ALYS
Oggi
Le mura sono impregnate del profumo di mio fratello. Mi mancava così tanto.
La sua casa mi accoglie con una luce abbagliante che filtra dalle enormi vetrate del salone, e l’arredamento mi fa venire in mente una delle tante volte in cui, da piccoli, mentre ci stringevamo dal freddo pungente di Mosca, sognavamo la nostra futura casa. Era esattamente così che la immaginavamo, e vederla realizzata davanti ai miei occhi sembra quasi irreale.
Tutte le volte che mi ha chiesto di trasferirmi qui ho sempre stretto i denti e mi sono morsa la lingua per fermare l’impulso di seguirlo anche in capo al mondo, pur di non restare un minuto in più dentro quella villa. Ma il piano che ho elaborato con Sascia, a cui stiamo dedicando anima e corpo, richiede calma e pazienza. Fingere devozione a quello stronzo di mio padre è faticoso, ma è niente in confronto a quello che ho passato.
Sono certa che quando tutta questa storia sarà finita, lui farà la fine che si merita. Mi auguro solo che sia nel più breve tempo possibile, perché sto andando fuori di testa. Il dolore lancinante delle sue frustate sulla mia schiena ogni volta che piangevo tornando da scuola, lo sento ancora bruciare sulla pelle, come lingue di fuoco che non si sono mai spente. È un ricordo che mi lacera, una me bambina distrutta dalla ferocia di un adulto che avrebbe dovuto essere il mio eroe e proteggermi.
Ma lui non era quell’eroe, godeva nel procurarmi dolore.
Non è successo molte volte, perché col passare del tempo avevo imparato a ingoiare le lacrime e stamparmi un sorriso sulla faccia. Dopo aver capito come usare la tecnologia che mi regalava Sascia, riuscivo a muovermi come un fantasma. Evitavo mio padre durante i pasti, gli unici momenti della giornata in cui era in casa, e di notte mi chiudevo in camera. Non è mai entrato, ma la paura che lo facesse non mi lasciava dormire tranquilla.
Non smetterò mai di immaginare la sua morte. Non smetterò mai di odiarlo, nemmeno quando di lui non resterà altro che un ammasso di carne putrefatta.
Bea mi ha condotto nella mia nuova stanza, che ha fatto arredare per me, e ho appena finito di sistemare tutte le mie cose. Mi affaccio alla finestra e scruto l’oceano che ruggisce sugli scogli, incazzato, come se volesse ridurli in brandelli. Sento il peso sulle spalle della giovane ragazza dentro di me che non è mai riuscita a vivere una vita normale.
Quale sensazione proverei nel tuffarmi tra quelle onde? Mi scaraventerebbero via come una bottiglia vuota di plastica? Oppure mi inghiottirebbero sul fondo, senza farmi risalire, come un cadavere imballato in un sacco nero imbottito di pietre pesanti?
Voglio provare a vivere davvero, una volta che questa faccenda sarà finita. Voglio viaggiare, scoprire il mondo aldilà dei miei monitor.
E vorrei farlo con lui.
È notte fonda e la luna alta e chiara riflette sulle acque scure. Mi spoglio dei vestiti larghi e li getto in un angolo, poi mi siedo sul bordo del letto e tratteggio con il dito il tatuaggio sull’inguine, poi passo a quello sotto al seno. E mi tocco in modi che non dovrei.
Mi sdraio di schiena sul materasso soffice e chiudo gli occhi. La mia mano scivola sulle cosce e arriva tra le mie pieghe.
Dove sei? Mi manchi.
Prendimi come solo tu sai fare.
Prendimi e non lasciarmi mai più.
Fammi vedere come ti tocchi per me, princesa. Fammi vedere quella piccola fica stritolare le tue dita fino a risucchiarle.
Urla il mio nome.
Fa sentire a tutti quanto ti piace il mio cazzo.
Vuoi il mio cazzo? Lo vuoi?
Sì, lo voglio. Vieni da me.
Un brivido mi scivola lungo la colonna vertebrale mentre le sue parole riecheggiano nella mia mente. Socchiudo le labbra, la pelle che brucia sotto il tocco delle mie stesse dita. Infilo un dito nella fica e spingo forte, fino in fondo, lo arriccio stimolando il punto sensibile mentre con il pollice stuzzico il clitoride. Il calore mi avvolge, mi sommerge, il desiderio mi morde la carne. Inarco la schiena con la testa che affonda nel cuscino mentre il piacere si espande come un veleno dolce nelle vene.
Brava, così. Sei così bella con il mio cazzo dentro di te. È tuo, solo tuo. Puoi farne ciò che vuoi.
Le dita mi tremano mentre affondano nel calore umido che cola lungo le mie cosce, bagnandole in un torrente bollente. Il respiro si fa irregolare, pesante, mentre con l’altra mano mi pizzico il capezzolo teso, duro come una pietra, tirandolo con la punta delle dita, immaginando di sentirlo tra i suoi denti, di essere torturata dalla sua lingua esperta.
Apri quelle gambe per me, piccola. Voglio succhiarti la fica fino a prosciugarla.
Affondo le dita più a fondo, più forte, mentre il mio corpo si inarca da solo, come se rispondesse ai suoi comandi. Le cosce si contraggono e un suono soffocato mi sfugge dalle labbra. La mia mano lavora senza sosta, più veloce, più disperata.
Spingo forte.
Il fiato si spezza, la pelle brucia, il ventre si tende mentre il piacere mi travolge come un’onda furiosa. La mia schiena si curva in un arco perfetto mentre un gemito soffocato si spegne tra le mie labbra serrate.
Brava, così. Sei così bella con il mio cazzo dentro di te. È tuo, solo tuo. Puoi farne ciò che vuoi.
Il mio corpo vibra, le gambe tremano. Continuo a muovere le dita, prolungando quell’agonia dolceamara, stringendo le cosce attorno alla mia mano per non lasciar andare via la sensazione di lui, ma è inutile. È già svanita mentre strizzo gli occhi e torno alla realtà.
Perché mi hai lasciata?
Porto le dita alle labbra, le assaporo lentamente, come avrebbe fatto lui, ma il sapore che sento non è il suo.
Le lacrime mi pungono gli occhi e scivolano lungo le guance, ardendo come fuoco liquido contro la pelle.
Sono le mie mani, non sono le sue.
Un nodo mi stringe la gola.
Perché mi ha fatto questo? Perché tu?
La rabbia si mescola alla disperazione in un vortice che mi fa male alle ossa. Mi alzo di scatto, mi infilo una maglia larga e mi dirigo in bagno. L’acqua fredda scorre sulle mie mani, la spruzzo sul viso, sulle braccia, sul collo, sperando che lavi via la sensazione della sua pelle e della sua voce.
Ma non basta, non basterà mai.
Mi infilo sotto la doccia con tutta la maglia, lasciando che l’acqua scorra su di me senza nemmeno sentirne la temperatura. Ogni goccia è un ricordo che mi martella il cervello, un fantasma che si insinua sotto le costole.
Quando torno in camera, il buio mi accoglie come un abbraccio soffocante. Mi stendo sul letto, chiudendo gli occhi con la speranza di sprofondare nel sonno.
Ma so già che sarà inutile, perché gli incubi tornano sempre.
9 anni
«È stato lui, zio. Vittorio voleva che lo toccassi lì sotto. Perché mi tratta così?»
Lo zio mi accarezza mentre mi fa sedere sulle sue ginocchia. Non mi sono mai fidata di lui, ma non posso parlare con nessun altro.
«Ragazzina, non dovresti scappare da Vittorio e non dovresti raccontare nulla. Non si fa la spia. Lui vuole solo aiutarti. La prossima volta che viene da te devi fare quello che ti dice.»
«M-ma i-io non v-voglio. Non mi piacciono quelle cose, sono sbagliate e io sono una bambina» piango, balbetto cerco di dare un significato alle sue parole.
«Hai nove anni e devi imparare. Appena avrai avuto le tue prime mestruazioni ti faremo diventare una donna» mi accarezza i capelli con una mano e poi la trascina sulla nuca stringendo forte «fai quello che ti dice e non parlarne con nessuno. Capito?»
Adesso il suo tono è minaccioso e le cose che mi chiede di fare sono orribili.
Annuisco e tiro su col naso.
Torno nel bosco, lontano da tutti col mio libro di informatica che ho recuperato in mezzo alle foglie. Per fortuna non si è strappata nessuna pagina ed è ancora tutto intatto.
Sospiro sperando che un’altra giornata passi in fretta, ma alle mie spalle torna lui.
Vittorio.
«Non voglio farti quelle cose» gli dico con gli occhi lucidi, quasi a supplicarlo.
«Non c’è più il tuo nuovo amico a difenderti, quindi lo farai. Oppure ti costringerò.»
«Perché sei così cattivo con me, cosa ti ho fatto?»
Ride mentre armeggia con la cintura dei pantaloni e si avvicina.
Ripenso alle parole che mi ha detto lo zio, ma nella testa mi sembrano più sensate quelle del mio amico sconosciuto dall’accento straniero.
Vittorio si cala i pantaloni e mi afferra per i capelli avvicinandomi la bocca al suo sesso.
La mia mano tasta il terreno alla cieca nella speranza che ci sia qualcosa di utile, ed è a quel punto che la sento. È pesante appuntita.
Stringo la pietra con il palmo della mano e con uno scatto mi alzo in piedi.
Poi gliela sbatto forte sulla testa.
Una volta.
Due volte.
Tre volte.
Fino a vederlo crollare ai miei piedi in una pozza di sangue.
Non si muove, mi ricorda il cadavere della mamma.
Osservo prima il suo corpo disteso e poi le mie dita insanguinate, sorrido.
Il mio amico aveva ragione a farmelo fare.
Mi sento meglio quindi mi volto e corro.
Corro più in fretta che posso.
Vittorio è morto, forse?
Non me ne frega niente, mi sento libera.
“Ovunque tu sia, grazie amico mio!” grido al vento sperando che possa sentirmi.
Le grandi querce mi circondano mentre calpesto le foglie, mi fermo non appena trovo un'altra radura. Mi sdraio di schiena e chiudo gli occhi lasciando che il bosco mi inghiotta, e sorrido di nuovo pensando al mio amico sconosciuto e a quanto sarebbe fiero di me in questo momento.
Ti rivedrò, straniero. Prima o poi ti rivedrò.
Mi sveglio di soprassalto, il sudore freddo che mi copre la pelle, il cuore che batte furioso nel petto. Il cigolio della porta è come una scossa, mi fa drizzare la schiena, come se avessi appena ricevuto una scarica elettrica.
«Bea? Che ci fai qui?» I suoi occhi spalancati mi scrutano, preoccupati, ma c’è qualcosa che non riesco a decifrare.
«Stavi urlando, Alys. Hai gridato forte e mi sono spaventata. Tutto bene?»
Il suono della sua voce, quella preoccupazione così sincera, mi colpisce come una frustata. Mi sento un po’ persa, come se la realtà stessa fosse sfuggita dalle mie mani.
«Sì, è stato solo un brutto sogno,» dico, cercando di liberarmi di quel peso che si è fatto strada nel mio petto. Scrollando le spalle, tento di mascherare il terrore che ancora mi serra la gola e mi sforzo di sembrare normale.
Ma lei non si allontana, si siede accanto a me, e sento la sua vicinanza come un abbraccio inaspettato, come se qualcuno avesse messo una mano sul mio cuore tremante.
«So che non siamo mai state amiche, ma puoi parlarmi di tutto. Volevo solo che lo sapessi.» La sua mano si posa sulla mia con un tocco gentile, e qualcosa dentro di me si spezza. Stringo la mano intorno al lenzuolo bianco, quasi strappandolo.
«Lo so, grazie,» rispondo, e lo so davvero. Ma dentro di me una forza che non conoscevo mi schiaccia come un macigno, la rabbia mi brucia nelle vene e il mio corpo vibra di una voglia insaziabile di distruggere tutto, ridurre il mondo a pezzi, finché niente sarà più intero. Improvvisamente, lei porta una mano alla bocca, soffocando un respiro, come se stesse per vomitare e corre via.
Okay, forse ho sudato troppo, ma non credo di puzzare così tanto.
Mi alzo di scatto e la raggiungo in un baleno, le stringo i capelli con la mano mentre la vedo riversarsi nel water, come se il suo corpo cercasse di liberarsi da qualcosa che non riesce a trattenere.
I minuti passano come un’eternità, mi sembra di non respirare mentre la sostengo. La sua sofferenza mi lacera dentro, ma non posso fare nulla se non aiutarla.
Dopo qualche minuto si solleva e l’aiuto a sciacquarsi il viso.
«Tutto bene?» domando, ma le parole mi suonano vuote.
«Sì, credo di aver preso un brutto virus. Adesso torno in camera mia. Tu pensi di stare bene?»
Annuisco, ma dentro di me la storia del virus non mi convince. Sento che c’è qualcosa di più, qualcosa che non ha ancora detto.
Non voglio fare domande. Voglio solo lasciarla andare, e quando se ne va, il vuoto che lascia è opprimente, come se avessi perso una parte di me stessa.
*
Le parole di mio padre, gelide e spietate, entrano nelle mie orecchie, graffiandomi il cervello. «Torna a casa, ragazzina insolente» mi urla dal microfono, ma la sua voce è solo un rumore lontano. «La famiglia Gambino mi avrà fatto almeno dieci telefonate da quando te ne sei andata, non riesco a tenerli buoni.»
Sbuffo, la rabbia che si mescola al disprezzo. Le gambe mi portano in bagno, apro il rubinetto della doccia, guardando l’acqua scorrere nel box e resto immobile. La mia pelle si accende di una sensazione fredda.
«È un problema tuo, non me ne frega niente. Ho accettato il suo anello e il fidanzamento, ma di certo non può credere che faccia la fidanzatina modello. Aspetterà il matrimonio,» dico con disprezzo, ma dentro di me una parte ride amaramente. Il matrimonio sarebbe solo un altro strumento per incatenarmi, un altro modo per soffocarmi.
So che il piano che ho nella testa non durerà, e che dovrò fare qualcosa di peggio, qualcosa di più grande, qualcosa che non voglio nemmeno ammettere a me stessa.
Perché so che accadrà presto.
«Vuole che tu stia nella villa fino a quel giorno, non possono permettersi altri colpi di testa da parte tua.»
La sua voce non ha pietà. Non c’è traccia di preoccupazione, solo una minaccia velata che mi scava dentro.
«Il colpo in testa lo ha preso lui, papà. E dubito sia servito a qualcosa se pensa che sia una sua prigioniera adesso. Sbrigatela da solo, inventa qualcosa, e se dovesse presentarsi alla villa usa la tua cinta. È quello che sai fare meglio.»
Sfilo l’auricolare dall’orecchio, gettandolo sul lavello, lasciando che mio padre continui a parlare da solo, vuoto, come un eco distante. Non so nemmeno come abbia fatto a far scivolare quelle parole dalla mia bocca, ma erano lì, pronte a esplodere da troppo tempo.
Che si fotta. E che si fotta anche Vittorio, insieme alla sua famiglia.
Questo Vittorio inizia a darci fastidio. Che fine farà?
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2
RomanceElyas Garcia De La Cruz è un giovane hacker messicano che fa parte del Mc Tijuana, uno dei club motociclistici più famosi del nord del Messico e del sud della California. È ossessionato da Alys Kovalenko, una nerd come lui, diventando con il tempo...
