Capitolo 20

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Amber's pov:

Ma cosa mi è passato per la testa?

E se mi avesse dato buca? Oh Dio mio.

Finii di bere il mio cappuccino e feci per alzarmi dal tavolino del bar, quando una voce alle mie spalle mi chiamò.

-Amber? Amber...sei tu?-

Mi voltai e apparì alla mia vista un uomo di bell'aspetto sulla cinquantina con una fotografia un po' stropicciata in mano.

Eccolo.

-Oh finalmente ti ho trovato, ci ho messo un po' a trovare questo bar. Sai, sulle cartine non è segnato- sorrise imbarazzato. Quella fossetta! Proprio come la mia.

Si sedette sul tavolino in cui ero seduta io precedentemente, così mi accomodai nuovamente. Mi sentivo a disagio, come se fossi fuori luogo. Mi sudavano le mani e puntavo lo sguardo ovunque apparte che sull'uomo accanto a me. A cosa diavolo stavo pensando quando proposi l'incontro? Non ero minimamente cosciente e consapevole di cosa stessi facendo; non dovrei mai combinare incontri con padri biologici mai conosciuti dopo una pessima nottata passata su un pavimento di legno.

Stupida, stupida, stupida.

-...e quindi, cosa mi racconti di te?- chiese dolcemente, con quella sua voce roca ma allo stesso tempo rassicurante.

Mi risvegliai immediatamente dal mio stato di trance.

-Uh?- scossi la testa per concentrarmi meglio e cercai di ricordare il resto del discorso, ma ogni tentativo fu vano.

-Scusami, è che sono così emozionato di poterti finalmente conoscere che non sto più nella pelle, ma capisco come possa essere tutto così confuso per te, anzi forse è meglio se ora me ne vado, ho creato fin troppi problemi- e così si alzò dalla sedia, pronto per andare; non so cosa mi prese ma agendo d'istinto lo fermai.

-No ti prego resta. Sono io che non stavo facendo nessuno sforzo, pensavo di aver commesso un errore, di aver affrettato troppo i tempi ma mi sbagliavo. Parliamo ti prego, ne ho davvero bisogno- iniziammo così a chiacchierare, prima in maniera un po' impacciata poi sempre più sciolta, proprio come padre e figlia, parlando del più e del meno ed io iniziai notevolmente a rilassarmi, come se tutta l'ansia si fosse dissolta. Inoltre mi offrì un altro cappuccino mentre lui ordinò un caffè macchiato.

Il pomeriggio passò velocemente e mi stupì il fatto di essermi trovata così bene con un estraneo. Anche se scoprii di avere molte più cose in comune con Bill, di quanto non credessi: ci accomunava lo stesso senso dell'umorismo e anche molte parti del nostro carattere.

Dopotutto avevo fatto bene a fare quella pazzia.

Nella strada del ritorno, quando ormai mancava solo qualche breve isolato a casa sentii squillare il mio cellulare, così mi affrettai a ripescarlo nel disordine della mia borsa.

Era Mia.

-Ehi- risposi in un sussurro, preparandomi al peggio.

-No ma io dico, sei impazzita? Volevi farmi venire un colpo? Perché non mi hai detto niente, lo sai che se c'erano dei problemi la prima con cui dovevi parlare ero io, scappare così non era un' opzione accettabile- inizò a inveire, tanto che dovetti allontanare il telefono dall'orecchio per evitare di rovinarmi l'udito e la lasciai terminare la sua lunga ramanzina, attendendo che si calmasse.

-Ho incontrato Bill-

-...qual'è stato il problema, cosa... No, scusa? Che hai detto?- domandò allibita, zittendosi e questo mi procurò un sorrisino, se era così efficace avrei dovuto dirlo prima.

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