36) Elizabeth PoV/ Pt2

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PARTE 2
Le mie mani tremano mentre apro la porta di casa. Ogni passo è pesante, ogni respiro sembra bruciare. Non so nemmeno come sono arrivata qui. Le sue parole continuano a rimbombarmi in testa.

"è meglio che ci allontaniamo ora"

Come ha potuto? Dopo tutto quello che abbiamo passato, come ha potuto dirmelo con quella freddezza? Sento una lacrima scivolarmi lungo la guancia mentre richiudo la porta dietro di me, cercando di fare meno rumore possibile. Voglio solo salire in camera mia e nascondermi sotto le coperte, ma una voce mi ferma.

<Elizabeth? Sei tu?>

Mi irrigidisco. Mio padre. Cerco di ricompormi, ma so che non sono brava a nascondere quello che provo.

<Sì, sono io,> rispondo, cercando di mantenere la voce stabile.

Lui appare in fondo al corridoio, con un'espressione curiosa che si trasforma subito in preoccupazione quando mi vede. <Che succede? Hai pianto?>

<N-no,> balbetto, distogliendo lo sguardo.

<Elizabeth, per favore. Non prendermi in giro. Cos'è successo?> insiste, avvicinandosi.

Mi passo una mano tra i capelli, cercando di trovare una scusa, ma il peso di tutto quello che è appena successo mi schiaccia. Non riesco a parlare. Non riesco nemmeno a respirare normalmente.

<Ehi, calmati,> dice lui, appoggiandomi una mano sulla spalla.

Mi guida sul divano e si siede accanto a me. Non parla subito, mi lascia il tempo di sistemarmi. Il suo silenzio mi mette ancora più in difficoltà, come se aspettasse che io crollassi da un momento all'altro.

<Era per Noah, vero?> chiede all'improvviso.

Sobbalzo. Lo guardo, sorpresa, e vedo il suo volto confuso. <Come fai a sapere che c'entra Noah?>

<Beh, ogni volta che sei nervosa o arrabbiata, è sempre per colpa sua. Pensavo che voi due vi odiavate ancora,> dice con un mezzo sorriso, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Un nodo mi stringe la gola. Abbasso lo sguardo, giocherellando con il bordo della mia manica. <Non ci odiamo,> mormoro.

Lui mi guarda per un lungo momento, aspettando che continui. Quando non lo faccio, sospira. <Vuoi dirmi cosa è successo?>

Non so da dove iniziare. Non so nemmeno se voglio che lui sappia. Mi sembra tutto troppo complicato, troppo confuso.

<Noah e io... stavamo insieme,> confesso infine, sentendo il cuore accelerare.

Lo sguardo di mio padre si allarga per lo shock. <Cosa?>

<Lo so, lo so, sembra assurdo. E forse lo è. Ma stavamo insieme. E adesso... adesso è finita,> dico, sentendo la voce spezzarsi.

Mio padre si passa una mano sul viso, cercando di processare l'informazione. Non dice niente per un momento, poi scuote la testa. <Non me l'aspettavo,> ammette.

<Neanche io,> mormoro, trattenendo un singhiozzo.

Lui si china in avanti, guardandomi con occhi gentili. <Mi dispiace, eliz. Davvero. Ma lo sai, vero, che supererai anche questa?>

Non riesco a rispondere. Perché ora, in questo momento, mi sembra impossibile. Ma almeno, per qualche istante, il fatto che lui sia qui, che non mi stia giudicando, mi fa sentire un po' meno sola.

ELIZABETH POV

Mi sento ancora scossa. Le parole di Noah continuano a rimbombarmi in testa, e il modo in cui mi ha guardata... Non riesco a dimenticarlo. Mi sento stupida, debole. Come se il mondo intero fosse contro di me. Non so se quello che provo sia rabbia, dolore o entrambe le cose insieme.

Cammino per i corridoi della scuola senza meta, stringendomi le braccia al petto. Mi sento fragile, come se stessi per spezzarmi. Cerco di nascondermi dagli sguardi curiosi, dai bisbigli. Non ho voglia di spiegare niente a nessuno.

Proprio mentre sto per svoltare l'angolo per andare in bagno, sento una voce che mi ferma.

<Elizabeth, aspetta un attimo.>

Mi giro, incerta. Alix mi sta guardando, il volto serio ma con un'espressione che non riesco a decifrare. Non mi aspettavo di trovarla qui, tantomeno che mi rivolgesse la parola.

<Che vuoi?> le chiedo, forse con un tono più tagliente di quanto volessi.

Non si offende. Fa un passo verso di me, poi un altro, e incrocia le braccia. <Ho visto che non stai bene. Ti va di parlarne?>

Scrollo le spalle, cercando di mascherare la tempesta dentro di me.

<Non ho detto che ti serve,> risponde lei, calma. <Ma so com'è sentirsi soli quando non sai cosa fare.>

La guardo, sorpresa. Per un attimo, mi sento disarmata. Nessuno mi aveva mai detto qualcosa del genere, e non me l'aspettavo certo da lei.

<Perché ti interessa?>

Alix sospira, appoggiandosi al muro accanto a me. <Perché so cosa vuol dire soffrire per qualcuno. E so quanto faccia male non avere nessuno a cui dirlo.>

Le sue parole mi colpiscono più di quanto voglia ammettere. Abbasso lo sguardo, fissando il pavimento come se potesse darmi risposte.

<È complicato,> mormoro.

<Lo so,> dice lei. <Ma a volte parlare aiuta. Non sono qui per giudicarti, Elizabeth. Voglio solo che tu sappia che non sei sola.>

Non so perché, ma c'è qualcosa nella sua voce che mi fa sentire...  compresa. Non mi aspettavo che fosse lei a capirlo. Non Alix. Eppure, eccola qui, accanto a me, senza insistere, senza aspettarsi nulla in cambio.

La guardo di nuovo, cercando di capire se è sincera. Sembra esserlo.

<Forse,> dico infine, la voce più morbida.

<Quando vuoi,> risponde lei con un sorriso leggero.

E per la prima volta, sento che forse, solo forse, non sono davvero sola.

NOAH POV

Mi sveglio con un peso sul petto, come se qualcosa mi stesse schiacciando. La rottura con Elizabeth mi ha lasciato svuotato, eppure non riesco a smettere di pensare a lei. Mi alzo dal letto, mi vesto distrattamente e mi dirigo verso la cucina.

Ripenso a quando ci odiavamo, non mi sarei mai immaginato di arrivare a questo punto. Un sorriso nostalgico mi sfiora le labbra, ma subito viene sostituito da un nodo allo stomaco. Mi sento in colpa per averla allontanata, per averla ferita.

A scuola, ogni angolo mi ricorda lei. Il banco vuoto accanto al mio, il corridoio dove abbiamo riso insieme. Ogni ricordo mi tormenta, facendomi sentire ancora più inadeguato.

Durante la pausa, mi rifugio nel cortile, lontano dagli sguardi curiosi dei compagni. Mi siedo su una panchina, la testa tra le mani, cercando di reprimere le lacrime. Mi sento un fallito, incapace di mantenere una promessa, incapace di proteggere chi amavo.

Il pensiero che Elizabeth possa stare soffrendo mi consuma. Mi chiedo se ho fatto la cosa giusta, se ho preso la decisione migliore per entrambi. Ma ogni volta che penso a lei, il cuore mi si stringe, e il rimorso mi sopraffà.

La giornata trascorre lentamente, ogni minuto un peso insostenibile. Quando suona la campanella, mi alzo meccanicamente, il corpo stanco e la mente confusa.
Mentre cammino nel corridoio, la vedo. Elizabeth. È lì, davanti a me, come se il tempo non fosse mai passato. I nostri sguardi si incrociano, e il mondo sembra fermarsi. Il cuore mi batte forte nel petto, e un nodo mi si forma in gola. Vorrei dirle qualcosa, scusarmi, spiegare, ma le parole mi mancano. Lei abbassa lo sguardo, evitando il mio, e continua a camminare. La sua indifferenza mi ferisce più di quanto avrei immaginato.

Quella notte, mi sdraio nel letto, gli occhi fissi al soffitto. Il rimorso mi divora, e la consapevolezza di aver perso qualcosa di prezioso mi fa sentire ancora più solo. Mi chiedo se Elizabeth mi odia, se riesce a perdonarmi. Ma so che, qualunque sia la risposta, il dolore che provo è il prezzo delle mie azioni.

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