~ Capitolo quarantatré ~

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Tornò la realtà, travolgendolo come un uragano.

Era ancora dietro all'albero, chino sul punto in cui giaceva Veluna. Un boato fragoroso fu la prima cosa che udì. Si sporse da dietro il tronco: la visuale era invasa da Anime Nere festanti, raccolte attorno al centro del campo, dove ancora si trovava Riwal con Vjana tra le braccia. Dovevano esserne rimaste una ventina, ma il loro clamore invadeva la foresta. Due di loro trattenevano Joyra per i polsi, minacciandola con le armi.

Cercò di capire quanti fossero i superstiti tra i Keshwn: adocchiò tre cuccioli accucciati sotto un tronco caduto e due femmine, forse le madri, in loro difesa. Altri quattro adulti si mimetizzavano nella vegetazione, mentre Tarven non si scorgeva, forse intento a setacciare le sue erbe in cerca di quelle utili per effettuare le cure. Per ultimo si accorse di Rhyeno che, malridotto e zoppicante, stava acquattato non molto lontano da lui, rassegnato.

Il ragazzo fu impressionato dalla vista del glorioso capobranco: in poco tempo aveva perduto metà del suo branco, e lui non era stato capace di impedirlo. Uggiolava come un cucciolo, leccandosi una zampa imbrattata di sangue. Guardava oltre l'assemblea, oltre i pochi compagni rimastigli, verso il picco dal quale Hector era precipitato. Le spoglie del giovane eroe giacevano scomposte ai suoi piedi, quasi del tutto intatte, come se stesse solo dormendo.

Erik strisciò nella sua direzione, attento a non farsi vedere. Il Keshwn si accorse della sua presenza solo quando non gli fu a più di un metro. «Tu non dovresti vedermi così, erede» mugolò, cercando invano di nascondersi dietro l'ala lacera, «Nessuno dovrebbe». Poggiò il muso sulle zampe anteriori, continuando a uggiolare. «Loro erano la mia famiglia, la mia ragione di vita. Veluna era mia figlia legittima, ma Hector lo era altrettanto, per quanto nato da un altro padre; ora non ci sono più. Fa male pensare che non li rivedrò mai più.»

«Perché dici così?» sussurrò il giovane, commosso. «Perché sostieni che non li rivedrai mai più? Quando moriremo, saremo ricongiunti a loro.»

Per lungo tempo la sua fede in una vita dopo la morte aveva vacillato: per quanto volesse crederci con tutto se stesso, c'era sempre qualcosa che frenava le sue speranze, che lo faceva soffrire. Ora, tuttavia, non aveva più dubbi: doveva essere così. I suoi amici non potevano solo aver spento le luci. Vjana non poteva essere solo svanita. Credere ciò voleva dire abbandonarsi alla più intensa, insuperabile disperazione. Dunque, non potevano che essere ancora al suo fianco, vivi in una diversa forma. Forse nelle limpide correnti, forse nel vento scherzoso, forse nel cielo infinito. Ma dovevano esserci ancora, epurati da dolore e sofferenza, liberi da ogni impedimento.

«Oh, ragazzo, se potessi morire, non mi sentirei così...» bubbolò Rhyeno in un gemito, «Io, però, non posso. Possiedo solo metà della mia anima, per cui sono sospeso per sempre in un limbo tra la vita e la morte. Sono intrappolato in questa dimensione, costretto a veder spegnersi, uno dopo l'altro, chiunque mi è caro. Non sono morto, perché altrimenti non potresti vedermi e toccarmi, ma non sono neanche vivo, perché sono secoli che più non batte il mio cuore. Sono in disgrazia e la colpa è tutta sua».

«Sua di chi?» domandò il ragazzo.

Rhyeno si diede un'altra leccata alla zampa, per poi puntare l'orizzonte: «Del mio più grande amico».

«Neyron Nakyen?» Erik parlò senza pensarci.

«Lo sai, dunque. E, immagino, sai anche già ciò che mi ha fatto» ribatté il Keshwn.

«No, questo non lo so. So solo ciò che mi ha detto Veluna, oltre a ciò che ho visto nei tuoi occhi.»

«Io credo che tu abbia visto qualcosa, magari alcuni dettagli che non hai compreso. Ricorderai forse luci azzurre, ricorderai una grotta nera, e al centro un giovane Keshwn terrorizzato» mormorò Rhyeno. Erik rimuginò ancora una volta sulla visione, ripercorrendone in rapida sequenza ogni immagine. Ne trovò poi una che corrispondeva a ciò che il capobranco gli aveva descritto.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora