Capitolo 2

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Elyas

Campus estivo - Los Angeles

17 anni e mezzo


Avevo quindici anni e mezzo la prima volta che vidi Alys, o meglio, quella che pensavo fosse la prima volta. Parlavamo già da qualche mese in chat, dopo il nostro scontro virtuale, e iniziavo a diventare ossessionato da quella ragazzina di quattordici anni che condivideva la mia stessa passione per l’hakeraggio. Quindi decisi che dovevo vederla. Mi consumava, come una cazzo di fiamma che brucia dentro.
Ero attratto da lei come una maledetta falena verso la fiamma. Poteva essere brutta come un mostro o bella come una puttana da strada, ma non mi fregava più un cazzo. Ormai aveva tutta la mia attenzione, mi aveva preso, mi aveva invaso la testa come un virus che non riuscivo più a eliminare.
Nella clubhouse ne giravano tante di ragazzine. Ma Alys era diversa. Non mi interessava più niente delle altre perché in uno strano modo malato in cui vedevo le cose, lei doveva essere mia.
A quel punto mi infiltrai nel suo sistema di protezione e bastò poco per iniziare a spiarla, a guardarla attraverso la webcam del suo laptop. Ogni volta che la vedevo mi sembrava di impazzire. Quella prima volta mi si gonfiò il cazzo al punto che dovetti tirarlo fuori dalle mutande, non riuscivo a trattenermi. La osservavo picchiettare su quella tastiera, il suo corpo minuscolo nascosto dietro occhiali e vestiti troppo larghi. Ma io la vedevo e più cercava di nascondersi, più mi veniva voglia di strapparle via quella maschera e farla mia. Era piccola, ma dannazione, che potenza. La sua bellezza mi toglieva il fiato. Lei era mia. Doveva esserlo. E mi strizzava la testa come se fosse una morsa, un bisogno insaziabile che cresceva ogni giorno. La sentivo dentro, nelle ossa, nel cazzo. Mi aveva preso e non c’era modo di sfuggirle. La desideravo con una fame che non potevo controllare.
Da quel giorno, la piccola Alys Kovalenko divenne la mia ossessione. Non riuscivo a pensare ad altro. Ogni minuto che passavo senza osservarla mi consumava come un fuoco che non trovava mai pace. Guardavo ogni dettaglio di lei mentre la spiavo, ogni mossa, ogni gesto, come se fosse il più bello dei segreti che avessi mai visto. Lei, la sua faccia, le sue mani che correvano sulla tastiera, ogni dannata di cosa mi faceva impazzire e non potevo smettere perché dovevo saperne di più. E il fatto più strano era che mi ricordava qualcuno.
Mi ronzava in testa come un’infezione, come un pensiero che non riuscivo a cacciare via. Così feci delle ricerche, senza nemmeno pensarci troppo e mi resi conto che il destino era proprio un gran bastardo. Io e lei ci eravamo già incontrati.
Fino ad allora, ero sempre riuscito a controllarmi, a mantenere la calma, ma Alys era il mio bug. Un errore nel sistema che mi stava facendo diventare scemo. Mi stava resettando. Non mi importava nulla di ricominciare a creare un nuovo sistema da capo perché dall’istante esatto in cui l’avevo vista, avrei fatto di tutto per lei. Una costante per la mia cazzo di vita.

E adesso che sono arrivato al campus estivo di Los Angeles, sapevo che l’avrei trovata qui. L’avevo letto nei suoi documenti d’iscrizione, nelle email che mi ero preso il piacere di scrutare. A dirla tutta, sarei venuto qui anche se la notizia sui figli degli assassini dei genitori di Bea fosse stata una bugia. Non me ne sarebbe fregato un cazzo.
Ho deciso di anticipare la partenza per il campus, prima di far venire mia cugina Bea. Ho bisogno di capire con chi abbiamo a che fare, di sistemare ogni tipo di sicurezza, di preparare tutto prima che lei arrivi. Mi raggiungerà tra un paio di settimane.
Nel frattempo, oltre a mettere in sicurezza ogni angolo di questo posto, mi divertirò con la mia piccola AiKo.

EiGi e AiKo, i nostri nickname.
Elyas e Alys.

Lei non segue i corsi scolastici, no, preferisce rintanarsi nella sua dannata camera e io sono qui per farla uscire di lì.  Tempo fa qualcuno le ha mandato un video di cui non sono riuscito a scoprire un cazzo, perché è si è autodistrutto non appena finito, e da quel momento si è rinchiusa, come se avesse indossato un’altra pelle, una più fredda.
Non mi ha più calcolato.

Non importa. Distruggerò quel suo dannato guscio. La farò splendere, e la piccola principessa sarà mia. Non vedo l’ora di entrare in lei, sentire la sua calda figa stringersi intorno al mio cazzo.
Solo pensarci mi fa impazzire.
Mi tolgo la maglia e allento la cintura dei pantaloni, il mio corpo reagisce senza pietà.
La seguo da giorni, la osservo come uno stalker, senza vergogna. Ogni suo movimento registrato, ogni sua azione, ogni sua deviazione. È attenta, incredibilmente attenta, come se stesse percorrendo mentalmente uno schema ben studiato. Si guarda le spalle ogni trenta secondi.
Mi domando se ha capito che c’è qualcuno che la segue e il pensiero che si possa sentire una preda mi contorce l’anima.

Un istinto che non ho mai provato, che mai avrei pensato di sentire. È come se fosse una droga e io ne fossi completamente dipendente. Sono diventato un tossico.

La sua camera, lontana dal resto del dormitorio, è la sua fortezza, e ha preso ogni precauzione per proteggerla. Conosco ogni codice, ogni entrata. Potrei irrompere stanotte, ma voglio aspettare. Voglio godermi la sua solitudine ancora un po’, studiare i suoi movimenti da vicino, e farle sentire il mio respiro, il mio fiato caldo sul collo mentre divento l’incubo che non sapeva di avere.

La sua pelle, chiara come la luna, è diventata un chiodo fisso. La sogno ogni notte. Dopo due anni passati a guardarla nuda tramite una telecamera, sento il bisogno di toccarla.

Ho fatto in modo che oggi partecipasse al corso di informatica. Un obbligo al quale non poteva sottrarsi. È stato facile farglielo credere.

La osservo entrare in aula con gli occhi bassi e i libri stretti tra le mani. Si siede in prima fila, agitata. Odia stare tra la gente, nel caos di questi idioti.

Non è l’unica. Anche io li odio, i loro sorrisi falsi, la loro devozione religiosa di facciata che mi fa vomitare.

In Messico siamo religiosi. Mio padre e le Signore della clubhouse hanno provato a coinvolgerci in attività cristiane, ma io e Bea non ce ne siamo mai fottuti niente. E forse tutto è iniziato da quella volta, quando ero bambino, quando mio padre mi portò in quella scuola cattolica e si mise a parlare con quel prete di cose che non capivo, ma che non mi sono mai andate giù. Da allora, non posso sopportare quella roba.

Il professore arriva e i mormorii dei cinquanta stronzi presenti in aula non si fermano. Fottuti figli di papà che non sanno nemmeno cosa cazzo voglia dire vivere.

«Bene, vedo che abbiamo dei nuovi alunni oggi. Molti li conosco già, ma spero di conoscere presto anche gli altri,» dice, girandosi per scrivere qualcosa sulla lavagna. Alys di sicuro si annoierà a morte. Sono sicuro che il professore non è nemmeno lontanamente preparato come lo siamo io e lei.

«Chi di voi sa dirmi cos’è un software?» chiede mentre fissa Alys. «Tu, ragazzina, sai di cosa parlo?»

Lei si guarda intorno, ma quando si rende conto che il professore ce l’ha con lei, sorrido.

«I-io? Ce l’ha c-con me?» balbetta.

Per quale cazzo di motivo sta balbettando? La sua vulnerabilità mi fa esplodere dentro mentre le risate idiote dei nostri compagni fanno eco.

«Certo che ce l’ha con te, quattrocchi!» grida uno degli idioti.

Un colombiano, forse un amico di Adam Perez. Interessante.

«Vuoi vedere cosa significa stare senza bulbi oculari, colombiano?» la mia voce riecheggia nella stanza, e vedo la testa di Alys girarsi, ma non riesce a vedermi, la figura massiccia di Luis, seduto davanti a me, mi copre.

Il professore cerca di calmare la situazione, quindi sto zitto. Il mio piano è più grande di tutto questo e quando la campanella suona, sono già pronto ad andarmene come un segugio.

Seguo il colombiano, che si nasconde tra gli alberi e prosegue verso il lago.
Si ferma sulla riva, si toglie la cravatta e la lancia in acqua con frenesia. Sospira, prende il suo telefono e inizia a parlare. «Sono stufo di starmene con le mani in mano, quando arriva?»
Si passa un sigaro tra le dita prima di poggiarlo sulle labbra e sbuffa.

«D’accordo, va bene. Starò calmo ma tu muoviti» ordina con tono brusco. Non sembra il tipo di avere il comando sulla situazione. Credo che sia una stupida marionetta alla quale vengono tirati i fili.

Interessante.

E finalmente, quando chiude la telefonata, lo aggredisco.
Lo trascino nel bosco e mi metto sopra di lui. Un’onda di adrenalina mi percorre e i miei pugni iniziano a colpirlo senza pietà.

«Insulta ancora la mia donna e ti farò vedere come finiscono quelli che toccano ciò che è mio» ringhio.
«Che cazzo, amico! Non avevo idea che fosse la tua ragazza. Scusami» solleva le mani in segno di resa e lo mollo. Quando ci rialziamo in piedi fatica a guardarmi negli occhi, «cosa diavolo ci trovi di così interessante in quel mostriciattolo?» domanda e la rabbia mi assale.

Il mio corpo esplode. Gli sferro un altro pugno e lo sento piegarsi, la mia vista si oscura di furia. Poi gli sussurro: «Al prossimo insulto che le fai ti uccido,» e lo lascio andare con un calcio.
È salvo solo perché devo arrivare ad Adam, e lui è Rufus, un suo amico. Ma la sua salvezza durerà poco.

*

Il campus durante le notti, e qualche volta anche di giorno, diventa un covo di lussuria. Un casale abbandonato nel bosco, proprio vicino a un lago scintillante, è il rifugio di chi vuole perdersi in eccessi proibiti, dove il peccato scivola sulla pelle e la morale si sgretola sotto il peso del desiderio.

Luoghi come questo mi piacciono. Non perché mi mescoli a loro. Al contrario. Li osservo con disprezzo, le loro smorfie di piacere, i gemiti strozzati, le unghie affondate nelle carni sudate. Sono ridicoli come animali in calore che credono di sapere cosa sia il sesso. Non sanno un cazzo. Non hanno mai avuto una donna come Alys tra le mani. Non l’hanno mai immaginata nuda, vulnerabile… ma lei è solo per me.

Non toccherei una di quelle ragazze nemmeno con il cazzo di Rufus. Da quando Alys è entrata nella mia vita, ogni altra donna è diventata un’ombra sbiadita. È lei quella che voglio. Lei, con i suoi occhi di ghiaccio e le labbra troppo belle per non essere morse. È la sua bocca quella che sogno la notte, umida, calda, avvolta attorno al mio cazzo mentre le dita le affondano nei capelli. È il suo corpo quello che bramo sentire incollato al mio, mentre la mia Harley divora le strade roventi del Messico.

Non sono mai stato un santo. Il sesso è stato il mio primo padrone. A dodici anni ho scoperto cosa significhi toccare una donna e da allora non ho mai smesso di desiderarlo. Ma poi è arrivata lei e il desiderio è diventato ossessione. In questi due anni ho lasciato che le altre venissero e andassero, corpi senza volto che non valevano nulla, mentre i miei occhi erano sempre fissi su uno schermo.

Lì, nel suo mondo fatto di codici, l’ho immaginata piegata, con le mani aggrappate ai bordi della scrivania, il respiro spezzato mentre le ricordavo chi comanda.

E adesso? Adesso sono qui. Lei è qui. E queste persone mi annoiano. Questi idioti non sanno nemmeno cosa sia la depravazione.

Mi rigiro il bicchiere tra le mani e butto giù un sorso di birra. Il sapore amaro mi si incolla alla lingua, ma non riesce a scacciare la noia che mi avvolge come una nebbia.

«Ehi, amico. Sembri annoiato. Dovresti portarci la tua ragazza qui, magari le piace.» Louis mi strizza l’occhio e mi colpisce sulla spalla con una risata greve.

«Già.» Il mio sorriso è lento, tagliente. «Dimostrerei a questi idioti cosa significa scoparsi una donna. E Alys Kovalenko sarebbe perfetta riempita del mio cazzo.»

Ridono. Pensano che stia scherzando. Non sto scherzando affatto.

Abbasso lo sguardo sul bicchiere, rubo lo spinello dalle labbra di Louis e lo porto alle mie mentre un piccolo bagliore chiaro attira il mio sguardo, e subito la riconosco. Lei pensa di essere invisibile, nascosta nell’ombra, con la schiena premuta contro la baita di legno. La vedrei ovunque, anche con gli occhi chiusi.

Il riflesso dei suoi capelli chiari sotto il cappuccio nero è un pugno nello stomaco e la mia vista si oscura quando rifletto sul fatto che non dovrebbe essere qui.

Sta guardando loro. Il sudiciume, le mani che scorrono sui corpi sconosciuti, la carne che si consuma in un desiderio vuoto, e mentre una smorfia le increspa le labbra si accorge di me che la fisso.

Un brivido mi graffia le ossa. Le mani mi prudono dalla voglia di toccarla, di sentirla e di farle capire che nella mia testa, lei è già nuda. E ancora una volta la domanda mi trafigge il cervello: che cazzo ci fa qui?

Qualcuno potrebbe vederla. Qualcuno potrebbe provare a toccarla. Anche se è la persona più intelligente che conosca, anche se il nome Kovalenko le cuce addosso una protezione di ferro, so che esistono stronzi a cui non frega un cazzo. Stronzi come quelli che l’hanno derisa a informatica.

Ma non succederà di nuovo, perché ora, alle sue spalle, ci sono io.

Che si fotta suo fratello. Non si è nemmeno accorto che la sua sorellina si è infilata in questo bordello.
Ma Alys non è qui per assistere a questa farsa di lussuria, lei sta tramando qualcosa. La sua voglia di fuggire che si mescola con quello strano guizzo nei suoi occhi mi stuzzica, soprattutto quando si passa la lingua sulle labbra.

Deliziosa.

Continua a fissarmi. Muove la testa, incerta, cercando conferme e quando capisce che sto guardando proprio lei, scappa.
Sulle mie labbra si stampa un sorriso lento e predatore. Mi alzo dalla sedia con calma, ignorando i miei amici.

«Io me ne vado, ho da fare.» E la seguo.

Lei non sa ancora chi sono, ma lo scoprirà presto, perché ovunque andrà, io sarò dietro di lei.

Lei respira. Io respiro.

Lei cammina. Io cammino.

Lei vive. Io vivo.

Lei muore. Io muoio.

Qualcuno le fa del male? Io lo uccido.

Semplice.

Sto venendo da te, princesa.


Occhio, piccola princesa. Il nostro Elyas sembra avere le idee chiare e sembra che sappia proprio tutto, di te.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora