Rabbia

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La mia vita si era svuotata in un modo che non avrei mai creduto possibile.

Era come se il mondo avesse perso tutti i suoi colori, come se ogni cosa intorno a me fosse immersa in una nebbia grigia e soffocante. Ogni mattina, il risveglio era un dolore. Mi svegliavo nella mia stanza, i raggi del sole filtravano dalle tende, ma il calore che portavano non raggiungeva mai il mio cuore. Rimanevo a letto per ore, fissando il soffitto, incapace di trovare una ragione per alzarmi.

Era come se fossi congelata nel tempo, bloccata in quel momento in cui Angela mi aveva detto addio, il suo viso freddo e distante, le sue parole vuote, che mi avevano trafitto l'anima come coltelli. Non riuscivo a capire come avesse potuto fare una cosa del genere, come avesse potuto abbandonarmi con tanta leggerezza, come se tutto ciò che avevamo vissuto insieme non avesse significato niente per lei.

Il primo mese era stato il peggiore. Ogni giorno speravo che Angela tornasse, che fosse tutto solo un brutto sogno e che mi svegliassi con lei accanto, a dirmi che non dovevo preoccuparmi, che mi avrebbe sempre protetto. Ma quelle speranze si dissolvevano ogni volta che realizzavo la cruda realtà. Angela non sarebbe tornata. Mi aveva lasciato. E io ero sola.

Mi rifiutavo di parlare con chiunque. Mio padre cercava di avvicinarsi, di capire cosa mi stesse succedendo, ma non trovava mai le parole giuste. Ogni volta che mi chiedeva come stessi, rispondevo con un monosillabo o con il silenzio. Mi chiudevo nella mia stanza per ore, giorni interi, senza nemmeno la forza di alzarmi dal letto. A volte, saltavo i pasti, altre volte semplicemente guardavo il cibo senza riuscire a mandarlo giù. Non aveva sapore, proprio come la mia vita.

La mia mente era intrappolata in un ciclo infinito di ricordi. Ogni cosa mi riportava a lei. Se vedevo un libro, pensavo a come Angela mi avrebbe consigliato di leggerlo. Se sentivo una canzone alla radio, la mia mente volava a quei momenti passati insieme, quando tutto sembrava così bello. Ma la perfezione era stata solo un'illusione. Ogni piccolo dettaglio della mia vita era impregnato della sua presenza, e questo mi faceva impazzire. Perché non riuscivo a dimenticarla? Perché non riuscivo a smettere di volerle bene, anche se mi aveva spezzato il cuore?

Alcune notti mi svegliavo di soprassalto, convinta di averla sentita chiamare il mio nome. Mi sedevo sul letto, con il cuore che batteva forte, aspettando di vederla apparire nella stanza, ma non c'era nessuno. Il silenzio era assordante, e la solitudine mi avvolgeva come una coperta pesante, soffocante. Mi sentivo impotente, come se fossi stata privata di ogni controllo sulla mia vita.

E poi c'era quella sensazione di vuoto costante, quel buco nero nel petto che sembrava inghiottire ogni cosa, ogni emozione, ogni pensiero. Non sapevo come riempirlo. La tristezza si era trasformata in una compagna costante, una presenza opprimente che mi soffocava ogni giorno di più. Non riuscivo a vedere un futuro senza di lei. Come avrei potuto continuare a vivere sapendo che Angela non sarebbe mai tornata?

Avevo provato a parlare con mia madre al telefono, sperando che sentire la sua voce mi avrebbe dato un po' di conforto. Ma non riuscivo a trovare le parole per spiegare cosa stavo passando. Mi limitavo a rispondere a monosillabi, e alla fine lei aveva rinunciato, dicendo che mi avrebbe richiamato quando mi sarei sentita meglio. Ma quando sarebbe successo? Non c'era alcun segno di miglioramento. Ogni giorno era uguale al precedente, un susseguirsi monotono di dolore e solitudine.

Ero arrabbiata. Non solo con Angela, ma anche con me stessa. Perché l'avevo lasciata andare così facilmente? Perché non avevo lottato per noi? Forse se avessi detto qualcosa di diverso, se avessi reagito in modo diverso, le cose sarebbero andate meglio. Ma la verità era che Angela era determinata, e niente di ciò che avrei potuto dire avrebbe cambiato la sua decisione. E questo mi faceva impazzire.

Ero furiosa con lei per avermi lasciata, ma allo stesso tempo desideravo disperatamente che tornasse. Era un conflitto interno che non riuscivo a risolvere. Volevo odiarla per quello che mi aveva fatto, per il dolore che mi aveva inflitto, ma non ci riuscivo. Per quanto ci provassi, il mio cuore continuava a battere per lei, e questo mi distruggeva ogni giorno di più.

Avevo anche deciso di tornare nei luoghi dove eravamo state insieme, sperando di trovare qualche risposta, qualche segno che mi aiutasse a capire perché fosse andata via. Mi ero recata al bosco dove avevamo trascorso tanti pomeriggi, seduta su quella panchina di legno che sembrava così vuota senza di lei. Mi ero seduta lì per ore, aspettando, come se la mia presenza potesse evocarla, come se un miracolo potesse riportarla da me. Ma nulla accadde. Solo il vento freddo che soffiava tra gli alberi, portando con sé l'eco del mio dolore.

Più il tempo passava, più mi rendevo conto che non potevo continuare così, ma non sapevo come fermare la spirale discendente in cui ero caduta. Le persone intorno a me cominciavano a preoccuparsi, ma io non avevo risposte per loro. Non sapevo cosa dire. Era come se le parole mi fossero state rubate insieme al mio cuore. Ero un guscio vuoto, incapace di provare altro che dolore.

I miei sogni erano diventati il rifugio dove Angela tornava da me. Ogni notte la sognavo, ma quei sogni non erano mai sereni. Erano incubi mascherati da ricordi felici, dove vedevo il suo volto sorridente solo per vederla sparire poco dopo, lasciandomi in un'oscurità fredda e solitaria. A volte mi svegliavo con le lacrime agli occhi, altre volte urlando il suo nome, ma nessuno veniva a salvarmi.

Le poche volte che uscivo di casa, sentivo gli sguardi delle persone su di me, come se potessero vedere il mio dolore inciso sulla pelle. Gli amici di scuola mi evitavano, forse perché non sapevano cosa dire, forse perché la mia tristezza era diventata troppo evidente, troppo ingombrante. Le lezioni passavano in un batter d'occhio, senza che io riuscissi a concentrarmi su nulla. I professori mi chiamavano, ma la mia mente era altrove. Mi chiedevano come stessi, e io rispondevo sempre allo stesso modo: "Sto bene." Una bugia che ormai avevo imparato a raccontare senza esitazione.

La cosa più difficile era accettare che Angela avesse scelto di andarsene senza combattere. Mi aveva detto che era per il mio bene, ma io non riuscivo a crederci. Come poteva essere giusto spezzare tutto in quel modo? Mi aveva detto che mi amava, che mi avrebbe sempre protetto, ma alla fine mi aveva lasciato sola, abbandonata a questo abisso di dolore.

Mi chiedevo se pensasse mai a me. Se provasse anche solo un briciolo di rimorso per ciò che aveva fatto. La immaginavo da qualche parte, lontana da Forks, in una vita nuova e senza di me. Magari era riuscita a dimenticarmi, a voltare pagina. E questo pensiero mi faceva male. Era come se ogni giorno mi svegliassi con un coltello piantato nel cuore, e ogni respiro lo spingeva più a fondo.

Non sapevo quanto tempo avrei potuto resistere in questo stato. Avevo perso la voglia di fare qualsiasi cosa. Tutto sembrava inutile, insignificante. Ero un fantasma nella mia stessa vita, incapace di trovare una via d'uscita. Le giornate si trascinavano una dopo l'altra, e io rimanevo intrappolata in quel dolore senza fine, incapace di vedere una luce alla fine del tunnel.

La mia lotta interna sembrava non avere soluzione. Ogni volta che cercavo di convincermi che dovevo andare avanti, che dovevo trovare un modo per superare tutto questo, ricadevo nel buio. Il vuoto che sentivo dentro era troppo grande, e ogni tentativo di riempirlo falliva miseramente. Angela era stata tutto per me, e senza di lei, non sapevo più chi ero.

Non avevo ancora trovato il coraggio di fare pace con quella scelta.

BITE ME - SajolieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora