Capitolo 25

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Attenzione perché in questo capitolo la nostra piccola Alys 

porterà a galla uno dei suoi più brutti ricordi.

ALYS

Oggi


Ho le mani intorpidite insieme alle gambe, e la testa mi scoppia tanto da farmi sentire il vomito salire fino alla gola che ho in fiamme.

Apro le palpebre per capire dove sono, prima di mettere a fuoco quello che è successo.

Cazzo.

Impreco.

Vittorio Gambino mi ha trovata e chissà dove mi starà portando.

I rumori delle ruote che stridono sull'asfalto e il mio corpo inclinato in una posizione supina, indicano che mi trovo nel bagagliaio di un'auto legata come un salame.

Maledizione. Spero solo che le ragazze siano arrivare al furgone nero.

Sbatto i pugni sul retro del sedile posteriore e una voce gelida mi fa sobbalzare.

«Sei sveglia, stramba?»

«Vaffanculo!» strillo con le corde vocali a pezzi. Tossisco un paio di volte, è come se mi avessero conficcato degli aghi roventi sulla lingua.

Non voglio sapere che tipo di sostanza mi abbia iniettato questo stronzo nelle vene, altrimenti potrei dare di matto.

Da quando, anni fa, ho smesso di avere a che fare con le pillole per l'ansia, sono sempre stata attenta ad assumere qualsiasi farmaco. La paura di ricadere in quel tunnel mi faceva e mi fa venire i brividi, senza considerare il fatto che Sascia mi ha tenuta sotto controllo con ripetute analisi del sangue. Ovviamente Rick, quella notte, non se l'è mai tenuta per sé.

«Attenta a come parli, stai per diventare mia moglie» una risata profonda fa eco nell'abitacolo mentre provo ad allentare le corde.

Poi una brusca frenata mi fa capitolare nello spazio ristretto e sbattere la testa.

Impreco un paio di volte e stringo gli occhi per non pensare al dolore, fin quando il portabagagli non si apre e la figura di Vittorio torreggia sul mio corpo.

Respira, piccola e pensa a come liberarti. Il tuo cervello ingegnoso trova sempre una soluzione anche quando sembra non ce ne siano.

Le parole di Sascia durante l'addestramento echeggiano nella mia testa.

Vittorio mi solleva dal colletto della felpa, mi taglia la corda che mi teneva strette le caviglie e mi fa scendere dall'auto.

Me lo ricordavo diverso, perlomeno dalle foto, anche perché l'ultima volta che l'ho visto dal vivo gli ho rotto la testa e l'ho mandato in coma per un anno. In quest'ultimo mese gli unici contatti che abbiamo avuto sono stati telefonici o attraverso mio padre.

È molto più alto rispetto a come lo immaginavo. Almeno un metro e ottantacinque. Porta i capelli neri corti con una rasatura a doppio taglio e il baffo scuro nasconde le labbra fini.

La sua corporatura magra si mimetizza tra le pieghe del completo elegante mentre con i mocassini neri di camoscio calpesta il terreno fangoso macchiandosi. Non sembra curarsene, come non sembra curarsi del fatto che il mio cervello è già entrato in azione, mentre mi spinge a camminare verso il viale alberato.

Riconosco questo posto e un brivido percorre le mie ossa fino a farmi rizzare i peli sulle braccia. Camminiamo per oltre un miglio fin quando non arriviamo davanti al cancello della mia vecchia scuola.

Della nostra vecchia scuola.

Voglio vomitare.

Anzi, sono quasi certa che sto per farlo.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕰𝖑𝖞𝖆𝖘 - 𝖛𝖔𝖑. 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora