33. Non era arrivata ancora la sua ora

22 4 5
                                    

Sentiva delle gocce calde che le scivolavano sulle braccia, però il buio profondo le impediva di comprendere cos'era. Qualcuno le strofinava delicatamente la pelle e sentiva una dolce voce che pregava ed un'altra piuttosto dura che diceva di smettere, che ormai non ha più senso.

Veronica volle aprire gli occhi, ma scoprì che non riusciva e piano piano un dolore insopportabile padroneggiò ogni sua cellula. 

Avrebbe voluto che non fosse più toccata, ma non era capace di aprire la bocca.

Un implacabile tormento conquistò velocemente la sua mente: "sono viva". Com'era possibile!? 

Quando capì che le preghiere erano dette dalla sua madre e che l'altra voce era dalla zia che l'aveva affrontata prima di essere messa nell'ambulanza, pensò che non poteva affrontarle per niente al mondo, loro e nessun altro essere vivente. 

Non si era messa neanche lontanamente la domanda come l'avrebbe fatto se mai il suo gesto fallisse. Era troppo sicura che tutto sarebbe finito una volta ingoiate tutte quelle pastiglie.

Tutto il corpo le faceva sempre più male e il pianto soffocato di sua madre le straziava il cuore, decidendosi alla fine di aprire gli occhi soltanto per supplicarla di non piangere più e soprattutto di non strofinarle più la pelle.

Fu uno sforzo immane, quello di aprire gli occhi, gli sentiva come schiacciati di tutti i suoi peccati imperdonabili.

L'immagine davanti a sé era molto sfocata e la luce le sembrava entrare ardente nella sua testa.

Gli tenne socchiusi per abituarsi e vedere cosa stesse facendo Kathelene. Teneva un batufolo di cotone in mano e con le lacrime a ruscello, a posto del disinfettante, le passava le braccia e le gambe. "Allora erano le tue lacrime, mammina, che sentivo gocciolando caldamente su di me", pensò Veronica bruciando di vergogna, pena, impotenza, frustrazione.

"E adesso cosa faccio, Dio, aiutami, se il demone non ha voluto la mia misera anima!" 

Ogni suo pensiero gridava un'unica frase: "Perché sono ancora viva!?"

Entrò l'infermiera per chiedere a sua madre se ci fossero delle novità e la vide cosa stava facendo. Sbuffò impaziente, ripetendole quello che stava dicendo prima la zia: "Oramai non ha più alcun senso. La lasci così, non importa!"

Volle tirarle dieci pugni per aver osato parlare così a sua madre, ma non riuscì muovere neanche un muscolo.

L'infermiera uscì chiudendo la porta violentemente e Veronica decise di provare ancora di aprire gli occhi per poter vedere sua madre, per poter almeno guardarla, se non abbracciarla.

Perse nuovamente la conoscenza, non sapendo quanto tempo passò, ma quando aprì gli occhi incrociò lo sguardo pieno di frecce rimproveranti della zia, quale, non rispondendo al suo appena bisbigliato saluto, le chiese senza esitazione: "Ehi! Allora, visto che sei viva, chi è il padre?"

Cercò di girarsi per non vederla più, ma non riuscì. Cercò disperatamente lo sguardo di sua madre, che stava ancora sfregandola.

La zia intuì il suo pensiero e continuò, indicando Kathelene: "Vedi che disastro hai combinato? Come hai potuto pensare di fare questo ai tuoi genitori e a noi? Sei qua inerme da due settimane, dormiente tra la Terra e il Cielo. Ti hanno dato tutti per morta, che speranze non ne avevi da sopravvivere. Tua madre e arrivata da due giorni e non si è mossa dal tuo capezzale. Ti sta pulendo il sangue che è fuoriuscito perché non trovavano più un solo posto nelle vene per le flebo. E adesso cosa hai da dire? Chi è il padre? Chiunque sia ce lo devi dire, hai capito?"

Kathelene non emetteva alcun suono, se non i singhiozzi per il pianto soffocato. Le venne vicino e le prese le mani, iniziò ad accarezzarla e tra le lacrime riuscì dirle, con un filino di voce: "Veronica, figlia mia, bambina mia, quanta paura abbiamo avuto che non ti saresti più svegliata!", ma fu sopraffatta dai sospiri e non riuscì più parlare. Continuò con molta delicatezza accarezzarle i capelli e le mani.

Un destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora