ALYS
Oggi
Da quando Sascia è andato via, non sono uscita dalla stanza nemmeno per mangiare un dannato cupcake, come se il mondo là fuori fosse solo un’illusione. Un riflesso che non voglio più toccare, una realtà che mi sembra ormai distante e inaccessibile. Tutto ciò che mi circonda è vuoto, anche la luce che filtra dalla finestra sembra solo un richiamo lontano, che non ha più alcun potere su di me. La solitudine mi avvolge, si infiltra nelle ossa, eppure c’è qualcosa che non riesco a scacciare: la consapevolezza che lui è sempre lì, in qualche modo.
Elyas è alle catacombe, lontano, ma non sono mai stata così certa che non sia davvero sparito. Se non può essere lui a seguirmi, a spiarmi, qualcun altro lo farà. Perché la sua ombra è sempre stata lì, anche quando sembrava che se ne fosse andato.
Ho cercato di ignorarlo, di allontanarlo, ma è impossibile. Ogni barriera che alzavo, ogni difesa che costruivo, lui la superava. L’ho odiato, eppure una parte di me si è divertita. Sapere che era lì, che mi osservava, mi dava una strana eccitazione. Era un gioco macabro, doloroso, ma anche esilarante. Mi toccavo mentre sapevo che lui mi guardava, e mi sentivo sfiorata dalla sua presenza invisibile. Era il mio modo di punirlo, ma ero troppo debole per fermarmi. E così facendo, mi sono alimentata della sua ossessione, rinforzando il mio stesso desiderio.
Lo capivo dai messaggi che mi arrivavano, dai video che mi inviava. Non gli ho mai risposto, ma lo sapevo. Lui mi ascoltava, anche nelle notti più buie, quelle in cui mi perdevo, quelle in cui il mondo sembrava collassare su di me. Non riuscivo mai a liberarmi da lui, nemmeno mentalmente. Non mi sono mai sentita tanto persa, come se la sua presenza fosse l’unica cosa che aveva un senso in un mare di caos.
Elyas Garcia. Il suo nome da solo evoca immagini di fuoco e fiamme, di motociclette che ruggiscono come bestie selvagge.
Era arrivato al campus in sella alla sua Harley, seguito dai suoi tre amici che sembravano essere un’estensione di lui, come se la sua anima fosse radicata in quella banda di terroristi. In poco tempo, tutti gli studenti lo veneravano, lo idolatravano. Forse pensavano che un giorno, chissà, l’avrebbero accompagnato in qualche viaggio verso il nulla, in quel club di Tijuana che era la sua casa. Ma io sapevo cosa si nascondevano dietro quell’immagine di perfezione che tutti adoravano. Li vedevo per quello che erano: assassini, bulli, ma anche creature capaci di incutere terrore pur restando nell’ombra. E proprio questa loro natura mi attraeva e mi faceva tremare.
Artem e Rick sembravano essere i più distaccati, quelli che restavano nell’ombra, non volevano essere al centro dell’attenzione. Ma Elyas non era mai stato uno che voleva stare dietro le quinte. Voleva essere amato, e voleva che io lo vedessi come le altre ragazze. Forte, muscoloso, irresistibile. Ma io lo osservavo attraverso gli occhi di chi conosce le ombre, di chi vede il vero volto delle persone, e non era il ragazzo che tutti credevano, ma qualcosa di più complesso.
Il ragazzino che avevo conosciuto alla scuola cattolica, quella figura che pensavo fosse svanita, era tornata a tormentarmi sotto forma di un ragazzo che mi stava consumando, e non riuscivo a fermarlo.
E quando me lo ha confessato, quando ha rivelato la verità su di sé, ho sentito un’improvvisa scarica di sollievo. Le fiamme nei suoi occhi verdi si accendevano sempre di più con ogni parola. Mi sono sentita sollevata, come se ogni parte di me fosse finalmente libera di respirare, e in quel momento, ho capito una cosa. Era lui che mi stava guardando, che mi stava cercando, ma non come pensavo. Lui mi aveva scelta, e quella consapevolezza mi stava distruggendo, e allo stesso tempo mi rendeva viva. Non potevo più scappare da lui, né dal desiderio che mi aveva impiantato nel cuore.
Quando il suo respiro è diventato un tutt’uno con il battito del mio cuore, la mia anima ha iniziato a rivelare una parte di me che non avevo mai conosciuto, una parte che non sapevo nemmeno di possedere. Quella connessione, quel legame tra il suo respiro e il mio cuore, ha risvegliato qualcosa che pensavo fosse morto da tempo, una parte di me che era rimasta sepolta tra i pezzi rotti del mio essere.
Quando credi di essere rotta, quando ti senti sfaldata e senza speranza, è difficile, quasi impossibile, credere che tu possa mai tornare a vivere. Puoi cercare di ricomporre i pezzi, metterli insieme con tutte le tue forze, ma lo sai che, non importa quanto ci provi, non saranno mai più come prima. Non lo saranno mai.
Elyas mi ha dimostrato che mi sbagliavo. Lui ha preso quel vaso che pensavo irreparabile, l’ha ridotto in polvere, ha mescolato la sua essenza con la mia, e ha creato qualcosa di nuovo. Un nuovo vaso, una nuova me. Mi ha fatto dimenticare quello vecchio, quello rotto, che non potevo nemmeno guardare senza provare dolore. Mi ha fatto credere che potevo essere intera di nuovo, che potevo essere una persona completa.
Ma poi, quell’ultima mattina al campus, ha distrutto tutto quello che con tanto sforzo aveva creato, e io mi sono sentita morire. Come un fiore che sboccia per poi essere calpestato senza pietà, tutto ciò che era rimasto di me è svanito in un istante. Non poteva essere lui a farmi provare tutto quel dolore, non lui. Non era giusto. Non dopo quello che avevamo vissuto.
Dopo quell’evento, ho iniziato a pensare che la nostra storia fosse davvero solo un gioco di vendetta per aver scoperto il mio tradimento, un piano perfetto in cui io ero la stupida mosca, intrappolata nella sua ragnatela. Avevo dato tutto di me, ogni singolo pezzo del mio cuore, ogni parte della mia anima, compresi i mostri che mi portavo dentro e che non riuscivo a scacciare. Elyas era diventato il mio custode, il mio rifugio. La mia salvezza, ma ormai non c’era più.
Eppure, dopo qualche mese dalla fine di quell’estate, è tornato. Ogni giorno, come un’ombra che si avvicina lentamente, cercava di entrare di nuovo nella mia vita. E io, disperata, cercavo di ignorarlo, di rifiutarlo, ma lui continuava a lanciarmi segnali. Quando non gli rispondevo, lui lasciava dietro di sé una scia di cadaveri. I miei mostri. Li catturava, uno a uno, come fossero prede in un gioco macabro, e si prendeva tutto il tempo per farmi sapere come li stava distruggendo. Ogni volta che uccideva uno di loro, faceva un video: si vedeva lui che lanciava una rosa rossa sul corpo esanime, e poi sussurrava, con quella voce che mi penetrava come una lama: Quisiera darte todo lo que nunca hubieras tenido, y ni así sabrías la maravilla que es poder quererte. “Vorrei darti tutto quello che non hai mai avuto, e neppure così sapresti quanto è meraviglioso amarti.”
Mi asciugo una lacrima calda con il dorso della mano, mentre i ricordi invadono la mia mente. Ogni singolo momento passato con lui, ogni risata, ogni carezza, ogni parola sussurrata, mi ritorna addosso come una morsa. Il dolore che provo non passerà mai. Non ci sarà mai un momento in cui smetterò di sentire questa mancanza, questa lacerazione che mi consuma sempre di più. Il suo amore, la sua follia, mi hanno distrutta, ma anche resa viva, in un modo strano e doloroso. Perché ora so che non c’è più un ritorno, ma continuo a sperare.
Il rumore di pneumatici che stridono contro il viale di ciottoli della villa mi scuote dai pensieri che mi martellano nella testa. Mi sporgo sul davanzale della finestra e i miei occhi scrutano l’auto che si avvicina. Una Mercedes nera con i finestrini oscurati, perfetta per chiunque voglia rimanere anonimo. Sicuramente sarà qualche collaboratore di mio padre che viene a fare la sua solita visita di routine. Un altro di quei tipi che mi fanno venire la nausea con il loro modo di parlare. Con un rapido gesto, richiudo le tende, cercando di allontanare la scena, e mi lascio crollare sul letto con le mani sul viso, mentre una tempesta di pensieri mi travolge.
Poi, come se fosse il segno di un avvertimento, vedo le lucine rosse sul monitor che si accendono e il mio sguardo si fissa sullo schermo: le telecamere hanno catturato una sagoma che si avvicina alla mia camera. Non posso fare a meno di stringere i pugni. Se quello stronzo di mio padre osa venire qui, lo prendo a morsi sulla testa. Non voglio più sentirmi una marionetta nelle sue mani. La rabbia mi sale, ma cerco di respirare, di tenere sotto controllo la furia che mi consuma.
Il terminale proietta le immagini di una figura femminile camminare adagio.
È Bea, ed io non ho la forza di affrontarla ora, non adesso che sono così vulnerabile.
Spingo il pulsante con il telecomando, lasciando che le immagini cambino rapidamente, e mi lascio ricadere sul letto mentre un lungo sospiro mi sfugge dalle labbra. Ho bisogno di fermarmi, di pensare. Ma quando la porta si apre, so che non posso più scappare.
Bea entra senza bussare, il suo passo è deciso come se volesse prendere tutto il tempo per scrutarmi. Muove la testa da una parte all’altra prima di vedermi, poi mi fissa intensamente, come se volesse penetrare nelle mie ossa con lo sguardo. Si avvicina, trascinandosi dietro una sedia e si ferma vicino al letto.
«Beh, vedo che queste nozze ti rendono felice» dice con un tono quasi sarcastico, ma c’è qualcosa in quella frase che mi fa sentire un peso ancora più grande. La guardo negli occhi, sentendo il rimorso bruciarmi la pelle come un fuoco che non vuole spegnersi.
Pianto gli occhi nei suoi, Bea è una donna che ha visto e sentito troppo, e non riesco a liberarmi dal senso di colpa.
«Per fortuna hai tolto l’anello» con uno sguardo rapido indica il diamante sul comodino al mio fianco e la sua frase mi arriva come un colpo secco. «Altrimenti mio fratello sarebbe già venuto a strappartelo a morsi.»
«Già,» rispondo, il mio tono è distaccato, quasi freddo. Non riesco a essere gentile. Lo so che sto facendo la stronza, ma ogni sua parola mi ricorda che ho fallito. Non riesco nemmeno a guardarla senza pensare a Elyas, alla rabbia che mi ha invaso, alle cazzate che ho fatto. Al video del suo stupro, un loop continuo nella mia testa. Ho distrutto tutto, e lei è l’ultima persona con la quale dovrei prendermela.
«Ti ha mandata lui?» la mia voce tradisce una stanchezza che non riesco più a nascondere. Sono esausta di giocare, esausta di mentire a me stessa.
Bea non esita, e la sua risposta arriva come un fiume in piena, senza freni, senza aspettare che io possa fermarla. «No, sono qui perché voglio che vieni a vivere a San Diego con me.»
Le sue parole mi colpiscono come una scossa. La guardo, confusa.
Raddrizzo la schiena e mi siedo sul bordo del letto, cercando di raccogliere i pensieri che stanno frullando nella mia mente.
«È così che funziona adesso? Le telecamere non gli bastano più?» Quel dannato ragazzo che non mi lascia andare. Ogni volta che cerco di allontanarmi, lui è lì, sempre pronto a riprendermi, a intrappolarmi di nuovo nella sua rete. Eppure, nonostante il suo costante controllo, non seguirò il suo piano. Non voglio. Ho bisogno di trovare un modo per entrare nella casa di Vittorio senza scatenare l’ira di Sascia, ma non posso farlo nella casa con Bea.
«No, Alys. Non è per questo, non mi ha mandata nessuno di loro. La tua voce non mi è piaciuta affatto quando abbiamo parlato attraverso gli auricolari e voglio stare con te mentre i ragazzi non ci sono». Quando si avvicina sento quella sensazione di colpa scivolare come una lama gelida lungo la mia pelle. Ho trattato Bea come una merda, ma lei è preoccupata per me. Non lo capisco. Non mi ero mai sentita così a disagio con qualcuno, eppure lei è qui, pur non essendo mai stata davvero mia amica.
«Non verrò mai con te, Bea. Non sono la persona che credi e non voglio la tua amicizia o…» la indico con un gesto stanco, roteando il dito «qualsiasi cosa tu stia cercando di fare. Non farlo. Non me lo merito». Non riesco a guardarla senza sentire il peso di ogni decisione sbagliata che ho preso, ogni bugia, ogni azione che mi ha portato a questo punto. Mi alzo, mi dirigo verso la postazione da hacker, ma lei non mi lascia andare. Mi blocca per un gomito, costringendomi a tornare seduta.
Ti prego, non farlo. Non posso affrontarti, non ora.
Le lacrime minacciano di uscire, ma cerco di trattenerle. Non voglio sembrare debole, non voglio che vedano la mia fragilità. Ma quando all’improvviso mi abbraccia, tutto esplode. I singhiozzi mi soffocano, l’aria si fa densa, il mio respiro è irregolare e affannoso. Una morsa mi stritola il petto, e sento che non ce la faccio più, non so come fermarmi.
«È colpa mia. Tutto quello che ti è successo è stata colpa mia, per favore vattene!» la supplico, aggrappandomi a lei, cercando di liberarmi da un peso che mi schiaccia. Vorrei che mi picchiasse, che mi strappasse via da me stessa, ma Bea fa qualcosa di ancora peggio. Mi stringe più forte, come se volesse fissarmi in quel momento e come se volesse che guardassi la realtà negli occhi.
«È per questo che voglio che vieni con me» sussurra sul mio collo, e io mi sento persa.
«Vuoi farmela pagare?» chiedo tra le lacrime con il naso tappato, e il respiro che si fa sempre più difficoltoso.
Ma lei ride e non è quello che mi aspettavo.
«No, non sono come tuo fratello» dice, sollevando il mio viso, asciugandomi le lacrime con delicatezza. Le sue mani sono ferme. «Ascolta, Alys, non so nulla del tuo senso di colpa e non mi interessa. Elyas si fida di te, e mi fido anche io. Stai per diventare mia cognata, cazzo. Alza la testa e andiamocene da questa merdosa villa».
Le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco che non mi fanno. Lei mi fa sentire di nuovo quella sensazione, quella forza, quella sicurezza che avevo provato con suo fratello. Loro due hanno un’aura così potente e intensa, che sembra che possano costringerti a fare qualsiasi cosa. Dopo tutto quello che le è successo, Bea è qui, davanti a me, combattendo per tenere in piedi due famiglie distrutte, mentre io sono impegnata a crogiolarmi nei miei fallimenti.
Mi sento piccola, come se avessi perso il controllo su tutto.
No, stavolta no. Entrerò in quella dannata casa e mi prenderò la mia vendetta e forse allontanarmi da questa villa è una buona soluzione. Sto soffocando qui dentro. Mio padre mi sta col fiato sul collo, e non riesco a pensare.
«Sono stata io a far sapere a Elyas che in quel campus c’era il ragazzo che cercavate. È per colpa mia se siete finiti in quell’agguato». Non posso andare avanti con questo peso addosso, devo togliermelo prima di andare da lei.
Bea sgrana gli occhi, incredula. Mi lascia andare, facendo qualche passo indietro. Sembra cercare di scrutare nella mia mente, ma io non posso nascondere la verità. Non più.
«No, conosco i tuoi occhi. Sono gli stessi di Artem e so bene cosa si cela dietro quello sguardo». Il suo respiro si fa affannato. Sento il suo sguardo penetrante che mi scava dentro, sta cercando di capire se sto davvero dicendo la verità.
«L’ho fatto, vi ho traditi. Ho colpito l’unico amore della mia vita con un pugnale dietro la schiena, Bea, e questo non posso cambiarlo». Mi asciugo una lacrima con il dorso della mano, mentre la guardo negli occhi, con un nodo stretto in gola. La sua reazione mi colpisce come un pugno dritto in faccia.
«È per questo motivo che non hai mai voluto perdonare Elyas e continui a fuggire da lui.» Non suona affatto come una domanda, perché non lo è. Lei ha capito tutto.
I suoi occhi non lasciano i miei nemmeno per un istante. Annuisco appena, con il cuore che mi colpisce il petto e la consapevolezza di non avere mai il loro perdono. Non me lo merito.
«Hai avuto un buon motivo per farlo?» Faccio sì con la testa e chino il capo per la vergogna. Le mani mi tremano, stringo i pugni cercando di fermarle, ma è inutile.
«Sono stata minacciata, Bea, mi dispiace.» La voce mi esce strozzata, come se ogni parola mi graffiasse la gola dall’interno. «Ho provato in ogni modo ad avvertire Elyas e salvarlo prima che tutto potesse precipitare, ma non ci sono riuscita.» La confessione mi fa venire voglia di vomitare. Il senso di colpa si attorciglia nel mio stomaco come un serpente che striscia e si annoda.
«Alza questa cazzo di testa, Alys!» sbotta. Il suo tono è un colpo secco sulla mia pelle. Sollevo gli occhi, pronta alla sua furia, ma lei non fa niente. Non emette un suono. Nasconde la sua espressione di disgusto, perché so che in questo momento ne ha davvero troppo.
«Lo dirai a Elyas, vero?» sibilo a denti stretti, non riesco a controllare le lacrime che ora scendono a flotte mentre un milione di aghi roventi mi bucano le pareti dello stomaco.
«Vaffanculo!» esplode. «Pensavo avessi un briciolo di cervello e due palle per reagire, ma a quanto pare stai messa peggio di lui. Pensi che Elyas sia uno stupido, che non sappia cosa hai fatto? Lui sa sempre tutto. E per quanto mi riguarda, non me ne frega niente perché quei pezzi di merda, sarebbero arrivati a me in ogni caso. Quindi muovi il tuo culo bianco e fai le valigie. Non costringermi a chiamare Sascia.»
La sua voce è una frustata. Con un calcio scaraventa la sedia contro la porta e per un attimo mi sembra di vedere Artem. È diventata la sua copia, cazzo. Quel modo di imporsi, di non lasciare spazio a repliche, di divorare l’aria attorno con la sua presenza. È un paradosso che mi spezza dentro.
Mi alzo, mi metto di fronte a lei affinché i nostri visi si sfiorino e prendo coraggio.
«Non porterò con me solo i vestiti.»
I miei occhi corrono per la stanza, indicando tutta la mia attrezzatura informatica. Le spunta un sorriso.
«Allora muoviamoci.» Il suo tono autoritario mi fa sentire a casa. È identica ad Artem. E io mi odio per averla giudicata troppo in fretta, quando avrei dovuto comprendere per prima ciò che stava accadendo.
*
Ho riempito un paio di valigie e quattro scatoloni pieni di attrezzature tecnologiche, ma a quanto pare tra un mese e mezzo dobbiamo tornare qui. Inutile smontare tutto.
Ho installato un altro sistema di sicurezza per non permettere a nessuno di entrare nella mia camera. Non mi fido di quello stronzo di mio padre, è capace di qualunque cosa.
Dopo aver caricato il furgone, torno in camera per prendere la tracolla e un paio di occhiali di riserva.
«Hai resistito tutti questi anni e ora te ne vai?»
La sua orrenda voce ancora mi fa accapponare la pelle. Se ne sta appoggiato con una mano sullo stipite della porta come se nulla fosse. I suoi occhi mi squadrano con la solita superiorità, quella che mi ha sempre fatta sentire niente.
Si avvicina e mi mette una mano sulla spalla, facendola scivolare sulla schiena. Spinge forte sulle cicatrici, quelle che mi ha fatto lui.
«Papà» dico con tono stridulo, mentre un’ondata di odio mi inonda il petto. «Toglimi quella mano di dosso oppure te la rompo.»
Non me ne frega più niente di mantenere la pazienza con lui.
Lentamente, le sue dita si staccano dalla mia pelle ma il disgusto rimane. La sua ombra mi soffoca, il tanfo della sua presenza mi impregna la pelle come sudore rancido.
«Vittorio non sarà felice che te ne stai andando di casa.»
Scrollo le spalle per liberarmi della merda che mi ha appiccicato addosso.
«Digli che può stare tranquillo, me ne vado solo per qualche settimana. Tornerò con mio fratello e mia cognata per organizzare il loro matrimonio.»
«Quella piccola puttana alla fine è riuscita a incastrare quell’idiota di tuo fratello. Ciò che le è capitato non è stato sufficiente a farla rinsavire.»
Le sue parole dure mi fanno salire la bile in gola. Un’ondata di rabbia mi travolge, mi brucia le vene, mi spinge a spaccargli quella faccia di merda contro il muro.
«Non ti permettere di parlare in questo modo di lei.» Gli punto il dito a due centimetri dalla faccia, con la voglia feroce di fargli ripetere quello che ha appena detto, registrarlo e inviare tutto a mio fratello. Mi divertirei a vederlo implorare pietà, a guardarlo contorcersi mentre il suo mondo di merda gli crolla addosso. «Quella ragazza ha più palle di tutti noi messi insieme e tu mi fai schifo. Come sempre.» Sbotto e gli volto le spalle con la nausea che mi divora da dentro.
«Non ti è servita a nulla la scuola di tuo zio, stupida ragazzina. Ma vedrai che Vittorio ti rimetterà a posto.»
La sua voce mi arriva alle spalle come una lama sottile e velenosa. Poi se ne va, avvolto nella giacca del suo completo costoso, mentre i miei occhi si riempiono di lacrime. Ma non piango, non gli darò questa soddisfazione.
Soffoco l’istinto di ucciderlo qui e adesso perché ho fatto una promessa, ma non so quanto riuscirò a resistere.
Kovalendo Senior è sulla mia lista da quando ho compiuto tre anni e ho iniziato a capire che tipo di padre di merda fosse. Tutto quello che ci ha fatto passare da bambini glielo restituirò con gli interessi, ogni dolore, ogni ferita, e ogni incubo che ci ha regalato.
Prendo gli occhiali da sopra il comodino, la tracolla e me ne vado, sbattendo la porta alle spalle con una violenza che fa tremare i vetri.
Quando salgo in macchina, resto seduta in silenzio per qualche minuto. L’auto parte e tiro un sospiro di sollievo. L’aria sembra più leggera, ma so che è solo un’illusione.
«Tutto bene?» domanda Bea.
«No.» La voce mi esce spezzata da un singhiozzo. «Ma andrà meglio.»
In risposta, mi abbraccia forte senza dire una parola. Il suo calore mi avvolge e mi ancora alla realtà. Questa ragazza è psicopatica tanto quanto la nostra famiglia, ma ha un cuore davvero grande.
L’unico problema è che suo fratello si chiama Elyas Garcia.
La mia cazzo di ossessione.
La mia condanna e la mia più grande punizione.
Kovalenko Senior proprio non ci piace ma l'amicizia tra le nostre due cognatine, sì!!
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𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2
RomanceElyas Garcia De La Cruz è un giovane hacker messicano che fa parte del Mc Tijuana, uno dei club motociclistici più famosi del nord del Messico e del sud della California. È ossessionato da Alys Kovalenko, una nerd come lui, diventando con il tempo...
