~ Capitolo quarantaquattro ~

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Erik avrebbe voluto stare per sempre lì, inginocchiato accanto alla fanciulla che per prima aveva risvegliato in lui un frammento d'essere che credeva di non possedere. Sapeva tuttavia che non era possibile, che presto avrebbe dovuto lasciarla andare, nascondere quelle iridi vitree sotto strati di terra fredda, insieme a tante altre, non faceva differenza se di malvagi o di innocenti.

"Dovrei chiuderle gli occhi" pensò, ammirando ancora una volta quei laghetti montani che l'avevano affascinato fin dal loro primo incontro. Esitò: non sapeva se ne sarebbe stato capace. Fece scivolare le dita attraverso tutto il suo viso, sfiorandole il naso a punta e le guance bianche, fino alle labbra pallide. E fu lì che percepì un lieve, impercettibile soffio. L'accenno di un respiro.

"È viva... Vjana è ancora viva..." Una fievole speranza lo invase.

La sollevò con delicatezza, facendo sì che la testa di lei poggiasse sul suo petto. Avanzò con cautela, facendo attenzione a non muoverla, come farebbe un padre con la propria figlia assopita.

Si appropinquò a Rhyeno e Joyra, ancora stretti nel lutto. «Lei è viva» mormorò, abbassando lo sguardo su Vjana.

«Sì, lo è, ma non per molto. La ferita è troppo grave. E questo veleno – disse Joyra, passando un polpastrello sul rivoltante liquido verde – è l'unico motivo per cui è ancora viva. Ne riconosco la consistenza e l'odore: è linfa di Jushka. È molto usata nella tortura, per inasprire la sofferenza degli accusati: rallenterà la sua agonia, ma è comunque destinata a morire».

«E l'unguento miracoloso di Tarven? È finito, ma potremmo pur sempre procurarcene altro.»

«Sarebbe fallace: la miscela potrebbe curare la ferita, ma rimarrebbe comunque il veleno a vanificare la sua azione. Rassegnati, Erik: non c'è modo di salvarla.» Il ragazzo non volle crederci: si rivolse dunque a Rhyeno, supplicante.

Il drago abbassò il muso sulla giovane e la annusò, per poi passare a Erik; le pupille gli si dilatarono. Senza dire una parola, si acquattò e, servendosi della lunga coda, spinse sulla sua schiena le Anime Gelide. Essi non fecero domande. Il dorso era ampio e rigido, si aggrapparono alle scaglie più appuntite per non cadere.

Quando la creatura spiccò il volo, ogni albero nei paraggi venne sradicato da una potentissima raffica. In pochi battiti d'ali si trovarono in alto, immersi nell'alba, con sotto i piedi un frusciante oceano di giada. Lo stomaco di Erik si contorse: stava cavalcando un drago. Lo stava facendo per davvero. Il suo assurdo sogno era diventato realtà. Aveva seguito le orme del suo antenato, si trovava a cavalcioni della medesima groppa su cui egli si era seduto, volteggiava nei medesimi cieli.

Il motivo per cui lo faceva, però, era ben diverso.

Non aveva il desiderio di comandare, di diventare il re dell'universo. Non c'era tempo per idee velleitarie, per propositi di gloria e dominio. Non c'era spazio per il piacere della libertà.

Ora, esisteva per lui solo Vjana.

Aggrappandosi più forte con la destra alle squame, afferrò un lembo del lacero abitino celeste. «Non temere, Vjana. Ce la faremo» bisbigliò, premuroso.

«Ma perché tieni così tanto a lei, Erik? È poco più di una sconosciuta per te» domandò Joyra. I suoi vestimenti di foglie frinivano nella tormenta, i capelli volteggiavano come nastri d'oro.

«Non lo so nemmeno io» replicò il principe. «È qualcosa di complesso, un sentimento strano, che non ho mai capito. È agrodolce.»

«Credo di conoscere la parola per definire questo sentimento. L'ho sentita pronunciare tante volte, anche se non l'ho mai compresa fino in fondo» disse lei.

L'erede di Frost SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora