~ Capitolo trentasette ~

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Palpebre strette. Denti digrignati. Mani sulle tempie.

Un sottile baluginio sfiorava la pelle di Erik.

La pietra tremolò, sollevandosi di qualche millimetro.

Poi, il bagliore si spense, come un sogno soffocato dal sopraggiungere del risveglio.

Troppo poco. Troppo debole la magia. Troppo superficiale il contatto.

«Concentrati, erede, concentrati! Senti il tuo Nam! Ascolta il suo sussurro, le onde sonore che emana in te, l'eco della tua anima! Ascoltalo! Non averne paura!»

Veluna era algida, altera, un generale. Le sue parole non ammettevano repliche. Aveva deciso lei stessa di addestrarlo, di prepararlo al meglio ad affrontare i pericoli che si innalzavano minacciosi di fronte a lui, barriere di spine e dardi acuminati. Ignorava le lamentele del ragazzo sfiancato, lo tempestava di comandi, non gli lasciava il tempo di riprendere fiato.

«La sorte non attende. È un nemico che trama nell'ombra, che tende i fili e li trancia, spietato. È un abisso del quale non si scorge la fine, nel quale solo i più intrepidi ardiscono di tuffarsi, consapevoli dell'impossibilità del ritorno. E di questi, non rimangono neanche le ossa. È una guerra che incombe, un clamore che si fa sempre più appresso, un richiamo di sangue» gli spiegava, terrorizzandolo più che incoraggiandolo.

Erik si impegnò di più, lo fece con tutte le sue forze. Respirò e cercò di aggrapparsi all'ossigeno nella sua corsa attraverso il corpo. Si sforzò di sentire la forza scivolare lungo le vene, la magia sprigionarsi dalle sue cellule, il Nam incitarlo pacato.

Una piccola nuvoletta gli avvolse il corpo, come una coltre di rada bruma, per poi concentrarglisi in corrispondenza degli occhi.

Un mugolio sofferente. Un rantolo furioso. Un gemito stizzito.

«Avanti, forza, non ti arrendere! La forza fisica non conta!»

Tutto fu inutile: il Nam si celava, giocando a nascondino nei meandri del suo cuore. Non udì alcuna voce infantile a soccorrerlo.

Di nuovo, l'aura si dissipò.

«Basta! Non ne posso più! Non ci riesco!» sibilò Erik. Boccheggiò, fulminando il masso posto di fronte a lui, che gli era stato ordinato di sollevare. Era tutto troppo pesante. Le aspettative, l'avvenire, il destino. La sorte di Hector, appesa a un filo di ragnatela. Tutto racchiuso in quel macigno, che pareva ricambiare il suo astio.

Sedette stringendo le ginocchia tra le braccia, il respiro affannato, la fronte madida di sudore. Cercò un coccio di cielo tra le fitte fronde, come un uccello che prova a individuare uno spiraglio attraverso il quale spiccare il volo. «Perché è così difficile? Con Riwal non era stato così faticoso, e Hector mi solleva con tanta naturalezza, come se fossi un fuscello!» mugugnò. Appoggiò il mento sulle rotule, sbuffando. La brezza gli smosse una ciocca di capelli, che gli coprì l'orbita destra. «Ma come posso concentrarmi se, a qualche centinaio di metri, un mio amico sta soffrendo a causa mia?»

Veluna si affiancò a lui. Per un istante temette che volesse punirlo, ma il mormorio che emise era comprensivo: «So come ti senti. Vedo che ci provi, che ti impegni, e sento anche la pena che provi per Hector. Lui, però, non sta soffrendo a causa tua. Anzi, tu sei l'unico che può salvare lui e le altre Anime Gelide.»

«E come potrò fare, se non riesco nemmeno a sollevare un sasso?» bisbigliò il ragazzo.

«Ci riuscirai, giovanotto. È una questione di fede: vedo che, in fondo in fondo, la tua continua a vacillare. È così anche per me, e io sono l'oracolo del mio branco. Devi però superare questa mancanza di fiducia. Vivi il tuo legame con lo spazio come se esso fosse una manifestazione onirica, un'estensione empirica del tuo spirito. Ogni determinazione sensibile è tua, come tuoi sono i sogni. L'unione è intima, indissolubile. Dunque sogna, sogna a occhi aperti, come un bambino!»

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora