~ Capitolo diciotto ~

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«Una... lince? Devo proprio stare impazzendo...» borbottò Erik fissando l'animale che gli si era materializzato davanti.

La bestiola, reggendosi sulle fragili zampette, pareva volergli scrutare l'anima con quei suoi occhi di un azzurro chiarissimo, splendenti come due laghi ghiacciati. Le lunghe orecchie, terminanti in due ciuffi neri, avevano la punta ripiegata e il muso, dolce e affusolato, sembrava far trapelare una certa tristezza.

Avanzò verso di lui e miagolò. Il verso che emise, però, si tramutò presto in un ruggito, un rombo di tempesta, un richiamo mesto, accorato.

«Cosa vuoi da me, bestiaccia? Non ho nulla da darti! Vattene via!» esclamò il giovane gesticolando con le mani, ma la cucciola non si mosse. Il soffice pelo bianco, che la rendeva simile a una nuvola candida, vibrava al ritmo dei suoi miagolii.

«Smettila! Zitta!» ordinò, ma le sue parole andarono a vuoto. La lince si acquattò a terra. Il suo clamore si fece più sonoro, insistente. Pareva richiamarlo, ammonirlo, supplicarlo. Le sue iridi erano pezzi di un firmamento in tempesta, nebulose e limpide, quasi spettrali.

«Insomma! Basta!» urlò ancora Erik, facendo per sferrare un calcio nella direzione della cucciola, che però si scansò agilmente, senza spezzare il contatto visivo con il ragazzo, e gli soffiò. Cominciò a saltellare sul posto, avanzando a poco a poco nella direzione del giovane, che la fissava senza sapere come comportarsi. Era solo una creaturina di piccole dimensioni, poco più grande di un gatto. Cosa avrebbe potuto fargli, se anche l'avesse attaccato?

All'improvviso, la lince, che era ormai vicinissima alle sue gambe, addentò l'orlo dei suoi pantaloni e cominciò a tirare con forza.

«Ehi! Ma cosa fai? Mi strappi i pantaloni così!» esclamò il ragazzo provando a divincolarsi, ma essa non era intenzionata a lasciare la presa. Stringeva le mascelle, piantando gli artigli nel terreno e lasciando dietro di sé piccoli solchi. Certi suoi strattoni erano così forti che al giovane sembrava quasi di perdere l'equilibrio.

Erik digrignò i denti, preso dall'irritazione. Diede alcuni colpetti con il bastone alla bestiola, non volendo farle del male. Vedendo però che non si muoveva, in uno scatto d'ira, fulmineo, scagliò il legno come una lancia. Vide quello strisciare nell'aria come una biscia bruna, per poi conficcarsi nel terreno soffice. Si chinò e, senza curarsi della propria irruenza, avvolse le mani attorno all'esile corpicino della piccola, teso per lo sforzo. L'animale, stranamente, non sembrò farci caso.

A quel punto, il giovane fece per allontanare la cucciola da sé con la forza delle braccia, senza risultato. Cominciò quindi a strattonare il corpicino, scalciando alla rinfusa. La bestiola si teneva forte a lui, serrando ancor più le zanne e ignorando l'inutile violenza che quello stolto ragazzo stava utilizzando contro di lei.

Ma come poteva lui sapere chi era lei in realtà? Come poteva immaginare che quella piccola anima era già stata protagonista di un'altra storia, molti anni prima? E come poteva giungere alla conclusione che essa sarebbe irreversibilmente entrata a far parte della sua storia?

All'improvviso, l'aria fu attraversata da un rumore, quello di un tessuto che si strappa.

La piccola lince bianca si ritrovò catapultata all'indietro, con un brandello dell'orlo dei pantaloni di Erik in bocca. Per qualche secondo i due si fissarono in silenzio.

Quello scambio di sguardi era un enigmatico gioco, una partita a cui nessuno dei due sembrava voler porre fine.

La cucciola non miagolava più. Si limitava a osservarlo, senza mollare il pezzo di stoffa. Sembrava volergli comunicare qualcosa, trasmettergli un'informazione che lui doveva sforzarsi di cogliere. Erik scrutava quelle piccole, lucide iridi come si contemplerebbe il proprio riflesso tremolante in una pozza d'acqua. Più le guardava, più le assimilava alle proprie, per luci, colori e sfumature.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora