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Alle mie parole, l'espressione sul volto di Eddie svanisce all'istante e qualunque parola in procinto d'esser pronunciata gli muore in gola. Si prende qualche istante per ritrovare la calma perduta.

«Bene.» sussurra «Sei libera di andare.»

Di fronte alla sua espressione amareggiata mi pento della mia risposta evasiva, che lui ha giustamente interpretato come una fuga.

Prima che io possa dire qualunque cosa, lui apre lo sportello, esce dall'auto e aspetta che io faccia lo stesso.

Caricandomi della stessa pazienza, esco anch'io e ritorno al freddo esterno del quale, per un po', c'eravamo scordati. Mi posiziono accanto a lui, ma non ne sembra felice.

«Il tempo è scaduto, Tamara. Come promesso non ti tratterrò qui un minuto di più.»

Alza il braccio in procinto di accendere un'altra sigaretta, ma io lo trattengo con l'accendino a mezz'aria per impedirgli di usarlo.

«Penso che noi non abbiamo finito ciò che avevamo da dirci»

«Ah, no?»

«Saliamo in casa, qui si congela.»

Mi guarda sorpreso, a bocca schiusa e con la sigaretta spenta attaccata alle labbra secche, come indeciso se credere o meno alla mia proposta.

Senza aspettare la sua risposta, lo tiro per la manica della giacca verso il vialetto e lui si lascia trascinare al mio seguito in silenzio. Entriamo in casa evitando qualsiasi rumore forte che possa far svegliare di soprassalto i miei. Lascio le scarpe bagnate dalla neve all'entrata e chiudo con estrema delicatezza la porta d'entrata. Saliamo le scale con molta attenzione e poi faccio lo stesso con la porta della mia stanza, una volta che Eddie c'è dentro.

Rivoltandomi verso di lui, lo trovo con la testa incavata nelle spalle tanto l'impaccio. Ora che siamo nel mio spazio, sembra a disagio. Mentre appoggia la giacca alla schiena della sua scrivania, osserva i miei oggetti sparsi lì sopra ma senza avvicinarsene. Poi, sceglie il posto vicino all'armadio, dov'era solito mettersi spesso le volte che veniva a casa mia, e rimane appeso a guardare un punto vuoto.

Mi siedo sul letto e gli porgo l'invito di fare lo stesso, ma lui preferisce rimanere lì dov'è. Stare in uno spazio più largo sembra più semplice, ma pensare che l'ultima volta che siamo stati qui dentro insieme c'era un'aria del tutto diversa tra noi, mi mette in un lieve disagio che non so fino a che punto io riesca a nascondere.

Mi sento al sicuro tra tutte le mie cose, nel mio territorio, ma la sua sola presenza fa passare tutto questo in secondo piano.

Siamo agitati entrambi, e questo non aiuta a mantenere un discorso equilibrato. Io mi faccio piccola, con le ginocchia strette contro il petto, lui invece è inchiodato ad un angolo della stanza, lontano più possibile da me.

«È ironico come abbiamo sempre preso d'impulso tutte le scelte sbagliate e ora non riusciamo a parlare per paura di peggiorare le cose» sussurro, rompendo l'imbarazzante silenzio che ci avvolge.

«Va bene proseguire a piccoli passi»

«Beh, almeno non scappi via» mormoro.

«Già.»

«Però, sai... Ho sempre voluto dirti un milione di cose da quando abbiamo rotto, eppure ora che sei qui non ci riesco più»

«Cosa ti frena?»

«Non lo so» sussurro, con occhi bassi.

«Lo so io. È Il fatto che non ci conosciamo più, o che non ci siamo mai conosciuti per davvero»

Sunglasses at Night 1984 | Eddie MunsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora