CAPITOLO SECONDO

11.9K 393 5
                                    

Era ancora scossa per l'incontro con quell'uomo.
Aveva letto il biglietto ed era arrossita.

Dopo averlo sistemato sul comodino vicino al suo letto,si era guardata intorno perché si sentiva osservata,ma non c'era nessuno.
Prese il suo libro e scese al piano inferiore per bere del the.

Fuori pioveva ancora,ma stavolta era più intensa e pensò di essere come la pioggia: a volte calma,altre disastrosa.A volte silenziosa ed altre rumorosa.
Ma la cosa che le accomunava di più era quella di essere amata da pochi ed odiata da molti.

Era brutto da pensare ma era vero.
In diciotto anni di vita aveva avuto solo un'amica,Brook che non le parlava dalla terza liceo.

I suoi genitori continuavano a discutere ed erano rare le volte che davano attenzioni alla figlia.

A quel pensiero le venne da piangere ma si impose di non farlo.Non ne valeva la pena,però odiava trattenere le lacrime perché iniziavano a bruciarle gli occhi,la gola ed il naso.Era terribile.
Mise l'acqua calda nella tazza bianca,le fece prendere colore e poi sedendosi sul divano,iniziò a sorseggiare quel delizioso the alla pesca.

Emma non si era mai sentita apprezzata da nessuno e alla sua età le faceva male il fatto di non suscitare nessun pensiero travolgente ai ragazzi.
Tutti la vedevano come la ragazza strana,la solitaria,quella asociale che preferiva lunghi libri e dolci poesie,alle persone.

Poi ripensò al biglietto dello sconosciuto.
C'era scritto che se lei avesse voluto,lui l'avrebbe fatta sua,l'avrebbe resa felice riempiendo per qualche istante il vuoto che leggeva nei suoi occhi.
Forse avrebbe potuto provare,non le dispiaceva l'idea anche se si sentiva sporca a quel pensiero.

Sarebbe stata per una buona ragione infondo,continuava a ripetersi,sarò un po' felice almeno per qualche minuto o giorno.

Senza pensarci troppo posò la tazza sul tavolo in legno scuro,salì al piano superiore andando nella sua stanza e compose il numero segnato sul biglietto bianco.

"Pronto?"domandò una voce profonda dall'altro capo del telefono.
La ragazza rimase impalata,non riusciva a pronunciare una parola.

Staccò il telefono dall'orecchio e attaccò.
Si sedette sul letto sospirando perché ancora una volta non aveva avuto il coraggio.

-
La mattina venne svegliata dalle urla dei suoi genitori e dalla sveglia.
Scese dal letto e andò direttamente in bagno.
Si sciacquò il viso pallido,lavò i denti bianchi,spazzolò i lunghi capelli e si diede dei pizzicotti sulle guance per darle colore.

Ritornò in stanza per vestirsi ed indossò un maglione nero,dei jeans neri e le sue converse logore sempre nere.

Sia i pantaloni che i maglioni gli andavano troppo grandi e le andava bene,sia perché preferiva nascondere le sue forme sia perché voleva dire che era di nuovo dimagrita e le andava più che bene.

Aveva iniziato in prima liceo a mettere vestiti più grandi perché voleva nascondere il seno prosperoso e i fianchi larghi anche se magri.
Prese lo zaino e prima di scendere al piano inferiore,diede un bacio alla foto del fratello.

Le mancava da morire.
Jonathan era partito con l'esercito in missione per inseguire il suo sogno.
Era l'unico con cui Emma si sentiva a suo agio,con cui non si sentiva fuori posto perché lui riusciva a capirla,riusciva a strapparle un mezzo sorriso e a volte anche qualche bassa risata.

Una volta aveva detto alla sorella che non l'avrebbe lasciata da sola,glie l'aveva promesso ma non aveva mantenuto la promessa perché poco tempo dopo l'aveva lasciata da sola in quell'inferno che era la sua famiglia,la società,quell'inferno che era la sua vita.

I genitori invece di avvicinarsi per la mancanza in casa del primo genito,si erano allontanati ancora di più facendo aumentare i litigi e le distanze con la figlia.
Non se ne rendevano conto,non capivano proprio quella ragazza.

Non capivano che faceva fatica a vivere la vita che le era stata donata,non capivano che Emma aveva difficoltà a vivere quella vita che non era come voleva .

Con un sospiro stanco e triste scese al piano di sotto,i genitori la guardarono duramente e lei fece un cenno di saluto con il capo continuando a camminare a testa bassa verso la porta.

"Non mangi?"disse la madre facendo alzare il capo ad Emma.

"Non ho fame adesso"mormorò sorpresa.
Sperava che la madre le dicesse che doveva mangiare e che magari la invitasse a bere un caffè con lei per riempirsi lo stomaco,invece fece un cenno disinteressato con la testa e la congedò con un gesto della mano.

Emma uscì di casa iniziò a camminare verso la scuola che tanto odiava.
Mentre camminava vedeva i suoi coetanei parlare con amici,altri si scambiavano effusioni d'amore,altri come lei passeggiavano da soli ma probabilmente arrivati a scuola avrebbero avuto qualcuno ad aspettarli.

Per sbagliò andò a sbattere contro una ragazzetta e chiese subito scusa,quella sollevò lo sguardo ed Emma riuscì a leggerla.

Sapeva leggere le persone,sapeva leggere i segni che la gente si portava addosso e quella ragazza era come lei.

Una ragazza timida che era stata costretta a diventare una sognatrice per riuscire a sopportare il macigno che era la sua vita.

Improvvisamente si sentì afferrare per un braccio e venne girata verso la persona che la stava toccando e li il suo cuore perse un battito.

Era lui.L'uomo della sera prima.
Christopher Smith.

CRAWLINGDove le storie prendono vita. Scoprilo ora