Capitolo 10

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ELYAS

Oggi

Sono passati quindici giorni. Solo quindici cazzo di giorni che siamo ficcati sotto queste fottute grotte. Almeno credo. Perché qui il tempo si deforma, si allunga e si accorcia a suo piacimento, come se fosse un’entità viva che si prende gioco di noi. Potrebbero essere passati quattro giorni o forse venti, non lo so. Non c’è un cazzo di riferimento, niente sole, niente luna, solo questa oscurità perenne che si insinua nella pelle come umidità maledetta.

Porca puttana, non ricordo nemmeno più com’è fatto il cielo. Me lo immagino con le sue stelle che pulsano come piccoli battiti di cuore dispersi nell’infinito, ma non è la stessa cosa. L’unica cosa che la mia mente non riesce a lasciar andare è Alys. Il suo sguardo. Il modo in cui le sue labbra si muovono quando parla. E quel cazzo di anello che ha osato infilarsi al dito.

Lo farò a pezzi con le mie mani.

Uscirò da qui, troverò quella testarda e la costringerò a guardarmi negli occhi. Ho aspettato troppo. Sono rimasto nell’ombra, ho accettato la distanza. Ma ora basta, il mio cuore è saturo e impaziente.

L’unico tra di noi che ha visto la luce del sole è stato Artem. A lui Sascia ha concesso il lusso di uscire, giusto il tempo di sfiorare Bea. Non perché sia generoso, ma perché gli serve tenerlo calmo. Sa che senza di lei Artem sarebbe impazzito, e uno come lui, fuori di sé, è un’arma a doppio taglio. Ma è solo un’illusione, il contentino prima che la verità gli venga vomitata in faccia.

Rick, Artem e io. Tre gabbie separate, tre topi chiusi in un labirinto senza uscita, con sbarre dorate e una porta che scatta solo quando Sascia decide che è il momento. Rick è rannicchiato in un angolo con la mascella serrata, i denti digrignati come un cane pronto ad azzannare chiunque gli capiti a tiro. Ho avuto a che fare con lui poche volte al campus, ma come tutti i Kovalenko è un fottuto mastino. Non mi sorprenderebbe se provasse a morderci. Spero solo che Jass sappia gestirlo, ma conoscendola, dubito che la loro storia durerà.

Artem, invece, è immobile, le gambe incrociate sulla terra umida e dura. Con una mano inzuppa il pane raffermo in quella merda di minestra che ci passano ogni giorno. Sa di ferro e ruggine, come se fosse stata preparata con l’acqua di queste caverne. I primi due giorni mi sono rifiutato di toccarla, poi ho capito che l’alternativa era la fame.

Mi alzo e faccio scrocchiare il collo, il corpo teso da giorni senza un vero allenamento. Devo muovermi, devo pompare il sangue se voglio restare in forma. Sollevo le braccia e mi attacco alle sbarre sopra la testa, iniziando una serie di trazioni lente e controllate. Sento i muscoli tirarsi, la pelle tesa, il bruciore che mi aiuta a non impazzire. Almeno quello posso controllarlo.

Un’eco di passi che si insinua nelle pareti, mi sale lungo la spina dorsale come un brivido d’attesa. Mi lascio cadere a terra e mi asciugo il sudore con la maglia che ho tolto poco fa. Cristo, ho bisogno di una doccia e qui non c’è niente. Solo un secchio per i bisogni e delle taniche d’acqua gelida che ci passano ogni tanto, come se fossimo bestie da abbeverare.

Sascia fa il suo ingresso con indosso solo un paio di pantaloni corti, il petto scoperto e la pelle martoriata da cicatrici e tatuaggi. Ogni segno racconta qualcosa, ogni inchiostro parla di una storia. Non quella che mostra a tutti, ma quella che gli scorre dentro.

Ci guarda, sorride, e io so cosa sta per accadere.

«Ci siamo, Elyas. È il tuo momento.»

La voce di Sascia risuona nelle grotte come un colpo secco e definitivo. Mentre lo guardo il mio corpo si prepara all’inevitabile. Non pensavo che accadesse così presto, ma a quanto pare il piccolo lord ha bisogno di tempo per smaltire la rabbia e imparare a gestirla.
«Sono pronto.» Non sono sicuro che sia vero, ma non posso tirarmi indietro. Questo stronzetto, se vuole sposare mia sorella, dovrà farsi guidare da me.

Sascia si muove verso la gabbia di Artem con una lentezza studiata, calibrata per insinuarsi nelle ossa come un veleno. Si ferma davanti a lui e, senza una parola, gli sfila il cibo dalle mani con un gesto secco, facendo rovesciare la zuppa in terra.

«Ehi, ma che cazzo, fratello!» Artem sbraita con gli occhi ridotti a due fessure di puro odio.

Dall’altra parte della cella, Rick si volta verso di noi con il suo solito ghigno da predatore. Prima mi osserva, poi fissa Artem e si passa la lingua sulle labbra. Si alza, afferrando le sbarre con entrambe le mani, le dita che si stringono attorno al metallo dorato come artigli su una gola. Sta pregustando lo spettacolo.

Al centro c’è la gabbia di Artem. Incastonato tra noi come un pezzo di carne lanciato in mezzo ai lupi.
«Una volta mi hai chiesto cosa ti stessi nascondendo sulla faida con nostro padre e sul passato con nostro zio.» Sascia rompe il silenzio con un tono piatto, ma carico di sottintesi. «Beh, tecnicamente mio zio, visto che era il fratello di mia madre.»

Artem si irrigidisce, i suoi occhi si spostano da me a lui, colmi di domande.
«Non me n’è mai fregato un cazzo di quel pezzo di merda,» sputa, incrociando le braccia sul petto, «e se hai deciso di ammazzarlo avrai avuto i tuoi buoni motivi. Sai che sto dalla tua parte.»

Mi appoggio alle sbarre, incrociando le braccia mentre li ascolto con le vene che pulsano sotto la pelle tesa. Rick ridacchia tra i denti e la tensione si addensa nell’aria, opprimente come un cielo carico di tempesta.

Sascia non dice nulla, scuote la testa, poi si allontana verso un tunnel laterale. Dopo qualche secondo, torna. Su una spalla si attorciglia delle catene, mentre nella mano stringe una mazza di legno chiodata, e quando si ferma davanti a me, sento il mio respiro farsi più corto.

«L’unico modo che hai per difenderti, Elyas.» Mi porge l’arsenale. «Posso assicurarti che per mio fratello questi sono solo giocattolini. Sta a te farli funzionare in maniera corretta, se vuoi restare in vita.»

Prendo le catene, il metallo freddo contro la pelle calda del mio avambraccio. Me le attorciglio intorno alla spalla sinistra, strette, come un serpente pronto a mordere, e con la destra impugno la mazza.

Non so se mi ucciderà Artem, o se lo farà Bea, quando scoprirà cosa sto per fare. Forse entrambi, ma non ho tempo di pensarci.

Artem sbatte le mani sulle sbarre, il suono metallico che riecheggia nelle grotte. «Qualcuno mi spiega cosa cazzo sta succedendo?!»

Il panico gli increspa la voce. La sua pazienza si sta sgretolando e la follia lo sta avvolgendo come una nebbia densa. Non sarà facile dosare la sua rabbia, ma ci proverò, anche se questo significa combattere un demone a mani nude.

«Come dicevo» riprende Sascia, posizionandosi con calma davanti a suo fratello, «ho ucciso lo zio per un motivo preciso e farò lo stesso con nostro padre appena avrò le prove della sua complicità con quel pezzo di merda. E non appena troveremo il modo di buttarlo fuori dalla Bratva senza ripercussioni.»

Parla con una freddezza agghiacciante, il tono pacato che contrasta con l’orrore delle sue parole. Artem, invece, è un uragano pronto a scatenarsi. Lo vedo trattenere a stento il furore che gli scorre nelle vene, ogni suo muscolo è teso come una corda pronta a spezzarsi.

«Lo so che nella tua testolina ti starai già facendo un milione di inutili domande, ma tranquillo, fratellino. Elyas ti darà le risposte che cerchi.»

Il nome gli esce di bocca con un sibilo velenoso. Artem si irrigidisce, i suoi occhi bruciano di tradimento mentre li fissa su di me.

«È per questo che adesso ti fidi di lui e l’hai portato con noi?» la sua voce è un ringhio feroce, carico di rabbia repressa. «Hai raccontato il tuo segreto a Elyas prima di dirlo a me? Come cazzo hai potuto farmi questo?»

Si avventa sulle sbarre, incastrando la testa tra di esse. Il metallo trema sotto la pressione delle sue mani e per un istante sono certo che riuscirà a piegarle con la sola forza della sua ira. Il suo respiro è corto, irregolare, come se stesse lottando contro un dolore troppo grande da contenere.

Sascia, però, non si scompone e sorride con una calma ancora più inquietante.

«Lui sa tutto perché è stata Alys a dirglielo, al campus estivo. E in tutti questi anni si è dato da fare per darle vendetta. Da solo, e senza l’aiuto di nessuno.»

La frase cala come una lama affilata. Artem si blocca e i suoi occhi si riducono a due fessure con un tremito impercettibile nelle sue mani.

Sascia si volta verso di me e il suo sguardo dice tutto.

È il mio turno.

Faccio un passo avanti. Poi un altro. E un altro ancora. Mi fermo a pochi centimetri dalla gabbia con il cuore che martella nel petto, ma la mia voce è di ghiaccio quando inizio a parlare.

«Tuo zio era un pedofilo mascherato da prete. Oltre a essere uno dei capi spietati di un’organizzazione che vende ragazzine e ragazzini come merce per soddisfare dei luridi maiali come lui.»

Artem scatta in avanti, gli occhi che bruciano di un’ira che sfiora la follia.

«Non continuare.» Il suo tono è un avvertimento, ma sento la supplica dietro le parole.

Non vuole ascoltare, non vuole sapere, ma è troppo tardi.

Scuote la testa con i denti serrati così forte che sembrano sul punto di spezzarsi. Il rossore gli ha invaso il volto e le lacrime gli velano gli occhi, un contrasto crudele con la furia che gli incendia ogni fibra del corpo.

Le sue nocche sono bianche per la forza con cui stringe le sbarre. Sta trattenendo un dolore che non potrà reprimere ancora a lungo.

Ma non mi fermo, e senza mezzi termini, gli racconto tutto. Ogni orrore, ogni dettaglio. Gli vomito addosso la verità come una condanna.

Lui non emette un suono, rimane immobile con le mani piantate sul ferro freddo delle gabbie, mentre la sua mente prende fuoco.

Sascia, invece, sorride. Con lentezza sadica, alza un braccio e mostra il telecomando che stringe tra le dita.

Clic.

La serratura scatta e il metallo cigola, poi le porte delle gabbie si spalancano con un suono sinistro, e in un lampo, Artem mi piomba addosso.

A noi due, stronzetto.


*


Sono passate appena un paio d’ore da quando abbiamo iniziato a combattere come due animali, e sono fortunato a essere ancora vivo. Questo bastardo ce la sta mettendo tutta per provare a uccidermi, ma la sua rabbia lo rende cieco. Sascia aveva ragione: è il suo punto debole. Non riesce a prevedere le mie mosse, eppure, ogni volta che lo colpisco, è come se ogni pugno gli rimbalzasse addosso. Per lui, sono graffi insignificanti, quelli che gli farebbe un gattino appena nato.

Approfitto di un suo attimo di esitazione per arrampicarmi sulle sbarre della gabbia. Faccio delle catene un cappio mortale e glielo lancio intorno al collo, costringendolo a sbattere con violenza contro il ferro.

Preso. Brutto figlio di puttana.

Il sudore che mi imperla la pelle si mescola al sangue che cola dalle ferite. Artem non ci è andato leggero, nemmeno questa volta. Ma se alla clubhouse avevo bisogno di incassare i suoi colpi per lenire il dolore che provavo dentro, adesso il fuoco che mi brucia è alimentato dai suoi pugni.

«Oh porca puttana, amico!» sbraita Rick da dietro le sbarre, con la bava alla bocca. «Ti sei fatto fregare dal messicano, questa proprio non me l’aspettavo!»

«Sta zitto, stronzo!» gli urla contro Artem, con le mani serrate intorno alle catene che gli stringono il collo.

Mi assicuro di sigillarle bene alle aste dorate per tenerlo fermo. Non lo libererò finché non avrà imparato a controllare questa cazzo di rabbia impulsiva.

«Sei alla mia mercé, cognato.» Con una spinta sulle gambe salto giù dalla gabbia.

Ero così preso dalla lotta che solo ora mi rendo conto che le porte delle gabbie sono tutte aperte. Sascia è seduto in un angolo buio, godendosi lo spettacolo. Applaude e si alza in piedi. Il suo gongolare di fronte al fratellino incatenato mi fa gonfiare il petto. In un modo perverso, mi appaga mostrarmi ai suoi occhi come l’uomo che voleva che fossi.

«Adesso viene la parte difficile, Elyas. Dovrai estirpare la radice guasta dal mio fratellino. Testa la sua pazienza, dosa la sua rabbia. Appena avrai finito, ci sarà una ricompensa per tutti e tre.» Scopre i denti in un sorriso diabolico e se ne va.

«Vaffanculo, Sascia!» sputa Artem. «Vaffanculo anche a te, messicano, e assicurati di aver stretto bene queste catene, perché se dovessi liberarmi non avrò pietà per nessuno di voi.»

Rick ride a crepapelle e si distende a terra con le braccia incrociate dietro la nuca, come se questo combattimento avesse messo alla prova anche lui.

Mi prendo qualche ora di pausa prima di iniziare a tormentare il mio futuro cognatino.

*

Ho imparato a contare i giorni dai pasti che ci portano. Quella merdosa zuppa dovrebbe arrivare una volta ogni ventiquattro ore, a meno che anche questo non sia un altro dei giochi mentali di Sascia per farci impazzire.

Tre pasti sono passati da quando ho incatenato Artem. Tre giorni. L’ho slegato, e ora sembra calmo. Rick mi ha aiutato molto, ci ha messo il cuore per far sì che il suo amico risolvesse il problema con la rabbia impulsiva. Osservarlo è come guardare Sascia in miniatura, e per quanto con Artem siano migliori amici, è sempre a suo padre che è devoto. So poco del suo passato, ma dubito sia migliore del nostro.

Ognuno di noi lotta contro i propri mostri, e qui sotto ne emergono più di quanti si possa sopportare.

«La ami sul serio?»

Il piccolo lord si siede, incrocia le gambe e mi fissa negli occhi. Annuisco, sentendo il bruciore delle lacrime che trattengo.

«Le hai spezzato il cuore» continua, aspettando che parli. Gli ho già detto tutto, ma forse non basta. Non lo sarebbe nemmeno per me. Lui non ha mai ferito Bea, ha lottato, e io avrei voluto avere almeno una briciola del suo coraggio.

«Lo so, ma quel giorno ho spezzato anche il mio, di cuore.»

Rick mi guarda in modo strano con un’espressione che non riesco a decifrare.

«E allora per quale cazzo di motivo non sei tornato da lei subito? Perché non le hai raccontato come erano andate le cose? Dopo tutto quello che sapevi sul suo conto, non se la meritava la tua carognata.»

La sua rabbia cresce, ma è diversa. È come se avessi spezzato anche il suo cuore insieme a quello di Alys. So cosa pensa. Quel giorno al campus avrei dovuto chiedere aiuto a lui, non sparire con Bea distruggendo tutto. Ma è facile parlare col senno di poi. In quel momento mi sentivo a pezzi e in colpa per non essere stato abbastanza per nessuna delle due persone a cui tenevo di più al mondo.

«Ho aspettato due mesi, Artem. Dovevo farlo, per permettere a Bea di riprendersi almeno un po’. Nel frattempo, facevo i conti con la mia coscienza che mi tormentava.»

Stringo le dita intorno alle sbarre e proseguo con ferocia: «Poi sono corso da lei. Dovevo affrontarla. Ci ho provato così tante volte che nemmeno immagini. Ho dormito fuori da quel cazzo di cancello anche sotto la pioggia, perché non mi faceva entrare. Le ho inviato messaggi, video, raccontandole la verità. Ma quando ho capito che voleva tenermi lontano dai suoi occhi, sono andato via. Ma i miei, di occhi, non si sono mai allontanati da lei.»

Faccio un lungo sospiro. Rick distoglie lo sguardo, come se nascondesse qualcosa. Lascio andare il pensiero, per ora.

«Poi ho iniziato a rincorrere i suoi mostri e a ucciderli, uno per uno. Con la speranza che capisse che non l’avrei mai più lasciata sola.» Abbasso la testa e colpisco le sbarre con un pugno. Artem si alza e mi viene incontro.

«È tutto a posto, messicano. Te la riprenderai.» Mi dà un colpo sulla spalla, le sue parole sono miele sulle ferite.
Non so se ha capito il senso di colpa che ancora mi divora, ma so che il mio amore per Alys gli è arrivato dritto al cuore. È impossibile non riconoscere un sentimento così immenso, in grado di spostare le montagne.

«Forse si sentiva in colpa anche lei.» La voce di Rick alle nostre spalle ci fa trasalire, e prego con tutto me stesso che quello che sta per dire non sia ciò che temo.


La rabbia del piccolo lord sembra essere passata, ma cosa ci sta nascondendo Rick?

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora