~ Capitolo cinque ~

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Non appena Clio finì di parlare, collassò al suolo.

Erik era sconvolto: cosa stava succedendo alla sua sorellina? Non era da lei perdere la ragione in quel modo, usare lemmi così complessi, senza un nesso logico. Come poteva una bambina di nove anni concepire un discorso del genere se neppure lui, che di anni ne aveva sei di più, ne aveva capito il senso? Già aveva dimenticato ogni parola. Tutto era scivolato nelle sue orecchie, lesto, per poi sfuggirgli prima che potesse anche solo tentare di afferrarlo. Solo un parco timore era rimasto impresso nel suo petto.

Si affrettò a soccorrere la piccola, preoccupato come non lo era mai stato prima di quel momento. «Clio, Clio! Oh, santi Naxum, Clio!» la richiamò disperato, scuotendola. Non reagiva, immobile e inerte, un gracile ramoscello avvolto dalla neve. Il respiro era impercettibile, le braccia languide e prive di forza, il cuore batteva a fatica.

«Clio, ti prego! Clio...» uggiolò il ragazzo, nel vivo terrore di vedere la bambina quietarsi per sempre. Appoggiò la fronte contro quella della sorella, fredda come il vento invernale, sforzandosi di non cedere alla disperazione.

Dopo secondi che sembrarono durare un'eternità, finalmente, la piccola spalancò gli occhioni, in apparenza tornati quelli di sempre. Erik attese qualche istante prima di permettere al sollievo di sottometterlo: voleva essere sicuro che la sua non fosse una visione dovuta alla speranza, che sua sorella stesse davvero meglio. L'abbracciò, e capì che era vero: il corpicino era esile, caldo e morbido, il cuore era tornato a tamburellare contro la cassa toracica e il respiro era regolare.

«Ti sei ripresa! Accidenti, Clio, stavi delirando!» esclamò senza lasciarla, neppure quando la sentì tremare, neppure quando lacrime tiepide gli inumidirono il maglione.

«E-Erik...» mormorò Clio con un filo di voce. Due gocce erano cristallizzate ai lati degli occhi fragili e tremolanti, specchio della sua anima inesperta, confusa, impaurita.

«Sì, sorellina, sono io» sussurrò Erik con il tono più affettuoso che riuscì a ottenere.

«D-devi andare v-via» proseguì, pressando le manine contro il petto del giovane.

Lui si rattristò a udire quelle parole, ma la sorpresa offuscò la tristezza: «Clio, so che sei ancora sconvolta per ciò che ti è successo, lo sono anch'io, ma...».

«Ho detto che devi andartene!» gridò la bambina. Vincendo il languore dei suoi muscoli intorpiditi, si alzò in piedi e spintonò il fratello, allontanandolo da sé con inattesa violenza. «Non ti avvicinare!»

Il ragazzo non la riconosceva più: di solito sua sorella era tenera e gentile. Perché ora si comportava così? Cosa le aveva fatto? Era forse ancora in tranche?

«Per favore, sorellina, non fare così. Non ti farò del male. Fidati di me» sussurrò dolcemente Erik, provando a essere convincente. Se c'era qualcuno che non stava capendo niente di ciò che stava succedendo, quello era lui. Di certo non avrebbe mai torto un capello a sua sorella. Come avrebbe potuto pensare di fare una cosa del genere?

«Come posso fidarmi?» chiese Clio, un uragano tempestava nella sua voce acuta.

«Perchè sono tuo fratello, Clio! Ti giuro che non so niente di tutta questa storia! Del colore dei miei occhi, del fiocco di ghiaccio, della tua crisi di nervi! Nulla!» urlò il giovane. Aveva bisogno di spiegazioni. Di certo si sarebbe rivolto a suo padre, quel giorno stesso.

Clio smise di tremare a sentire quelle parole. Il suo respiro si quietò e le lacrime smisero di rigarle il volto. «D-davvero?» balbettò.

«Sì, sorellina. Non ti farei mai del male» ribadì Erik.

La più piccola, rasserenata, corse dal fratello e si lasciò abbracciare. «S-scusa, fratellone. Non avrei dovuto dubitare di te. Ma non sai che grande paura ho avuto, a vedere quel fiocco di ghiaccio formarsi nelle tue mani. Temevo che...» Si interruppe e per poco non riprese a lacrimare.

Erik la strinse più forte, gesto che sorprese persino lui, che di solito non si curava delle emozioni altrui. Quella, però, era sua sorella, ed era in difficoltà. Solo un mostro non avrebbe provato a confortare una creatura indifesa come lei, in balia di quel lupo dal manto di oscurità che è il terrore. Terrore portatore di follia, terrore portatore di rovina. La sua Clio non sarebbe andata in rovina, non finché lui respirava, non finché la luce continuava a brillare nelle sue pupille.

«Stai tranquilla. Puoi sempre confidare nel tuo fratellone. Solo, cerca di stare calma. Mi hai spaventato, prima, quando hai avuto quella crisi di nervi. Parlavi a sproposito, forse avresti bisogno di riposare. Chiedi a nostro padre di rivolgersi al dottor Tihr. Tutti dicono che sia il miglior medico della regione. Io non ci credo molto, ma...» mormorò il maggiore.

«Non ci sarà bisogno, sto bene. Sarà meglio che torni dentro, Miss Serith mi starà aspettando» disse la principessa.

«Oh, non pensare a Miss Serith. Gli istitutori sono solo una palla al piede. Dille che non sei stata bene. Beata te che hai una scusa per non fare lezione...» propose Erik.

«Te l'ho già detto: io sto bene» concluse Clio, dirigendosi in corsa verso l'ingresso.

Erik la guardò allontanarsi, pensieroso. La neve lo circondava, imbiancandogli i capelli neri come l'ala di un corvo.

"Che strana, mia sorella. Sprecare così un'opportunità del genere. Perché intestardirsi a tal punto? Chi mai vorrebbe fare lezione quando può evitarlo?" si disse. "Beh, ora pensiamo a Golmer. Ho ancora qualche palla di neve, ma forse dovrò farne altre. Quello è un osso duro!" Si inginocchiò, accingendosi a radunare altra neve tra le mani tiepide.

«Erik...»

Un sussurro fece vibrare i timpani del ragazzo, che si fermò di scatto.

«Cos'è stato? C'è qualcuno?» chiese guardandosi intorno, per scorgere da chi provenisse quel verso soffocato, quasi un gemito.

«Erik...»

Il giovane, confuso, continuò a scuotere ripetutamente la testa e a strofinarsi le palpebre per vedere meglio. Ma nulla. Quel rumore si fece più sonoro, più potente. Era qualcosa che proveniva da dietro le sue spalle. Si voltò e il suo sguardo deviò nella direzione del fiocco di ghiaccio che, ancora a terra, sembrava fissarlo con i suoi indistinguibili occhi di cristallo. Si avvicinò con cautela e prestando attenzione a ogni movimento. Si chinò, tese l'orecchio e ascoltò: era da lì che proveniva la voce. Allungò verso di esso una mano tremante, mentre la curiosità già gli dipingeva il volto. Sfiorò la sua superficie liscia con la punta di un dito, e quel contatto ebbe su di lui un effetto strano: era come se non avesse più un corpo. Le braccia gli si fecero molli e le gambe fragili. Dal fiocco si scaturirono scintille azzurre, che cominciarono a fluttuare attorno a lui, circondandolo.

Ognuna di quelle piccole fiamme pareva sussurrare il suo nome. Riusciva a percepire le loro voci tutte uguali tra loro, fredde, sottili, più simili a sibili, come quelli di un serpente. Si alternavano, si mescolavano, creando un'eco scrosciante, continua. Erik era sempre più confuso e preoccupato. Non sapeva cosa fare, né come muoversi. Era come se il suo corpo fosse stato paralizzato. Il battito del suo cuore si fece più violento e il respiro più affannoso. Tutti quei mormorii intorno a lui gli stavano facendo venire un forte mal di testa.

Non riusciva più a distogliere l'attenzione da quelle luci intermittenti: qualcosa glielo impediva. Era come se i suoi occhi e quelle scintille fossero stati tra loro legati tramite un filo invisibile, sottile ma molto solido, che non poteva essere tagliato neanche dalla più affilata delle lame. Ascoltava rapito quel canto glaciale, fatto della ripetizione della stessa parola: "Erik". La testa gli pulsava e le orbite oculari gli bruciavano. Provò a gridare, ma dalla bocca non gli uscì alcun suono.

Un buio penetrante lo avvolse, e si sentì trascinare in una dimensione nuova, sconosciuta, dove l'unico suono udibile era quel mormorio arcano, unito al suo calmo respiro. Le fiammelle l'avevano seguito anche lì, e continuavano a chiamarlo. Fu quasi tentato di rispondere al richiamo, in modo da porre fine a quell'esperienza. Improvvisamente, una vibrazione scosse le voci misteriose. Sembrarono sincronizzarsi, e in breve ritrovarono l'armonia.

«Erikyel Mygor Nakyen, sei pronto ad accettare il tuo Fato?» mormorarono tutte insieme.

«Cosa?» chiese, con gocce di sudore che gli imperlavano la fronte e il respiro mozzato. Erano anni che nessuno si rivolgeva a lui con il suo nome completo, che lui detestava. Ciò non fece che incrementare quel senso di freddo che si spandeva nel suo corpo, ghiacciandolo. La domanda che arrivò dopo lo lasciò del tutto sgomento.

«Sei pronto a scoprire chi sei?»

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora