ALYS
Los Angeles- campus estivo
16 anni e mezzo
Pensavo di essere libera, che Sascia avesse risolto il problema una volta per tutte e invece mi ritrovo di nuovo ad affrontare le ombre di quei mostri che mi perseguitano. Non so chi siano, ma di certo sono più abili di me nel ramo dell’informatica. Nel momento in cui quel marwall si è infiltrato nel mio laptop ho capito di essere fottuta. Qualcuno mi aveva trovata e aveva scoperto la mia chat con EiGi, il mio migliore amico virtuale. Non ho mai indagato su di lui, so solo che è un ragazzo della mia stessa età, un hacker come me. Ci siamo conosciuti mentre cercavamo di infiltrarci dentro lo stesso software di una banca a Los Angeles, all’inizio c’è stata una guerra fredda tra noi due ma poi siamo entrati in sintonia, e non abbiamo mai smesso di parlare.
Era il mio EiGi e io la sua AiKo, fino a quando qualcuno non mi ha ricattata.
Un video di me da ragazzina con i miei mostri è apparso sullo schermo, e nel finale c’era un messaggio chiaro. Se non volevo che quel video finisse in rete, avrei dovuto portare EiGi al campus estivo. Mi hanno dato istruzioni precise e io le ho eseguite a comando.
Mi faccio schifo.
Sono sdraiata nel letto della camera del dormitorio femminile e il pensiero di lui che si avvicina mi divora viva. Non sa che qui c’è la sua AiKo, quella che lo ha pugnalato alle spalle. Non sa che ogni passo che fa lo porta più vicino a chi gli ha cambiato il destino senza che lui se ne accorgesse.
Dovrei dirgli che qualcuno lo vuole fottere? Dovrei raccontargli ogni cosa? Probabilmente sì, ma che differenza farebbe? Quella gente non ha occhi, ha radar. Mi stanno già osservando. Ne sento la presenza, l’ombra pesante sulle pareti della mia stanza, e anche se non li vedo, so che ci sono.
Il campus è un circo nauseante, un covo di ipocrisia e lussuria travestita da virtù. Kovalenko Senior insiste perché io e Artem ci facciamo strada tra le ricche famiglie di Los Angeles, tra i circoli religiosi che ostentano la loro finta moralità.
Ma ogni volta che vedo quei rosari appesi ai colli di questi ragazzini mi viene voglia di strapparli via e usarli per strangolarli. Ridurli in brandelli finché non resti nulla di loro.
Mi sono rintanata in questa stanza, il mio regno fatto di schermi e tastiere, il mio santuario dove tutto ha senso. Il mondo esterno è una minaccia, un intruso, persino EiGi non riesce a distogliermi da ciò che sono, ma il pensiero di lui mi consuma. Non sa che sono stata io a dargli le informazioni che bramava, quelle che lo hanno condotto dritto in un gioco mortale. Mi chiedo se lo sappia. Se ha capito che ha messo piede in un terreno minato e se ha percepito l’odore del sangue nell’aria.
Mi guardo attorno. Lo specchio al centro della parete riflette un’immagine che quasi non riconosco. Occhi scavati, pelle troppo chiara sotto la luce fredda degli schermi, e io sono parte di questo posto. Sono parte del codice che scorre su questi monitor. Eppure, qualcosa dentro di me pulsa come una necessità.
Devo fare qualcosa. Devo rimediare. Devo salvarlo. Ma come?
Fisso l’orologio, sono le dieci di sera. A quest’ora il casale vicino al lago sarà un covo di perversione e segreti. L’ambiente ideale per nascondersi nell’ombra. Se piazzo le telecamere nei punti giusti, forse posso cogliere in fallo chi gli sta addosso. Forse posso avere un vantaggio e posso ricattarli come hanno fatto con me.
Ma non posso parlarne con Sascia. Verrebbe di corsa e Artem scoprirebbe tutto sul mio passato. Lui non deve sapere, merita di essere felice. La vergogna mi stringe il petto, ma la metto da parte perché è il momento di agire.
Mi infilo la salopette di jeans e le Converse. Tiro su la zip della felpa nera e nascondo i capelli sotto il cappuccio. Occhiali sulla punta del naso, tracolla stretta al fianco dove dentro ci sono le mie armi: quattro microcamere, dieci cimici, un tablet e del nastro adesivo. Il mio cuore batte più veloce e l’adrenalina scorre nelle vene. Questo è il mio mondo, il mio territorio.
Scivolo fuori, chiudo la porta e attivo il sistema di sicurezza. Nessuno deve sapere che sono uscita.
Mi muovo rapida, silenziosa, mentre il viale sterrato si srotola davanti a me come un sentiero verso l’ignoto. L’aria è calda, umida, mi si appiccica addosso mentre mi infilo tra i cespugli e mi mescolo alla folla del casale.
Mio fratello non verrebbe mai in un posto simile e Rick lo odia quanto me. Ma EiGi, no. Lui è diverso, ama la notte, il rischio e il sesso. Ama le donne.
Un fastidio sottile mi serpeggia nello stomaco come un pugno invisibile che stringe e torce ogni volta che ci penso.
Non so che faccia abbia. Non l’ho mai visto, ma nella mia testa ha già un volto. Alto, fisico scolpito, capelli lunghi che gli cadono sugli occhi. Gilet di pelle, braccia tatuate, labbra piene che si piegano in un sorriso sporco e occhi chiari che scrutano come se potessero leggerti dentro. È il tipo che incarna ogni mia fantasia più proibita, e un ragazzo così non guarderebbe mai una come me.
Una radura nel bosco, davanti alla riva del lago, si spalanca davanti ai miei occhi come un quadro surreale, impregnato di ombre e bagliori tremolanti. Centinaia di candele fendono la notte buia, proiettando sagome distorte sui volti degli spettatori raccolti in questo teatrino perverso. Un centinaio di ragazzi sono seduti in file ordinate, nell’attesa di assistere a uno spettacolo segreto e proibito. Una musica soft vibra nell’aria, insinuandosi sotto la pelle, mentre tre coppie prendono posizione al centro della radura, incorniciate da querce imponenti e dalla platea.
Un brivido mi serpeggia lungo la schiena, sollevando i peli sulle braccia. Il mio corpo riconosce ciò che sta accadere prima della mia mente: quell’atmosfera, quell’attesa silenziosa e febbrile, mi porta indietro nel tempo e io non voglio tornarci.
Ma non sono qui per farmi inghiottire dai ricordi. So bene cosa mi ha portata in questo posto. Ci sono già stata, e non per assistere a questi squallidi spettacoli, ma perché devo conoscere ogni dettaglio dei luoghi che frequento. Il controllo è tutto ed è ciò che mi tiene in vita. E Sascia ha bisogno di ogni informazione che riesco a raccogliere nel campus.
Resto nell’ombra, con le spalle premute contro il muro laterale del casale. Da qui nessuno mi noterà perché gli occhi della folla sono tutti incollati sulle coppie al centro. Ma la mia attenzione viene catturata da altro.
Un gruppo di ragazzi spicca tra tutti, non sono semplici spettatori. Il loro atteggiamento li distingue, e le giacche di pelle che indossano suggeriscono che fanno parte di un club di motociclisti. Cerco di individuare le toppe sui loro schienali per capire a quale club appartengano, ma le luci delle candele non bastano a rivelarne i dettagli.
Uno tra loro si distingue dagli altri.
Il tipo con il gilet di pelle, tatuaggi sulle braccia muscolose e capelli castani raccolti in uno chignon disordinato. La mascella scolpita e uno sguardo impenetrabile. Sembra materializzarsi dalla mia fantasia su EiGi.
Forse mi fissa.
Forse no, non sta guardando me.
Sì, penso proprio che prima o poi ti rivedrò, princesa.
Un nodo mi serra la gola. Non può essere lui. È solo una coincidenza. Ma il ricordo di un ragazzino con una giacca di pelle nella scuola cattolica mi attraversa la mente come una lama affilata. L’unica volta che ho incrociato quegli occhi, mi è bastato per capire che dovevo imparare a difendermi da sola.
Torno a concentrarmi sulla scena davanti a me. Le donne al centro della radura sono rimaste in mutande mentre gli uomini si abbassano i pantaloni, le afferrano per i fianchi, le fanno roteare e le piegano a novanta gradi.
La visuale perfetta per chiunque voglia osservare ogni dettaglio.
Una smorfia mi increspa le labbra mentre gli affondi dei maschi si mescolano ai sussulti e ai gemiti soffocati della folla.
Non dovrei guardare, eppure lo faccio.
Mi passo la lingua sulle labbra e un calore strano si insinua nella mia pelle, un impulso primitivo che non posso negare. Mi immagino al posto di quelle ragazze, con il mio EiGi che mi prende e mi consuma.
Per la prima volta sto pensando al sesso senza ripudiarlo, ma questo capita solo quando nelle mie fantasie c’è lui.
Scaccio via il pensiero, non posso permettermi di distrarmi.
La folla reagisce in modi diversi: alcuni si masturbano, altri bevono come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma uno solo tra tutti rimane impassibile e non mostra alcuna emozione.
Lui, il motociclista tatuato, e sta guardando me.
Il mio stomaco si contrae in un nodo doloroso. Non può vedermi. È impossibile.
Mi guardo intorno, cercando di capire se il suo sguardo è rivolto davvero a me o a qualcos’altro nelle vicinanze. Ma non c’è niente. Solo querce imponenti e oscurità.
Un peso invisibile mi schiaccia il petto.
Mi sposto di lato e mi dissolvo nell’ombra. Sono qui per una missione, non per farmi distrarre da un uomo che non dovrei nemmeno notare.
Entro nel casolare abbandonato, il pavimento di mattoni scricchiola sotto i miei passi silenziosi. La mia borsa si apre con un fruscio discreto mentre estraggo l’attrezzatura.
Il buio è quasi totale, ma la luce lunare filtra attraverso le fenditure nei muri, illuminando un tavolo di legno e brandine con materassi accatastati in un angolo.
Artem mi ha detto che qui si radunano spesso, anche di giorno, e non solo per il sesso. Se riuscissi a registrare le loro conversazioni, potrei scoprire qualcosa.
Con mani esperte, posiziono le cimici nei punti strategici, poi fisso la telecamera sopra una delle brandine, sfruttando una cavità nell’intonaco. Le riprese devono essere perfette, non devono esserci errori.
Mi segno l’appunto mentale di tornare domani per piazzare altre telecamere all’esterno.
Richiudo la tracolla, sistemo gli occhiali con un gesto nervoso e mi volto per andarmene ma un’ombra si muove accanto a me e il respiro mi si blocca nel petto.
Un lampo, un battito di ciglia, e il mio corpo viene spinto contro il muro.
Due braccia si tendono ai lati della mia testa, bloccandomi in una gabbia improvvisa.
Il mio cuore martella, la mia mente urla mentre davanti a me, due occhi di tempesta mi braccano senza pietà.
«Dove pensi di andare, princesa?»
Sì, penso proprio che prima o poi ti rivedrò, princesa.
Quella voce profonda mi trafigge come un coltello, rimbombando nella mia testa con un’eco familiare e oscuro. Quel maledetto accento che ancora mi tormenta.
Un profumo di tabacco e cuoio mi pizzica le narici, denso, virile, penetrante. Schiudo gli occhi con il battito che martella contro le costole, e fisso la persona che mi sta intrappolando. È un ragazzo dai capelli lunghi, raccolti dietro la nuca e il viso a pochi centimetri dal mio. La luce lunare accarezza i suoi lineamenti, riflettendo la tonalità ipnotica dei suoi occhi verdi. Mi ci perdo dentro, come se fossi risucchiata da un vortice che mi strappa via ogni logica, ogni difesa. Deglutisco, ma la gola è arida.
«Lasciami andare» sibilo con il fiato spezzato, ma la mia voce trema, troppo debole, troppo piccola. Il suo corpo mi avvolge, la sua ombra mi inghiotte. È alto, enorme. Un metro e novanta circa di pura minaccia, un muro di muscoli tesi e vene in rilievo che mi fanno ribaltare lo stomaco.
«Non prima di avermi detto cosa ci fai qui. Questo non è un posto per te.» Le sue labbra sfiorano le mie con il calore della sfida.
Provo a spingerlo invano. È solido, immobile, una prigione fatta di carne e calore. Dovrei reagire, come mi ha insegnato Sascia, estrarre il coltello dalla tracolla, piantarlo tra le sue gambe. O colpirlo alla gola e scappare, ma il mio corpo non mi ascolta.
Il suo profumo mi si attorciglia addosso, mi invade e mi soffoca. È un aroma oscuro, seducente, il primo che non mi fa schifo. Il primo che mi attrae come un veleno dolce. Qualcosa che non ho mai provato, tranne che nei miei sogni più proibiti.
«Tutto ciò che ti riguarda è affare mio, princesa.» La sua voce si abbassa a un sussurro mentre una mano si stacca dalla parete e scivola sulla mia clavicola. Sgancia il primo bottone della mia salopette, poi il secondo, facendola scivolare giù.
Un brivido mi esplode dentro, violento e sconosciuto. Afferro il tessuto di jeans con una mano per non rimanere nuda, mentre il calore pulsa nel basso ventre, bruciante.
Che cazzo sta succedendo?
Alys, vattene. Scappa. Non sei così.
«Non so chi sei. Lasciami andare prima che ti uccida.» Le parole escono di getto, velenose, ma lui ride. Una risata roca, scura e peccaminosa.
«Facciamo un patto, allora. Scappa.» Si china, con il fiato caldo sull’orecchio mi incide la pelle. «Ma se ti trovo, ti spoglio. E mentre lo faccio, ti confesserai a me.»
La sua lingua scivola lungo il mio collo, lenta. Rabbrividisco mentre un misto di panico e desiderio mi dilania le viscere.
«Non mi confesso a Dio, figuriamoci a te.» Il mio cuore batte a un ritmo malato.
«Mi piace quando fai la ribelle.» Si raddrizza e mi lascia spazio. «Vorrà dire che quando ti prenderò sarà ancora più bello.» Poi strilla e la sua voce è un comando secco: «Scappa, ora!»
Non me lo faccio ripetere. Mi ancoro la salopette al petto e corro via, attraverso il bosco con il fiato corto e i polmoni in fiamme. Il respiro del predatore ancora sulla mia pelle, il suo odore marchiato addosso.
Non mi conosce. Non sa nulla di me. Crede di avere il controllo, ma non sa con chi ha a che fare.
Quando arrivo nella mia stanza, inserisco il codice, la porta scatta, poi la chiudo con un tonfo sordo e attivo l’allarme.
Scivolo a terra con le gambe sul mio petto che tremano, ma la sua voce mi gela il sangue.
«Non c’è partita che puoi vincere con me, princesa.»
Schiudo gli occhi e il respiro mi si mozza in gola quando vedo la silhouette del ragazzo di prima sul mio letto, con il cellulare in mano e lo sguardo rilassato.
Non può essere vero.
Mi alzo di scatto, con una mano tengo la salopette, con l’altra inserisco il codice e tiro la maniglia ma è bloccata.
La sua risata si insinua nella mia spina dorsale come un veleno.
«Ho cambiato il codice proprio adesso.» La sua voce è calma. «Ora sei mia.»
Perché non riesco a reagire con lui?
Sento i suoi passi muoversi nella stanza, ogni suono un colpo secco, ogni passo una promessa di caos. La mia testa è rivolta verso la porta, ma le gambe sembrano bloccate da una forza che non comprendo. La mia mano destra stringe la salopette, come se potesse darmi un qualche controllo su ciò che sta accadendo. Con la sinistra, mi aggrappo alla maniglia di ottone, la mia unica ancora di salvezza, ma la sensazione di frantumarsi è costante. La paura mi strangola, e c’è qualcos’altro, qualcosa che mi turba di più. Un’attrazione che non riesco a negare.
Lui si avvicina, la sua ombra si allunga dietro di me come un felino che si prepara a banchettare. Non posso, non voglio, ma la sua presenza mi ha già sopraffatta. Mi mordo l’interno della guancia per non far trapelare l’eccitazione che mi attanaglia, che mi paralizza. È un’emozione che non voglio provare, eppure è lì, radicata nel profondo, pronta ad esplodere.
Mi afferra i capelli, li raccoglie in un pugno e tira. La mia schiena si piega contro il suo petto in un contatto brutale.
«Libera le tue mani, subito» sibila con voce bassa.
I suoi ordini mi scuotono, eppure obbedisco. Lascio andare la salopette e la maniglia, e in un attimo, mi trovo trascinata al centro della stanza, proprio davanti allo specchio.
Il peso dei suoi occhi su di me mi schiaccia. La salopette scivola giù, scoprendo le mie gambe che ora sono vulnerabili. L’odio per la mia nudità cresce mentre la sua mano stringe i miei capelli e la sua energia che mi travolge. Non voglio essere esposta, non voglio che mi veda così, eppure il mio corpo tradisce ogni mio pensiero. Il mio autocontrollo se n’è andato, sparito, dissolto, mentre lui è diventato il mio unico pensiero.
«Cosa vuoi da me? Chi sei?»
«Prima voglio il mio premio» risponde, e il suono della sua lingua che scivola sulla mia clavicola mi fa rabbrividire, mi paralizza. La sua mano stringe ancora più forte i miei capelli, costringendomi a sentire ogni singolo movimento. Poi, con un gesto rapido, tira fuori un coltello dal suo gilet di pelle. La mia mente non riesce a capire cosa sta accadendo.
Afferra la mia t-shirt bianca e, senza pietà, la strappa via con la lama, gettandola sul pavimento con rabbia. Il mio cuore accelera, il mio corpo si riscalda e la vergogna mi assale mentre abbasso lo sguardo e provo a coprirmi con le mani, ma un istante dopo le sue dita afferrano il mio polso, immobilizzandomi.
«Non provarci» sibila, la sua presa è implacabile.
Lo specchio riflette la mia nudità, i miei occhi che tremano, le vene che si dilatano sulla pelle pallida, mentre lui mi costringe a guardarmi. Mi toglie gli occhiali, li appoggia distrattamente sul comò e poi torna a cingermi da dietro.
«Guarda davanti a te e dimmi cosa vedi» ordina, la sua mano scivola lungo il mio ventre piatto, come se ogni sua carezza dovesse marchiarmi per sempre. Il mio cuore è un tamburo che batte forte nel petto, e le ginocchia cedono sotto il peso di un desiderio che non voglio, ma che non posso ignorare.
Non sopporto la vista di me così esposta.
Lui afferra la mia gola con una mano, stringe le dita fino a farmi gonfiare le vene del collo e il respiro mi manca.
«Ti farò molto male se non rispondi. Cosa cazzo vedi, princesa?» La sua voce è roca, tesa, pronta a esplodere.
«T-te» balbetto, la lingua si fa dura. «Vedo te e me.»
Lui sorride, soddisfatto. Le sue labbra sono piene di un desiderio che non riesco a disinnescare.
«Me e te, come ogni volta. Sempre e solo noi due» sospira, e nel suo respiro c’è una rivelazione che non so se voglio sentire. «Ti sono mancato, piccola AiKo?»
Non posso rispondere. Non posso credere a ciò che sta succedendo. Il mio amico virtuale, il ragazzo con cui ho parlato per anni, ora è qui, dietro di me, nella carne e nel sangue, più intenso, più reale, più pericoloso di quanto avrei mai potuto immaginare. E quando lo guardo la mia mente si svuota.
«E-EiGi?» riesco a dire con la voce rotta.
Lui annuisce.
Mi guarda come se fossi la sua ossessione. I jeans strappati, la barba scarsa che accentua l’aria minacciosa. Ma c’è qualcosa in lui, qualcosa che mi attrae in modo insopportabile. È un demone che indossa il corpo di un ragazzo, e il viso pulito maschera la ferocia che si nasconde dentro di lui.
«Sì, e smettila di balbettare, Cristo!» la sua voce si fa più dura, più impaziente.
Il suo pollice scivola sul mio corpo, sulla pelle della schiena, in un movimento lento e il brivido che mi attraversa si radica fino nelle ossa. Lo odio. Lo desidero.
«E tu smettila di toccarmi!» grido, i miei occhi fissano i suoi attraverso lo specchio, la mia voce trema.
Ma lui non smette. Anzi, aumenta la pressione.
«Chi cazzo te le ha fatte queste?» urla, le sue mani mi scuotono, tratteggiando le cicatrici sulla schiena. Mi stringono, mi imprigionano e non riesco a liberarmi.
«Lasciami e non toccarmi mai più!» grido mentre la presa sulla mia pelle si fa ancora più forte. Il dolore mi travolge, ma sono troppo confusa per sentire altro.
Mi spinge sul letto, e in un attimo il suo corpo è sopra il mio, i suoi muscoli rigidissimi mi schiacciano e mi costringono a sentire ogni singola fibra di lui contro di me.
«Sono due anni che sogno questo momento, princesa. Due anni che ti seguo, ti osservo e mi nutro di te attraverso delle immagini sfocate, e adesso che ti ho presa non ti lascerò andare. Tu mi appartieni. Chiaro?» La sua voce è bassa, gutturale.
Sfiora le mie labbra con le sue, mentre una mano esplora la mia coscia.
«Ti conviene annuire» mormora, e la sua stretta mi fa soffocare.
Annuisco, confusa, stordita, perché non è solo la sua follia a farmi paura. È anche ciò che mi fa sentire e quello che mi fa diventare.
Parlo con lui da anni senza mai averlo cercato. E ora lo trovo qui, davanti a me, come un sogno trasformato in un incubo.
«Lasciami andare» lo spingo, ma l’unica cosa che ottengo è che mi schiaccia ancora di più, la sua dura erezione preme sulla mia pancia. Sento il suo desiderio, il suo piacere che mi invade in ogni angolo. È come se tutto il mio essere fosse in fiamme.
«Questo è l’effetto che mi fai» mi dice, il suo tono si fa ancora più basso. «Non dirmi che non provi le stesse cose» continua, mordendomi il collo, tracciando un sentiero di fuoco che mi fa impazzire.
Il suo tocco è un veleno che mi scorre nelle vene. Il suo respiro è caldo contro la mia pelle, e io sono lì, persa.
«Non provo niente. Togliti!» sbraito, ma è solo un’altra bugia. La sua mano scivola negli slip, e ogni suo movimento fa crollare la mia resistenza. La mia mente è un campo di battaglia, ma non riesco più a combattere.
La sua mano scivola più giù, sulla mia intimità, e ogni suo gesto è come un’esplosione che mi scuote fino al midollo.
«Sei fradicia, cazzo. Il tuo corpo ti tradisce, piccola bugiarda, e la prossima volta che mi menti, ti scopo.» Mi guarda con quegli occhi voraci, e poi si solleva da me, come se stesse godendo di ogni singolo secondo di questa situazione. EiGi si erge su di me, dominandomi.
«Copriti. Ci vediamo domani al corso di informatica. E cerca di presentarti, altrimenti verrò a cercarti» dice con tono quasi distaccato, ma non posso ignorare la minaccia sotto le sue parole.
Si alza, prende il cellulare e digita un codice, lasciandomi qui, sconfitta.
Mi alzo stordita e il fuoco che mi brucia dentro è insopportabile, eppure ogni singolo secondo sembra farsi più lungo. Poi, pochi istanti dopo, mi arriva un messaggio sul telefono.
Sconosciuto: “EiGiAiKo” è la nuova password, e il mio nome è Elyas. Buenas noches, mi princesa.
E questa è la mia fine.
Lui è la mia fine.
Finalmente ci sei arrivata, piccola Aiko.
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2
RomanceElyas Garcia De La Cruz è un giovane hacker messicano che fa parte del Mc Tijuana, uno dei club motociclistici più famosi del nord del Messico e del sud della California. È ossessionato da Alys Kovalenko, una nerd come lui, diventando con il tempo...
