~ Capitolo sette ~

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«U-usciamo?»

Erik era troppo euforico per credere alle parole del precettore: quella era la prima volta che valicava le recinzioni che lo racchiudevano nel territorio a lui famigliare, eccezion fatta per quando si era dovuto allontanare per la sua Cerimonia. Non era comunque passato attraverso le casupole che componevano la rocca, percorrendo un sentiero che si inoltrava nella Brumandra, la Selva delle Nebbie.

L'unica volta in cui era riuscito a carpire qualche dettaglio in più del mondo che circondava la sua gabbia d'argento era stata quando aveva tentato l'impresa di scavalcare la cancellata arrampicandosi sulla Guardiana della Rocca. Ad assisterlo c'erano i suoi migliori amici, fedeli compagni di mille peripezie: i cugini Jeshean e Mikor, Sajmer, figlio di un lontano parente stabilitosi in un'ala secondaria del castello in quanto privo di quel patrimonio che aveva interamente sperperato dopo la morte della moglie, e Lyele, l'unica ragazza del gruppo, figlia di un importante dignitario di corte.

I loro incitamenti da una parte lo rinforzavano, guidando le sue mani e i suoi piedi lungo il tronco ruvido della quercia, indicando gli appigli e sorreggendolo quando rischiava di perdere l'equilibrio; dall'altra lo tradirono, attirando l'attenzione delle guardie che si affrettarono a porre fine alla sua tentata fuga.

Ricordava con gioia quell'avvenimento: i suoi amici si erano scusati in ogni modo, ma lui ci aveva riso su, consapevole dello spavento che si erano presi i servitori nel vederlo aggrappato ai rami più alti dell'albero. Lassù si sentiva come quel sovrano che non sarebbe mai diventato: dominava sulla valle, i capelli ondeggiavano al vento e la felicità gli irradiava il volto. La nebbia sfocava i contorni delle capanne, ma il solo scorgerli gli dava finalmente la prova che non erano soli, che c'era altra vita al di fuori del recinto.

«Esattamente, mio pupillo» rispose il precettore, strizzandogli la spalla con fare amichevole. Ma era lo stesso Golmer che Erik aveva imparato a conoscere, o era un mutante che aveva assunto le sembianze dell'odiato istitutore?

«Ma...» tentò Erik, desideroso di ottenere delle spiegazioni.

«So cosa vi state chiedendo, signorino Erik: perché non siete mai potuto uscire dal castello. Purtroppo non vi so rispondere: sono solo un servitore che obbedisce agli ordini del suo sovrano» spiegò l'uomo. «Oggi, però, ho deciso che è giunto il momento che voi scopriate come è fatta la terra in cui vivete. Non ha senso che il principe di Rocca di Ghiaccio non conosca le condizioni dei suoi sudditi.»

«D'accordo, Gollie, andiamo» sentenziò il giovane, sforzandosi di mantenere un atteggiamento distaccato. Dentro di sé, invece, sentiva una fiamma danzare come il riflesso della luce in una pozza.

Si incamminarono verso la cancellata, il confine proibito, la porta dell'Aldilà. Con molti nomi Erik aveva imparato a chiamare quell'invalicabile recinto, tanto che non poté fare a meno di fremere mentre i suoi piedi attraversavano la soglia, percorrevano quel sentiero sconosciuto, sfioravano il terreno del mondo di fuori.

"Sono fuori! Sono libero!" pensò, raggiante. Fece per scattare in corsa lungo il percorso che conduceva al villaggio, ma fu fermato da Golmer, che gli afferrò un lembo del mantello.

«Con calma, giovane Nakyen. Da dove viene tutta questa fretta?» gli domandò.

«Oh, Gollie, come sei noioso...» borbottò Erik. «Voglio andare a divertirmi! I miei amici mi hanno raccontato che da queste parti si trova una famosa scultura. Voglio vederla.»

Il precettore fece un sorriso così tirato che sembrava più un ghigno, per poi esclamare: «Ma guarda che coincidenza, è proprio lì che dobbiamo andare».

«Bene! Allora andiamo!» gridò, divincolandosi dalla presa dell'uomo e fuggendo.

Iniziò a gareggiare con la brezza, aumentando la velocità a ogni falcata. Urlava, saltava, piroettava in aria come una libellula, ricadendo leggiadro e riprendendo il passo spedito. Chiuse gli occhi, allargò le braccia, spiccò il volo: le maniche, gonfie d'aria, divennero ali, il suo corpo leggero e le sue ossa cave. Ora era un'aquila, un elegante rapace che lottava contro la bufera, che non temeva gli uragani, che danzava con il vento.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora