~ Capitolo ventisette ~

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«Vjana! Eccoti, finalmente!» esclamò Erik con un sorriso finto, fingendo che non fosse accaduto nulla. Si alzò in piedi e le corse incontro, facendo per offrirsi di portare le anfore. Lei, però, lo ignorò e si diresse verso la sua capanna, vicino alla quale adagiò i due vasi, dai quali straripava un po' d'acqua che scendeva in placidi rigagnoli fino al suolo, dove la terra l'assorbiva vorace. Vi si rintanò poi all'interno, sparendo nell'ombra.

Il ragazzo aspettò che uscisse, tamburellando a terra il piede destro e soffiando sul ciuffo ribelle, ma lei rimase nascosta nell'oscurità. Lui, a quel punto, si insospettì. Mosse qualche passo in direzione della costruzione, così da riuscire a scorgerne l'interno. Si chinò e la vide: Vjana era rannicchiata sul muschio, e giocherellava con un ramoscello, pensierosa. Borbottava parole sconnesse, il volto era una maschera di tensione.

«Vjana, che succede?» le chiese, preoccupato. Non ottenne risposta.

«Ora sei di nuovo muta? Credevo avessi fatto qualche progresso, dal nostro primo incontro!» esclamò poi, in un vano tentativo di tirarla su di morale. La ragazza continuò a far girare tra le mani il rametto, fissandolo come se fosse stato il suo scettro. Non guardava neppure il compagno, come se non ci fosse stato.

Erik si sentì improvvisamente invisibile, di fronte a quel misterioso atteggiamento. In un gesto istintivo si guardò le braccia, ma le vide sode e toniche come al solito. Tirò un sospiro di sollievo: non era un fantasma. La sua anima non era ancora stata capace di ucciderlo.

«Vjana, perché fai così?» tentò, provando ad avvicinarsi ancora un po'. «Ha a che fare con me? Pensi ancora che io sia pericoloso? Perché non lo sono, nonostante la mia reputazione.»

«N-non è questo...» replicò all'improvviso Vjana.

«E allora cos'è?» si intestardì lui, guardandola come se la volesse sbranare. Il silenzio che seguì lo fece infuriare. «Parla, Vjana!» gridò, sentendosi pizzicare gli occhi. La sua voce si era fatta per un momento più profonda, cavernosa.

La giovane ne ebbe paura, sussultò. «Ho percepito qualcosa» mormorò, la voce tremante. Il ragazzo non poté fare a meno di meravigliarsi, di fronte a quella misteriosa rivelazione.

«Hai percepito cosa?» domandò, avido di particolari, bramoso di conoscenza.

Quiete.

«Hai. Percepito. Cosa?» replicò, questa volta a denti serrati.

Sentì le sue iridi farsi fredde all'improvviso, e cercò di placarsi, memore delle precedenti esperienze. La stava spaventando, e lo vedeva. Non riusciva però a impedire all'anima di insinuarsi, ospite indesiderata, nel suo cervello, di comandare i suoi gesti e le sue reazioni. Sentiva i sussurri maligni dello spettro rincorrersi nella sua testa, e non poteva far nulla per resistere loro. A quelli, già di per sé deleteri, si aggiungeva la sua innata curiosità. Ciò che risultava di lui era una belva pronta ad attaccare, un mostro che incuteva terrore.

«N-non siamo soli» balbettò Vjana, tremando.

Erik si immobilizzò. «Che cosa? Non avevi detto che Abjiondra era la "Foresta abbandonata"?» chiese. Ormai il fuoco nelle sue orbite si era spento, e la sua espressione era più rilassata, seppur sconvolta dal segreto svelato.

«Questo è ciò che ho sempre pensato, in tutti gli otto anni che ho trascorso qui. Mi fidavo di ciò che mi era stato raccontato. Eppure...» cominciò la ragazza. «Eppure oggi ho sentito qualcosa. Un presentimento forte, qui dentro il mio cuore.» Si picchiettò il petto con l'indice. «C'era già prima, in realtà, ma più fioco. Una presenza inibita, che si è riaccesa nel momento in cui ti ho visto ed è cresciuta insieme al battito, a ogni passo che facevo verso il lago. Giunta a destinazione, si è materializzata davanti a me una luce fortissima. Ha impiegato poco a prendere forma e, quando non ero più accecata, ciò che ho scorto era... una piccola lince bianca.»

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora