~ Capitolo due ~

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Quell'iride era un incendio, caldo e freddo allo stesso tempo. Crepitando, penetrò Erik, provocandogli un brivido che dalla base del collo gli scivolò lungo la schiena come una lacrima di ghiaccio. La pupilla, insolitamente bianca e scintillante, era ridotta a uno spillo, iraconda e minacciosa. Aveva tuttavia un che di protettivo, come se avesse voluto difendere un cucciolo, un compagno ferito o il suo padrone da un nemico invisibile.

Era forse lui colui che l'elegante creatura voleva proteggere? O era il nemico che quelle iridi temevano? E, se l'avversario non era lui, allora chi era?

Il giovane si guardò istintivamente alle spalle, gesto di cui poi si pentì. Perché avrebbe dovuto lasciarsi ingannare da una semplice illusione ottica?

Ma era davvero solo un'irritante allucinazione?

O un messaggio da parte dei Naxum, gli spiriti atavici?

Erano adirati con lui? Volevano sottrargli il senno come punizione per la sua sfrontatezza?

Scosse la testa, ridendo di gusto per l'assurdo pensiero. Diede un ultimo sguardo al mosaico: la pupilla del drago sembrava essere tornata nella sua posizione iniziale. "Sciocche allucinazioni" pensò il ragazzo, afferrando il pomello della porta e spalancandola con un gesto fulmineo.

Corse rapido fuori dalla stanza, ignorando i passi del valletto che stava venendo a svegliarlo e vestirlo.

«Signorino Erik! Dove state andando così di corsa? Sono sicuro che vostro padre non approverebbe il vostro correre in questo modo per il castello» gridò l'uomo rivolto al giovane. I capelli scuri gli formavano una cornice riccioluta attorno al volto paffuto, mentre due occhi color castagna scrutavano con attenzione il corpo slanciato del ragazzo che sfrecciava per gli stretti corridoi del castello, rapido e agile come un cavallo.

Erik si voltò verso di lui, rivolgendogli poi un sorriso beffardo: «Lascia perdere, Shaze. Sai quanto me ne importa di che cosa ne pensa mio padre... E comunque, lui approva il mio comportamento. Per cui, ora scansati, che ho fretta».

I suoi occhi vispi erano laghi d'inverno, fiumi illuminati d'argento dai raggi del sole, caotiche galassie.

«Signorino, voi dovreste rivolgervi a me dandomi del "lei", come fa vostro fratello Adrén...» ribatté Shaze, indignato dal tono con cui il giovane principe si era rivolto a lui.

Erik sbuffò: «Questo ti interessa? Vuoi che io ti dia del "lei"? Bene, da questo momento in poi ti darò del "lei", ma tu dovrai chiamarmi "sua magnificentissima altezza reale"».

«Ma... ma voi non siete il re» bubbolò l'uomo.

«Bene, allora io continuo a darti del "tu", Shaze. E ora, se vuoi scusarmi, ho cose più importanti da fare che stare qui a farmi importunare dalle tue domande» terminò il fanciullo con un sorrisetto irrisorio.

«Ma, signorino Erik...» borbottò il valletto, strascicando incerto le parole. Cominciò a rigirarsi tra le dita un lembo della livrea nera pece, ragionando su come avrebbe potuto reagire alla provocazione del giovane irrispettoso. Alla fine, decise di tacere e abbassò la testa, sconfitto: era consapevole del fatto che il ragazzo aveva ragione. Il padre gli lasciava fare di tutto e soddisfava ogni suo capriccio.

Ormai il fanciullo stava diventando irritante con quel suo atteggiamento strafottente: non portava più rispetto a nessuno, neppure al padre che si impegnava tanto per compiacerlo. Non faceva che gironzolare per il palazzo e combinare disastri. Ogni volta lo scovava mentre correva per i corridoi del castello, senza curarsi degli oggetti che talvolta, incurante, lasciava cadere a terra. Intanto era consapevole che la colpa se la sarebbe addossata qualche ingenuo domestico.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora