~ Capitolo diciassette ~

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Erik mosse un passo nella direzione del ponte. Le grida e gli strepiti sembrarono farsi più forti in lui, ma li ignorò.

Appoggiò il primo piede su una trave, che scricchiolò sotto il suo peso. Subito lo raggiunse il secondo, e per poco il ragazzo non percepì il suolo crollare sotto di sé, facendolo sprofondare nel buio. Quando ciò non avvenne, si costrinse a proseguire, un passo alla volta.

Il tempo batteva al ritmo del suo cuore in tumulto, pulsandogli nelle orecchie con ostinazione. Il vuoto lo fissava vorace con i suoi occhi neri e penetranti, allungando verso di lui le nerborute braccia e solleticandogli i piedi. Il giovane non se ne curò, concentrandosi sulla sua meta e avanzando con cautela.

Il ponte vacillava e schioccava sotto di lui, minacciando di cedere. A ogni passo sembrava sempre più fragile, ma lui non rinunciò. Lui non aveva paura. Non più. Avrebbe varcato il confine, avrebbe intrapreso la sua avventura senza timore. Ora lo sapeva: lui non sarebbe morto. Sarebbe sopravvissuto.

Ormai mancava veramente poco. Il cielo incombeva sulla sua testa, gravando ulteriormente sul suo peso già eccessivo per la precarietà di quelle assi. Il vento agitava il legno, facendolo fischiare violento. Erik faticava sempre più a mantenere l'equilibrio, per cui strinse più forte il bastone davanti a sé, usandolo come l'asta di un funambolo.

«Coraggio, Erik. Ancora un piccolo sforzo!» mugolò sottovoce, per spronare se stesso a proseguire lungo quegli ultimi due metri. Quasi temeva che, alzando la voce, la passerella potesse definitivamente spezzarsi.

Solo quando i suoi stivali toccarono finalmente la roccia sull'altra sponda, Erik poté finalmente esultare. Ce l'aveva fatta. Aveva abbandonato le Montagne di Ghiaccio. Aveva detto addio a quella che per lui era sempre stata una dimora sicura.

Sapeva che la tristezza era la sensazione che avrebbe dovuto impregnare il suo animo, come un pozzo senza fondo che l'avrebbe consumato lentamente e dolorosamente, uccidendolo ogni giorno un po' di più. Eppure si sentiva... felice. Il dolore si era dissolto, ancorandosi a Rocca di Ghiaccio e al legno marcio di quel ponte. Le catene che lo legavano alla sua famiglia e ai suoi amici erano spezzate. L'ignoto lo avvolgeva con il suo aroma invitante, e ora che vi era dentro voleva solo proseguire. Allargò le braccia e lasciò che l'aria gli sfiorasse le dita, sorrise e respirò. L'odore del terriccio e della pioggia lo pervase di piacere.

Avanzò di pochi passi. La roccia fu sostituita da terriccio morbido, da cui sbucava un folto strato di erba. Le lacrime del cielo ornavano di raffinati ricami cristallini le foglie degli arbusti di ginestra, che si affacciavano senza timore dal precipizio, allungando avventatamente le fronde verdeggianti. A un centinaio di metri di distanza, leggermente sopraelevato, si scorgeva l'imbocco di un fitto bosco.

Per quel poco che poteva vedere, Erik rimase colpito dal senso di vita che emanavano quelle piante, non spoglie e rinsecchite come quelle della Brumandra, la selva da lui percorsa per giungere all'Oracolo, ma vivaci, rigogliose, lussureggianti. Il verde della natura si rispecchiava nelle sue pupille, volendogli donare la speranza. Sembrava che, attraversando quel ponte traballante, avesse varcato il portale per un universo parallelo. Eppure alle sue spalle si trovavano le sue montagne, con le loro vette perennemente avvolte dalla nebbia e i loro fianchi desolati.

«E io che non volevo lasciare le Montagne di Ghiaccio... Perché non ci ho pensato prima a venire qui?» si chiese. «Che infarto si sarebbe preso Shaze! Cosa avrebbe detto a mio padre, di fronte alla mia sparizione?»

Sghignazzò, nonostante il bruciore alla gola non si fosse placato.

«Verosimilmente niente. Sarebbe morto prima».

Boccheggiando, si sedette in terra e rilassò i muscoli, ignorando i pantaloni che cominciavano a bagnarsi. Chiuse le palpebre e lasciò che la fatica abbandonasse pian piano il suo corpo.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora