~ Capitolo otto ~

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Erik vide la vita scorrere davanti ai suoi occhi in pochi istanti. Quanto tempo gli restava? Minuti? Secondi?

Forse anche meno, se quel pugnale l'avesse colpito al cuore o alla giugulare.

Tutto ciò che sarebbe rimasto di lui sarebbero stati un grido lasciato a metà e un corpo insanguinato, vuoto e spento, troppo giovane per unirsi alla terra.

Golmer era sempre più vicino, sulla lama vide il riflesso del sangue che presto l'avrebbe macchiata.

Il suo sangue.

"O santi Naxum! Golmer deve essere andato fuori di senno!" pensò Erik, tremante. La visione delle scintille glaciali tornò a invadergli la mente.

«Paventa quest'uomo e quelli come lui. Non è folle, è solo sottomesso al destino, una pedina della sorte, come te. Fuggi, fuggi lontano, salvati dalla morte!» mormorò una prima voce.

«No! Non farlo! Non mostrarti come un codardo, di fronte a gente che dovrebbe temerti e rispettarti! Resta, combatti per ciò in cui credi, ascolta la tua anima!» gridò un'altra, perentoria.

Il ragazzo, alla fine, non sapeva neanche lui perché, decise di restare. «Ehi, Gollie, ne possiamo parlare...» provò a dire, ridendo per nascondere la disperazione. «Sono pur sempre il tuo pupillo, il tuo diligente apprendista. Forse non sembrava, ma sono sempre stato attento alle tue lezioni!» Cercò invano di ottenere il controllo del suo corpo e di fermare le gambe frementi.

Il precettore emise una risata nervosa, gelando il sangue nelle vene del ragazzo. «Già, diligentissimo: sono quasi dieci anni ormai che vi istruisco e non avete ancora imparato a rivolgervi a me dandomi del "lei".»

«M-ma io do a tutti del "tu"! Vallo a chiedere a Shaze!» si difese Erik.

«Non mi importa! Sono chiacchiere inutili! "Tu", "lei", non importa! Ora fermo e zitto: qualche secondo e sarà tutto finito» replicò Golmer, il pugnale diritto davanti al petto, più uno strumento di difesa che d'attacco. Era evidente che non fosse addestrato all'uso delle armi, ma ciò non rassicurava Erik: lui era comunque inerme.

«E tu pensi che io abbia intenzione di stare fermo qui a farmi ammazzare da uno sciocco come te?» si intestardì Erik. Prendere tempo era l'unica arma a sua disposizione.

«Non darmi dello sciocco, ragazzo! Guarda che se parli ancora ti ammazzo!» rispose Golmer. Mancava poco, non più di un metro lo separava dalla fine.

«Vedi? Ora sei tu che mi dai del "tu"» sdrammatizzò Erik.

«Ti ho detto che non me ne importa nulla! Ora fai silenzio, che devo concentrarmi!»

«È proprio quello che sto cercando di impedirti, caro istitutore» rispose il giovane con un sorrisetto sornione.

«Basta sprecare parole! Non ti conviene, visto che tra poco non esisterai più!» sbottò l'uomo.

«Non esisterò più? Ah sì? E che fine hanno fatto tutti quei barbosi discorsi sull'immortalità dell'anima, tutti quei testi che mi hai fatto tradurre dal rathvee antico? Per me, quello sì che è stato uno spreco di parole!» Rise nervosamente, sperando di scorgere un cenno di ilarità nel volto dell'avversario, il quale perseverava a fissarlo con follia omicida. «Dai, facci una risata su e metti via quel pugnale! Come faresti senza il tuo pupillo a tirarti su di morale?»

Golmer sorrise maligno, mettendo in mostra i denti scheggiati e il ponte d'oro che lo faceva sembrare ancora più minaccioso, un pirata senza la sua nave, un corsaro privato del bottino. «Ti sembro davvero così sciocco?»

«Onestamente, sì» replicò il ragazzo.

Il giovane confidava più che poteva in ciò che era e si sforzava di rimanere se stesso, il solito scherzoso, dispettoso, irriverente Erik. Dalla sua coltre di scaltrezza cercava di trarre il coraggio necessario per affrontare quello sguardo, quel pugnale, quella sorte ingiusta. Ma a che poteva servire, se ormai si aggrappava alla vita come al bordo di un precipizio?

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora