre io…» Le parole mi sfuggono troppo dolorose da pronunciare. Mi odio per essere stata una delle cause della sua infelicità, per non aver visto prima il dolore che gli ho inflitto. «Perdonami.»

«Hey, smettila, princesa. È passato.» Elyas mi guarda, il suo volto morbido nel momento in cui mi solleva lo sguardo con una tenerezza che mi fa quasi impazzire. «Adesso sei qui con me, sei mia moglie, ed è questo quello che conta. Ne abbiamo già parlato.» La sua voce è calma, ma la rabbia che ha dentro è ancora viva, nascosta dietro quella serenità apparente. Annuisco, lasciandomi cullare dal suo abbraccio. Le sue braccia sono la mia salvezza, la mia unica ancora in un mondo che non smette di frantumarsi. Ma mio fratello ci sollecita a muoverci, a non perdere tempo, a raggiungerlo in fretta.

Quando arriviamo alla caverna, in fondo al tunnel che sembra non finire mai, l’aria è densa e il buio ci avvolge come un manto soffocante. Hugo Garcia è lì, legato a una croce rovesciata. Il suo corpo spoglio è una mappa di sofferenza e invecchiamento. La pelle increspata, segno dei suoi anni, è diventata un riflesso della sua discesa verso la morte. Ma non credo che sarà la vecchiaia a prendersi la sua vita.

«È pronto a parlare,» dice Sascia, la sua voce fredda come il ghiaccio che scivola nell’anima. Poi gli dà una schicchera sulla guancia, un suono sordo e violento che fa eco nel silenzio. «Giusto, Hugo?» Gli occhi di Hugo si alzano lentamente, come se il peso delle sue colpe gli impedisse di reagire immediatamente. Ma alla fine, annuisce, posando uno sguardo profondo e colpevole su suo figlio.

«Non mi intenerisci, papà,» dice Elyas, la sua voce piena di rabbia. «Non dopo tutto quello che hai fatto passare a Bea, tua figlia.» Le parole si infrangono come vetri rotti, e la sua voce si spezza quando aggiunge: «parla, di’ quello che devi dire e facciamola finita.» I suoi occhi sono pieni di un dolore che lo consuma. Quel maledetto giorno al campus, quel tradimento, è impresso dentro di lui come un marchio che non andrà mai via. Una cicatrice che non potrà mai guarire.

Hugo tentenna, la sua bocca scivola in movimenti che sembrano dolorosi. Poi, finalmente, le sue labbra si muovono, e inizia a parlare, ma le sue parole non sono quelle di un uomo che si sta redimendo, sono parole colme di odio.

«Non è vero che ho scoperto di Beatriz da un referto trovato in casa. È stato il padre di Anastasya, Romero Santana, a contattarmi…» il racconto di Hugo colpisce come una lama affilata. «Mi ha messo le analisi di quella puttana di sua madre sotto al naso. L’aveva fatta seguire, così mi sono messo d’accordo con lui. Doveva mandare la sua gente a Cadice per riprendersi sua figlia e riportare la mia, non mi importava di quello che avrebbe fatto a mio fratello e a sua moglie. Rivolevo la mia bambina. Rio era solo un traditore che meritava di morire, e Romero aveva già venduto Anastasya.»

Si ferma, le sue spalle si sollevano mentre cerca di riprendere fiato ma un colpo di tosse lo fa vacillare. Le sue mani, legate saldamente, tremano sotto il peso del dolore.

«Venduta, a chi?» chiede Elyas, la voce più bassa, ma piena di un’oscurità che si fa strada nel suo cuore. L’aria intorno a noi è carica di una minaccia che non si può ignorare.

Hugo abbassa lo sguardo, il viso sfigurato dalle sue colpe e dalla paura. Un altro colpo di tosse, seguito da un respiro affannoso. Sascia, impaziente, gli dà uno schiaffo violento, e il suono risuona come una sentenza.

«All’Associazione,» sputa Hugo, con disprezzo.

Porca puttana. La rivelazione mi colpisce come una mazzata, e il mio cuore sembra fermarsi per un istante. Forse Anastasya è una delle ragazze che ho conosciuto alla scuola. È per questo che Hugo ed Elyas erano al maniero quando l’ho incontrato per la prima volta. Cazzo.

«È il motivo per cui siamo andati in quella merdosa scuola?» Elyas urla, e le sue parole sono la verità che scava ancora più a fondo. Hugo annuisce, il suo volto un groviglio di amara rassegnazione.

«Romero ha venduto sua figlia a patto che la tenessero vergine fino al compimento dei suoi quattordici anni.» Le parole di Hugo sono fredde come il metallo, e ognuna di esse colpisce come una lama. «Potevano torturarla o prenderla in qualsiasi altro modo, ma voleva la sua verginità intatta. Avrebbe fruttato più soldi.»

I nostri volti sono una tela di disgusto, ma non possiamo fare altro che ascoltare, incapaci di fermare il flusso oscuro delle sue rivelazioni. Elyas è immobile, il suo corpo teso, le braccia così rigide che sembra possano spezzarsi da un momento all’altro. La sua mascella è serrata, e la sua mano stringe la mia con una forza brutale. Non posso capire dove stiano andando i suoi pensieri, ma è come se fosse scomparso dietro una maschera di ghiaccio.

«E…» Sascia non ha alcuna pazienza, la sua voce è tagliente mentre sollecita Hugo a parlare con un altro schiaffo, il suono si fa largo come un comando di morte.

«Anastasya è viva,» sussurra Hugo, il suo respiro affannoso come se avesse appena vissuto un incubo. «Anche Romero è ancora vivo e la sta cercando ovunque.»

Artem si piega sulle ginocchia, le mani tra i capelli, in preda a una disperazione che lo divora. Rick, come al solito, si porta uno spinello alle labbra, come se tutto ciò che sta accadendo non lo riguardasse. Ma io so dove sono i suoi pensieri, e non c’è niente di rassicurante in quello.

Elyas si stacca da me, la rabbia che esplode dentro di lui non ha più freni. Colpisce suo padre con una serie di pugni violenti che e il suono dei suoi colpi è come il ruggito di un leone ferito, senza alcuna pietà.

«E dove cazzo sta adesso? Dove cazzo sta?» urla Elyas, la sua voce carica di odio mentre continua a sferrare colpi, ogni movimento è una scarica di rabbia che non trova una via d’uscita.


Hugo incassa senza fiatare, sapeva che sarebbe finita così e che il disprezzo di suo figlio sarebbe cresciuto nell’istante esatto in cui avrebbe pronunciato quella verità. Riesco a percepire il suo dolore che sbatte contro le pareti rocciose e ci piomba addosso come un macigno.

«Questo devi chiederlo al tuo nuovo capo. È lui che l’ha salvata anni fa.» Una risata roca si solleva nell’aria mentre mio fratello Sascia spacca il naso a Hugo con un pugno violento.
Mi volto verso di lui incredula, lo stesso fanno Elyas e Artem che si alza in piedi ansioso.
Mi posiziono al fianco di Elyas.

«Sascia…» ho quasi paura di fare la domanda. «Anastasya era la mia amica che non ricordava nulla?»
Fa un cenno di assenso con la testa prima di aggiungere: «Avevo intuito qualcosa quando ho visto il tatuaggio a forma di libellula sulla pelle di Bea, e quando alla clubhouse ha strillato il soprannome che le dava da piccola, “Stixy”, ho capito che stava parlando di lei. Ma avevo bisogno di certezze.»

«La mia sorellina era una piccola libellula. Mi piacevano le libellule e lei me le ricordava,» mi dice la mia nuova amica dal nome sconosciuto.
«E dove sta adesso?»
«Non lo so, ma le avevo promesso che l’avrei ritrovata. Si chiama Trixy. O almeno credo.»
Trixy? Che razza di nome è? Credo stia delirando.
«Stixy e Trixy ci chiamavamo. Ma… no, non erano i nostri nomi.» La sento agitarsi e innervosirsi sotto le lenzuola mentre si stringe a me.
«Va bene, tranquilla. Adesso dormi. Domani mi racconterai altre cose.» La conforto accoccolandomi a lei che non ha lasciato nemmeno per un minuto la mia mano.

I miei ricordi riaffiorano uno per uno, compreso quello in cui avevo raccontato a Sascia alcuni dettagli sulla mia amica.
«E dove sta adesso?» domanda Elyas con occhi pieni di speranza.
Restituire Anastasya a sua sorella significa scrollarsi di dosso il peso della colpa per il suo stupro, dove si sente ancora responsabile per non essere riuscito a proteggerla.
Sascia tentenna, non l’ho mai visto così in ansia e non posso credere che la mia piccola amica di scuola con la quale avevo stretto un legame indissolubile, sia proprio la sorella scomparsa di Bea.
«Lei è…» sospira e giuro di non averlo mai visto in questo stato. «Lei è Lilith.»

«Chi diavolo è Lilith?» domando confusa, con gli occhi fissi su di lui.

«La stessa Lilith per la quale hai ucciso quel tizio alla tavola calda, cinque anni fa?» Artem si agita e si posiziona davanti a Sascia.
Elyas si aggrappa alla mia spalla, le sue dita scavano nella carne, afferro la sua mano per calmarlo, ma con scarsi risultati.
L’aria è carica di tensione mentre Sascia fa sì con la testa e guarda dritto negli occhi il mio gemello.
«Sascia, chi è Lilith?» insisto.
Ho capito che si tratta della mia amica che ha perso la memoria, ma c’è molto di più dietro questo nome, e adesso deve parlare.
«Mia moglie.»
Le sue parole si interrompono in un respiro strozzato e vedere Sascia provato mi lascia turbata.
«Cosa?» fanno eco le nostre voci nelle catacombe, interrotte da un silenzio assordante.
«Non dite niente a Bea, per il momento. Ho bisogno di fare assimilare la notizia ad Anastasya. Ha ancora molti problemi con la memoria, e poi vorrei che questo fosse un regalo di nozze per mia cognata, se lo meritano entrambe.»

Sapevamo che Sascia si era sposato, non ho mai detto nulla, ma cazzo, avrebbe potuto dirmelo che si trattava della mia amica.

Lilith.
Le ha dato un nome e ha persino ucciso per lei.
Mi ha sempre rassicurato che fosse al sicuro, ma non mi aspettavo questo. Non avrei mai giudicato le sue scelte, ma è di Sascia che stiamo parlando, un uomo tanto oscuro quanto imprevedibile.
È stato cresciuto dallo zio Vadim e questo mi fa pensare che il suo passato non è stato migliore del nostro.

Annuiamo tutti insieme e accordiamo all’unisono con la decisione presa da Sascia. Anche se la voglia di riabbracciare Anastasya mi assilla la mente, ma aspetterò.
Elyas lascia la presa sulla mia spalla e si muove piano.
Poi con un rapido gesto tira fuori il coltello dalla tasca e lo pianta nel cuore di suo padre con un colpo solo, poi resta appeso al manico finché non vede le palpebre di Hugo chiudersi per sempre.
«Ci vediamo all’inferno, stronzo,» gli dice con voce rotta.
Hugo sgrana gli occhi mentre la lama affonda con decisione strappandogli la vita «A mai più, pezzo di merda.»


Un bel colpo di scena su questo capitolo.

Che dite? Ve lo aspettavate?

E adesso tenetevi pronti per l'epilogo.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora