~ Capitolo trenta ~

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«Sei uno stolto, Nakyen...»

«Il mondo ti masticherà e poi ti sputerà, proprio come ha fatto con i tuoi avi...»

Ombre sfuggenti si rincorrevano nell'oscura quiete in cui versava. Sussurri stentati, sibili in punta di labbra, frasi ricorrenti, spaventose, fisse nella testa del giovane come affilati pugnali.

«Debole, troppo debole, troppo sciocco...»

«Non meriti di portare il cognome del tuo venerabile antenato...»

Quella tortura lo stava distruggendo inesorabilmente. Era quella la sua punizione per essersi dimostrato così istintivo da ingerire bacche mortifere? E sarebbe stata temporanea, o eterna?

«Sei solo feccia, inutile feccia!»

«Codardo! Codardo!»

«Inutile moscerino! Miserabile parassita!»

«Basta!» avrebbe gridato, se ne avesse avuto la possibilità. Ma non era che udito, ormai. Non era più nulla. Attorno a lui c'erano solo le tenebre dell'oblio, pronte a risucchiarlo per sempre. Poi, non avrebbe avuto neanche più la capacità di ascoltare.

Sarebbe divenuto meno di un soffio di brezza, meno di una manciata d'aria.

Vuoto incolmabile.

«Combatti, Erik, difenditi! Non arrenderti!»

Quell'ultima voce era diversa dalle altre: era più dolce, più tenera, più avvolgente. Era un tono infantile, squillante, e gli parve familiare, ma non seppe spiegarsi come. La sonorità era arcaica, come proveniente da un tempo lontano dal suo, ma infuse comunque in Erik una scintilla di determinazione.

"Io voglio vivere!" esclamò tra sé, e si sforzò con tutto se stesso di riaprire gli occhi.

«Sforzati, Erik, lotta! Sopravvivi!»

"Lo farò! Lo farò! Io vivrò!" pensò più forte, mentre la fiamma della speranza diveniva sempre più luminosa, alimentata dagli incitamenti di quella voce gentile.

Uno spiraglio chiaro si andava aprendo davanti a lui, e diventava sempre più grande. Vi entrò dentro.

Era fatta.

Due palpebre si spalancarono di soprassalto, riflettendo i bagliori di un sole ancora assonnato.

~·~·~

«Guarda, Joy, è vivo!»

Il suono di una voce proruppe nell'aria immobile attorno a lui. Sembrava maschile, gioviale, ma gli giunse debole alle orecchie, ondeggiante, come se qualcuno, nel tentativo di annegarlo, fosse stato nell'atto di spingergli la testa sott'acqua. La sua vista era sfocata, e non riusciva a distinguere i tratti delle figure che aveva dinnanzi. Sentiva invece la superficie irregolare del bastone tra le sue dita. Istintivamente, strinse la presa.

«Lo vedo, 'Tor, non sono scema come te!»

Un'altra voce, questa volta la sentì meglio. Fu sicuro di riconoscervi la dolcezza di un tono femminile, ricco però di forza e carattere.

«Ehi, vacci piano con le parole, sorella!»

Fu di nuovo il primo a parlare. La tonalità era squillante, vivace, fintamente offesa. Si incuriosì, desiderando scorgere i volti che pronunciavano quelle frasi: strizzò gli occhi per mettere a fuoco la scena, mugolando debolmente. Il ventre doleva ancora, e alcune fitte continuavano a risalirgli lungo il canale digerente, causandogli conati di vomito.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora