Era una bellissima giornata soleggiata e Veronica pensò di andare a fare una passeggiata. Camminava guardando gli alberi del parco, ricordando come erano stati buttati giù quelli del giardino dei suoi genitori quando hanno raso a suolo tutto per la costruzione degli edifici.
Era lo stesso periodo, quando gli alberi scaturivano giocosi i petali dei loro fiori ancora indecisi di abbandonare le loro culle. Il profumo, il paesaggio, i colori, erano emozionanti ed era quello di quale Veronica ne aveva bisogno.
Ad un certo punto notò un ragazzo che la guardava e rammentò di averlo visto altre volte, da qualche altra parte, ma non si ricordava le circostanze.
Indifferente e anche un po' infastidita, proseguì con la sua camminata, ma dopo pochi passi le si avvicinò e le fece una di quelle domande scontate che sentono le femmine quando i maschi vogliono farsi notare e conoscere.
Era molto educato e gentile, oltre al bel aspetto, una veritabile copia di un gentiluomo.
Siccome Veronica non ci teneva fare lei la maleducata, non le riusciva mai bene, rispose cortesemente e scoprì che era piacevole parlare con lui.
Quella volta parlarono poco, ma come la mano del destino sembrava tirare i figli del loro cammino, si incontrarono per caso ancora un paio di volte.
Parlarono sempre di più, del più e del meno, niente di interessante. Il giovane sembrò invece interessato alla vita di Veronica, della sua famiglia e passato, scuola e compagne.
C'era qualcosa nel suo interesse che a Veronica sembrò un tantino esagerato e anche assai strano, quella inquietante sensazione che c'era qualcos'altro nella sua curiosità.
Consapevole quanto fosse paranoica, si limitò concludere che fosse interessato soltanto perché voleva uscire insieme a lei, e non fece altro che dimostrare con il suo approccio che fosse d'accordo.
La terza volta, imbarazzato, ma scegliendo con molta cura le parole, le disse che avrebbe voluto confessarle qualcosa di molto importante, forse per evitare di continuare a nutrire l'evidente approccio di Veronica.
Si sedettero su una panchina e cominciò con chiederle se si ricordava degli interrogatori e le accuse dopo aver appena compiuto i sedici anni.
Ma come avrebbe mai potuto scordare quelle settimane sue e delle sue amiche e compagne!?
Le confessò il vero nome, non quello con il quale si presentò il primo giorno e le chiese di mantenere il segreto sulla sua persona, sui loro incontri e chiacchierate e su quello che le racconterà, perché lui sarebbe in vero pericolo se i suoi capi lo venissero a sapere.
I lo promise, ma tanto è anche vero che se un segreto viene saputo di più di una persona, allora non è più affatto un segreto.
Le disse anche di non sapere il motivo per il quale stava rischiando, ma che aveva visto in lei quel qualcosa che gli aveva fatto riflettere che magari non era l'adolescente e la persona che sembrava o risultava dai suoi atteggiamenti.
Era un semplice impiegato in una delle fabbriche della città, ufficialmente, ma non realmente, e fu contattato nella primavera del 1982 per l'incarico del suo pedinamento, come conseguenza delle accuse subite di Veronica.
Era solito che operai, impiegati e ogni altro tipo di lavoratore era tale soltanto nell'evidenza del personale, ma che in realtà erano ingaggiati dai Servizi Segreti per spiare quelli che erano considerati pericolosi o contrari al regime comunista dell'epoca.
C'era una terribile angoscia e paura di pronunciare certe parole, neanche per sogno esprimere le proprie opinioni, convinzioni, pensieri, disaccordi tra i mura della propria casa.
Veniva spesso scoperto che le spie erano i figli, i genitori, i vicini, i parenti di ogni tipo o i ragazzi della porta accanto. Non ci si poteva assolutamente fidare de nessuno, come nessuno era escluso dalle punizioni che era meglio evitare.
Veronica aveva la sensazione che quel ragazzo fosse stato costretto ad accettare tale incarico, ma forse era solo perché ci voleva sperare che quel gentiluomo non avesse dato l'anima al diavolo di propria volontà ed iniziativa, per chissà che ricompense.
Tirò fuori dalla borsetta un mucchio di foto che ritraevano Veronica in diverse circostanze, posti, da sola o in compagna.
Le raccontò nei minimi dettagli che dal giorno dopo aver firmato la dichiarazione con la quale ammetteva di aver ascoltato per sbaglio quel posto di radio vietato in assoluto, lui ha iniziato pedinarla dovunque andava, scattandole delle foto con le persone che incontrava e nei posti che andava.
Gli ufficiali non erano stati convinti per nulla che fosse innocente, ma era anche la procedura da seguire nel suo caso.
Lo sapeva della festa con gli studenti stranieri e doveva fare nel modo di raccogliere dati ed informazioni su ogni singola persona che Veronica incontrava, finché i superiori non decidevano che veramente non c'entrasse nulla con lo spionaggio e altre azioni contro il regime.
Le consigliò vivamente di stare lontana dai guai, di concentrarsi sullo studio in quello poco tempo rimasto fino agli esami e la rassicurò che la sua missione era conclusa, che sarà lasciata vivere tranquilla e che nessuno la seguirà più, almeno che non si metta nuovamente a combinare chissà che guai. Per quanto sapeva lui, era la regola di seguire "i pericolosi" per non più di due anni, se nel frattempo non dimostrano la loro implicazione e iniziative contro il comunismo.
Con ogni racconto e foto vista, Veronica non poteva fare a meno di trasalire sbalordita di quello che sentiva e vedeva.
C'erano foto con lei nei posti che manco si ricordava di essere stata e compagne con quale non ricordava di aver mai scambiato una sola parola. C'era pure la foto con lei nel parchetto dell'università quando aveva dato un bacio innocente sulla guancia di uno studente arabo.
Insistete spiegarle e farla capire bene che lui non aveva mai fatto a nessuno la confessione fatta a lei, tanto meno svelare il suo vero lavoro e far vedere il materiale raccolto.
Certamente, anche tutte le sue foto facevano parte dal materiale che doveva consegnare i giorni successivi al suo superiore, allegate al rapporto finale e conclusivo sullo svolgimento del suo mandato.
Era spiaciuto, diceva, che aveva già una fidanzata con la quale si sarebbe dovuto sposare quell'estate, ma che se così non fosse, gli sarebbe piaciuto molto conoscersi meglio, che meriterebbe di più di quello che ha avuto e così via.
Se non per altro, almeno non aveva approfittato in qualche modo di lei, del suo corpo.
Certo che se un uomo per bene avrebbe mai voluto approfondire la loro amicizia, era per bene soltanto perché già impegnato, cioè, era solo una scusa e un modo gentile di dirle che non era del suo interesse e gradimento.
***

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Un destino
General Fiction∞ STORIA VERA ∞ Benjamin Button disse: "Ho nulla da lasciare, se non la mia storia, che è al quanto singolare", come d'altronde singolare è la storia di ogni individuo, direi. C'è chi lascia delle proprietà, c'è chi lascia denaro in banca, però...